
"Uscito nel 1971, 'Una teoria della giustizia' di John Rawls può essere ormai considerato un classico della filosofia morale e politica contemporanea, da decenni al centro della discussione e della critica. Portando a un alto grado di generalizzazione e astrazione la tradizionale teoria del contratto sociale, Rawls propone una teoria della giustizia come equità che ha per oggetto i principi che modellano l'assetto fondamentale delle istituzioni della società. I principi di giustizia sono quelli che persone razionali sceglierebbero in una posizione iniziale di eguaglianza. In questa situazione ipotetica, nessuno conosce la propria posizione nella società, la propria sorte nella distribuzione, naturale e sociale, di doti e capacità. Deliberando dietro un 'velo di ignoranza', gli individui determinano i loro diritti e doveri, accordandosi sullo schema equo (giustificabile per tutte le parti) di distribuzione dei costi e dei benefici della cooperazione sociale." (Salvatore Veca)
Questo libro, al suo apparire nel 1924, s'inquadrava in un progetto di ricerca, intenzionalmente perseguito dall'autore come lotta contro il pregiudizio «razionalistico» di un medioevo privo di originalità filosofica, ma anche contro un certo conformismo neo-scolastico tendente a far confluire sulle posizioni tomistiche la varietà delle posizioni degli altri esponenti della tradizione scolastica. Lo scopo di Gilson era mostrare l'esistenza di un pensiero medievale degno del nome di filosofia, cioè di sapere fondato nell'evidenza della ragione, ma anche correggere, in nome della storia ridata a se stessa, una certa ideologia del medioevo filosofico-teologico che s'inibiva di cogliere tutta la ricchezza e la complessità della storia stessa di questa convivenza di teologia e filosofia per incanalarsi troppo rapidamente in una sorta di reductio diversarum doctrìnarum ad Thomam. Il primato di Tommaso, più che un «dogma» fondato su una venerabile tradizione di ammirazioni, doveva essere qualcosa da riscoprire nella circolarità tra il rigore storiografico e un impegno teoretico-dialettico di confronto.
Tre motivi per leggerlo: Perché è un libro che non ti aspetti: una meditazione sul dissenso, che parla però molto di consenso e propone una collocazione costituzionale dei gruppi di protesta. Perché Hannah Arendt racconta di Socrate, Thoreau e della rivoluzione americana per tracciare la differenza che corre tra disobbedienza civile e obiezione di coscienza. Perché è un piccolo, prezioso manifesto sulla partecipazione attiva, contro la dittatura dei politici e le prepotenze dei governi.
Il volume contiene la traduzione di tutti gli scritti filosofici e teologici di Nicolò Cusano (1401-1464) e la prima versione italiana dei suoi più importanti scritti matematici. La traduzione, condotta sul testo dell'edizione critica curata dall'Accademia delle Scienze di Heidelberg, è corredata di note esplicative, che illustrano tutti i riferimenti contenuti nei testi e le loro fonti, sia dirette sia indirette, e di un ampio e accurato commentario sistematico, mentre il saggio introduttivo ripercorre i temi fondamentali del pensiero e dell'opera di Cusano.
Gli ultimi secoli della storia occidentale sono stati attraversati da una crescente influenza del pensiero femminista, dalle sue origini cristiane nelle comunità calviniste del Settecento fino all'elaborazione, in anni più recenti, della gender theory. Da Edith Stein a Judith Butler, il ruolo del femminile e del rapporto uomo-donna nell'antropologia femminista, nella religione cristiana, nella teologia queer e in altre teorie filosofiche sono oggi al centro di una rivoluzione che sembra ancora agli inizi. La filosofa Angela Ales Bello ne ripercorre qui la genesi, il fondo antropologico, le origini nelle culture arcaiche e nella cultura occidentale cristiana. Ed è proprio nel Magistero della Chiesa che, negli ultimi decenni, la questione del femminile è stata trattata più che in ogni altra epoca: nella lettera apostolica Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II e nell'esortazione apostolica Amoris laetitia di Papa Francesco, nelle posizioni pastorali di Bergoglio sull'universo Lgbt e nei teologi che si confrontano sulla questione del gender.
