A distanza di quasi quarant'anni dalla sua prima edizione, questo saggio continua ad essere un punto di riferimento per diverse generazioni studiosi. Negli anni Sessanta, di fronte a una ripresa di una storiografia intenta a proiettare il Nolano verso le tenebre dell'esoterismo, questo libro di Papi aveva saputo valorizzare importanti aspetti della filosofia bruniana, rivisitati anche alla luce dei grandi temi della modernità: la religione, lo stato, la civiltà, il colonialismo, la fortuna, la natura, la materia, la generazione.
Il volume è la biografia di uno dei più importanti filosofi francesi (1922-2002) della seconda metà del '900, autore di opere ormai classiche sul cristianesimo, Gesù, la fenomenologia. Giuliano Sansonetti insegna filosofia morale alle Università di Urbino e Trento.
DESCRIZIONE: Bernhard Welte (1906-1983) è stato il pensatore che, forse, ha preso più sul serio la sfida di Heidegger alla filosofia della religione: riproporre la domanda sul senso dell’essere oltrepassando l’orizzonte della metafisica.
Primo titolare, in Germania, della cattedra di "filosofia della religione cristiana", e per molti decenni docente all’università di Friburgo, Welte in opere come Religionsphilosophie (1978), La luce del nulla (1980), Che cosa è credere (1982) ha ripensato la tradizione cristiana svelandone nuovi possibili significati, in un’epoca dove questa tradizione a causa della secolarizzazione pare eclissarsi. Significati che – come mostra questa monografia – ruotano attorno alla categoria di "Nulla". Una parola dove – secondo un mistico come Meister Eckhart, molto amato e studiato da Welte – si celerebbe il mistero di Dio. Un mistero che può ancora offrire, all’uomo nato all’ombra del nichilismo e dell’ateismo, la luce di una speranza? In fondo, è stato questo l’impegno teoretico di Welte: scoprire i frammenti di questa luce in una filosofia della religione per non-credenti.
L'Autore ha trascorso lunghi periodi di ricerca all'estero, presso la Ludwig Universität di Friburgo, occupandosi di filosofia della religione e pubblicando su riviste specializzate. Ha conseguito il Dottorato di ricerca in Antropologia filosofica e attualmente collabora con le Università G. D'Annunzio di Chieti e Roma Tor Vergata.
Docente di Diritti dell'Uomo e Filosofia del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Salerno, normalista, studioso di filosofia del diritto pubblico e storia dei concetti politici, Geminello Preterossi ha raccolto in questo volume quattordici interventi di autori diversi per riaffermare il valore e la legittimità del pensiero laico, per individuare la sua fisionomia culturale contro il fondamentalismo neoconservatore. Firmano gli interventi: Khaled Fouad Allam, Remo Bodei, Tullio De Mauro, Ida Dominijanni, Vincenzo Ferrone, Anna Foa, Carlo Galli, Emilio Gentile, Francesco Margiotta Broglio, Francesco Remotti, Andrea Riccardi, Stefano Rodotà, Pietro Scoppola.
La voce degli ebrei-tedeschi trova ora spazio adeguato anche nell'ambito delle scienze della formazione dell'uomo e invita a una rivalutazione dell'umano, letta attraverso una categoria propria della tradizione umanistica (la "Bildung"), di fronte al nichilismo della modernità. Il volume propone i più importanti interventi articolati nel Novecento degli ebrei di lingua tedesca a proposito del concetto di formazione dell'uomo. Si tratta di un'opera fondamentale, con testi di Th. W. Adorno, H. Arendt, W. Benjamin, M. Buber, E. Cassirer, M. Horkheimer, S. Kracauer, K. Lowith, G.L. Mosse, M. Scheler, G. Simmel, E. Stein.