Avrebbe mai potuto Friedrich Nietzsche, il filosofo più influente nella contemporaneità, fare un'altra filosofia? Il Nietzsche dei manuali viene improvvidamente riassunto in formule, come se il superuomo, la volontà di potenza e l'eterno ritorno fossero concetti inequivocabili. In realtà il senso di quelle formule, esposto alle più diverse interpretazioni, rimane tutt'altro che trasparente e profondamente enigmatico. Contro il Nietzsche citato a vanvera, pronto a sostenere qualunque tesi, questo libro si domanda: e se invece Nietzsche non sostenesse alcuna tesi? Se il suo pensiero fosse per l'appunto l'esempio di un pensiero sperimentante, antidogmatico, antifanatico? E se ciò fosse dovuto innanzitutto al tratto estetico che lo caratterizza? L'ipotesi sconcertante e liberatoria che propone Susanna Mati, dunque, è che si debba congedare l'immagine del Nietzsche pensatore oracolare e soprattutto dottrinale. Infatti la filosofia intesa in questo senso, cioè come quell'antica forma di aspirazione al sapere connotata da un rapporto di possesso con la verità, è finita. Perciò l'opera di Nietzsche mira piuttosto a produrre un effetto estetico, come lo definisce Susanna Mati, quasi fosse una sorta di operazione artistica svolta sull'intero corpo della filosofia occidentale, qualcosa che chiede di essere attraversato e lasciato alle spalle, concludendosi in un grande, definitivo naufragio. Un libro strutturato secondo la forma del labirinto, che si confronta con i molteplici volti del grande filosofo, perché essere nietzschiani oggi significa smascherare anche il maestro che ci ha insegnato le virtù psicologiche dello smascheramento.
Nella dimensione relazionale della sessualità si trova una chiave fondamentale per capire sia la complessa storia dei rapporti fra uomini e donne, sia i drastici cambiamenti che negli ultimi decenni si sono prodotti nel mondo del lavoro, nella vita in famiglia, nella politica e nella cultura, dove gli uomini e le donne sono diventati ugualmente attivi. Ma l'uguaglianza stabilita al livello delle attività significa forse che le differenze non abbiano nessun tipo di valore personale o sociale? Appoggiandosi sui recenti dati della ricerca psicologica e sociologica, Antonio Malo mette in luce come né le concezioni naturalistiche della sessualità, contrarie a ogni tipo di cambiamento, né quelle postmoderne, che pretendono di de-costruire i sessi, i generi e anche la famiglia, sono in grado di dare una risposta soddisfacente a questa domanda. Egli propone allora di ripensare la sessualità umana da un punto di vista analogico rispetto a quella dei mammiferi più evoluti, senza però cadere in una sorta di biologismo. L'autore evidenzia infatti che qualsiasi tipo di separazione tra sesso e genere equivale a un'astrazione (che presenta come reale qualcosa che esiste solo nella nostra mente) da cui derivano lo stereotipo e l'ideologia. La sessualità umana è invece, una struttura complessa e articolata. Non riguarda solo il sesso corporeo e sociale, ma include anche molti altri aspetti finora poco studiati, come la tendenza sessuata, il desiderio, l'innamoramento, la reciprocità nell'amore, le relazioni d'identificazione e differenziazione nella coppia e nella famiglia, ossia la genealogia, la generazione e l'inter-generazione. Ne consegue che un'identità matura richiede di integrare tutti questi elementi, per migliorare - come uomo o come donna - la qualità delle relazioni umane.
La nascita è, per tutti, l'esperienza straordinaria dell'accesso alla vita umana, e in quanto tale è un concetto che ha una potenzialità filosofica. Eppure il pensiero occidentale del Novecento si è perlopiù soffermato sulla morte come condizione ontologica fondamentale e solo sporadicamente sulla nascita, seppur questa vi lasci una significativa traccia. Una corrente sotterranea, ma carica di senso, qui indagata per la prima volta in maniera sistematica in un percorso che va dall'antica Grecia (il Sileno, Saffo, Eschilo, Sofocle, Euripide, Erodoto...) all'Antico Testamento (Geremia, Giobbe, Qoèlet...), dallo gnosticismo al pensiero cristiano medievale, con incursioni nel Novecento, attraverso alcuni dei suoi più profondi interpreti (Emil Cioran, Giinther Anders, Peter Sloterdijk, Hannah Arendt, Michel Henry, Jean-Luc Marion, Emmanuel Lévinas, Maria Zambrano, Romano Guardini...). Una lettura dell'evento natale capace di aprire molteplici prospettive, sia al "femminile" - con Hannah Arendt e Maria Zambrano -sia al "maschile", seguendo le principali prospettive fenomenologiche ma anche autori di confine come Hans Saner, originale allievo di Karl Jaspers. La nascita come categoria filosofica, indicando T'Inizio" ma anche la "rinascita", assurge a cifra dell'umano, permettendone una lettura antropologica, etica, teologica.