Il titolo allude a I demoni di Dostoevskij, che sono assunti a simbolo dei due grandi mali che hanno condotto alle tragedie del Novecento e hanno alimentato le ideologie totalitarie: il mito della palingenesi sociale e il mito della gestione scientifica dei processi sociali. L'idea aberrante che l'umanità debba essere ricostruita dalle fondamenta ha generato quell'"odio di sé" che ha corrotto la civiltà europea e che François Furet ha definito come la capacità di generare uomini che odiano l'aria che respirano senza averne mai conosciuta un'altra. Le manifestazioni estreme di questa malattia – lager e gulag – esprimono quei miti fondatori: i miti palingenetici (politica razziale o purificazione sociale di classe), la gestione scientifica della deportazione, del lavoro forzato e dello sterminio di massa. L'umanità europea compie azioni di penitenza ma sembra non aver compreso le radici della catastrofe che l'ha devastata. L'"odio di sé" si manifesta nelle ideologie postcomuniste e dell’estremismo pacifista; mentre l'adesione critica all'ideologia scientista assume le forme di un relativismo radicale che nega ogni spazio all'etica, alla morale e alla religione nella vita pubblica, e oltretutto nega la scienza come conoscenza, aumentando così il degrado civile.
Pubblicazioni da rotocalco ci propongono grammatiche del benessere e della salute e dicono di attingere dall'antica sapienza dell'Oriente. Non è così. La filosofia del vivere della saggezza cinese, che l'autore promuove, svela gli elementi di una forma diversa di comprensione della realtà, che non ha bisogno di indicare come scopo la felicità. La formula che ricorre nel pensiero della Cina antica dice che si deve nutrire la vita: il Saggio nutre il suo soffio-energia in modo che si conservi il potenziale vitale, cioè la disponibilità agli incitamenti che non cessano di provenire dal mondo, senza illusioni di eternità e senza dover cercare un Senso e un Fine, i grandi fantasmi che ossessionano l'immaginario dell'Occidente.
Questo libro propone la ricostruzione di quattro capitoli fondamentali della cultura europea: la teoria del fantasma nella poesia d'amore del '200 (La parola e il fantasma); il concetto di malinconia dai Padri della chiesa a Freud (I fantasmi di Eros); l'opera d'arte di fronte al dominio della merce (Nel mondo di Odradek); la forma emblematica dal '500 alla nascita della semiologia (L'immagine perversa). Così la ricostruzione della teoria del fantasma nella filosofia medievale apre la via a una interpretazione della teoria dell'amore cortese e a una lettura inedita di alcuni testi poetici: da Cavalcanti a Dante.
È dall'epoca del processo a Galileo che i filosofi litigano su "ciò che rende così importante la scienza" e almeno dai tempi di Hume e di Kant ci si domanda: "come conosciamo quel che conosciamo?". La vicenda della filosofia della scienza, almeno dall'Età moderna, è in breve la storia affascinante di come filosofi e scienziati abbiano cercato di rispondere a queste domande e di come le loro risposte dipendano da ciò che il linguaggio, il contesto storico, la costellazione delle metafisiche e delle teologie "influenti", le stesse aspettative degli scienziati, perfino i loro pregiudizi ci consentono di volta in volta di conoscere.
Una raccolta di tutte le opere del conte tedesco Paul Yorck von Wartenburg, intellettuale, filosofo e politico di metà Ottocento che visse personalmente le trasformazioni della Germania bismarckiana in continua tensione tra la rivalutazione dell'antico e del classico in senso storicistico e la progettazione politica della nazione tedesca. I suoi scritti stanno all'origine del movimento che portò all'affermazione delle "scienze dello spirito" contrapposte alle "scienze della natura".
La voce di un filosofo, allievo di Pareyson, che si interroga attorno alle classiche domande della teodicea: problema del male e della relazione tra quest'ultimo e Dio.
Un'antologia di testi tratti dal capolavoro di Montaigne, "I Saggi". Un volume arguto, quasi da comodino, che ha il pregio di avvicinare i lettori al pensiero del grande filosofo francese.