Il filo rosso che collega gli scritti raccolti in questo volume è la scienza matematica. Porfirio utilizza l'isagoge o introduzione, genere letterario che serve a iniziare i suoi allievi a un'opera del matematico alessandrino Claudio Tolemeo dal titolo "Tetrabiblos o Quadripartitum", cioè un trattato in quattro libri che spiega gli effetti prodotti dai corpi celesti sulla Terra. E, giacché lo scritto di Tolemeo si presenta in più punti oscuro per la complessità degli argomenti trattati, Porfirio scrive l'introduzione al ''Trattato sugli effetti prodotti dalle stelle'' per chiarire ai suoi discepoli, o ai neofiti, gli argomenti e i passaggi considerati di più difficile comprensione. L'opera - qui tradotta per la prima volta in italiano - pervenuta in modo parziale e corredata degli scolî di Demofilo, un dotto bizantino attivo intorno al X secolo, chiarisce alcuni argomenti quali le figure che i pianeti assumono in cielo e il conseguente influsso che hanno sulle realtà materiali, l'importanza della luce negli effetti prodotti tra le stelle e la realtà terrestre, i calcoli matematici per computare un oroscopo, il ruolo dei segni zodiacali e il potere che essi hanno su particolari punti del corpo umano. In quest'opera Porfirio espone numerosi argomenti provenienti dalla tradizione astrologica caldea, egizia e greca, e li confronta in modo critico con il pensiero di Tolemeo, apportando a sua volta importanti innovazioni. Gli altri scritti raccolti all'interno di questo volume trattano alcune testimonianze e frammenti su opere di aritmetica e geometria. Sugli studi di aritmetica rimangono solo poche testimonianze, mentre sulla geometria rimangono cinque frammenti, in cui Porfirio, esponendo alcuni enunciati di Euclide, ne riporta le dimostrazioni geometriche.
Scritto durante l'esilio londinese, il saggio muove da una riflessione critica sulla parola "persona" che aveva fondato la corrente del personalismo di Emmanuel Mounier. Il testo è però molto più che l'espressione di una rivendicazione semantica: è una luminosa meditazione filosofica sulla nozione di "diritto", di "democrazia", di "giustizia", di "male" e di "bellezza". Weil riflette sul fondo nascosto, impersonale, di ciascuno di noi, da cui risale la domanda: "Perché mi si fa del male?", l'unica in grado di dare fondamento al rispetto dovuto a ogni essere umano e alla sua esigenza di giustizia. Il "grido muto" che riaffiora in queste pagine, nella sua semplice immediatezza, smantella i cardini dell'intera riflessione politica dell'Occidente: il primato dei diritti individuali, il culto delle idee astratte, il predominio del linguaggio razionale su qualsiasi altro.
Pasquale Galluppi (Tropea 1770 - Napoli 1846) è stato uno dei più importanti filosofi italiani della prima metà dell'Ottocento. La Memoria sul sistema di Fichte è un documento prezioso, perché costituisce il primo confronto sistematico di un filosofo italiano con l'idealismo trascendentale del grande pensatore tedesco. Ma il testo in questione è un documento importante anche perché permette di mostrare la centralità che nell'ultima fase del suo pensiero Galluppi attribuiva al confronto con l'idealismo tedesco, che egli considera come il legittimo sviluppo del pensiero di Kant e del suo «razionalismo assoluto». In maniera analoga a quanto aveva sostenuto Jacobi, Galluppi vede nell'idealismo una forma estrema di negazione della realtà, che egli non esita a definire come «nichilismo assoluto». Inserendo la sua interpretazione all'interno di un'ampia ricostruzione storico-filosofica, che dall'antichità greca giunge alla filosofia moderna di Cartesio e Leibniz, egli cerca di mostrare che solo la «filosofia dell'esperienza» può recuperare un corretto senso della realtà, e porsi alla base di un coerente «realismo» filosofico.
Seguendo la metafora della traversata tra due sponde di uno stesso fiume, il testo di Emmanuel Falque ci offre un'avvincente lettura del rapporto tra filosofia e teologia nel terreno comune del loro incessante confliggere: quello dell'esegesi e dell'ermeneutica del testo biblico. Un'andata e ritorno che non si sottrae dal confronto con alcune delle più importanti esperienze filosofiche del Novecento, proponendo una propria e originale interpretazione di quella tradizione fenomenologica francese, in cui l'intera riflessione di Falque sorge e s'innerva. Breve sebbene densissimo per profondità di pensiero, questo saggio costituisce uno sguardo panoramico che l'autore getta a ritroso sulla propria riflessione, ripercorrendone i nodi filosofici e teologici più significativi. Il volume è arricchito da un saggio di Andrea Bellantone che introduce il lettore italiano all'interno del pensiero di Falque e dell'ampia galassia della fenomenologia francese contemporanea.