Il rapporto tra religione cattolica e ’ndrangheta è qui ricostruito in base a un’analisi propriamente storica, condotta su fonti d’archivio e su diversi organi di stampa. Il volume indaga su aspetti istituzionali, sociali e politici della storia del cattolicesimo, individuando una pluralità di campi e condizioni di sue compromissioni con la mafia nell’area meridionale della Calabria: il ruolo esercitato dal clero nelle comunità locali; lo stato delle confraternite; i riti sacramentali; le manifestazioni popolari della religiosità; l’esposizione politicoelettorale della gerarchia ecclesiastica e la stessa azione di assistenza e di cura dei bisogni sociali. Sotto il silenzio pubblico dell’episcopato, non erano mancate, però, alcune reazioni alla presenza delle organizzazioni mafiose. Hanno influito, poi, sui mutamenti della linea della Chiesa verso la mafia gli orientamenti generali dei pontificati, il Concilio Vaticano II, un nuovo atteggiamento dei vescovi e il contributo di una serie di preti, di movimenti e di gruppi di credenti, sensibili ai valori della cittadinanza.
Due papi medievali, Silvestro II e Giovanni XXI, siedono entrambi brevemente sul soglio di Pietro. Sono legati da un’affinità: la tradizione li definisce entrambi medici e al tempo stesso maghi. Nei tre secoli che li separano, infatti, non esiste ancora la figura dell’archiatra pontificio, cioè del ‘medico di palazzo’. Solo nei secoli successivi essa diventerà il fulcro e il mediatore del rapporto tra medicina e papato.
Giorgio Cosmacini esplora tale rapporto dall’anno Mille sino a Ratzinger e Bergoglio, attraverso l’esame di bolle ed encicliche, delle figure di alcuni archiatri con i loro interventi curativi e delle patologie relative al corpo del papa. Un corpo da intendersi nel doppio senso di corporeità fisica e corporeità metaforica legata alla natura della funzione pontificia. Particolare attenzione viene dedicata all’intervento dei pontefici sulle questioni di vita e di morte, con le loro attinenze medico-sanitarie coeve.
Nel contesto delle guerre di religione cinquecentesche maturò un progetto missionario rivolto ai soldati, con la stesura di catechismi destinati agli uomini in armi e l'introduzione delle prime cappellate stabili a fianco delle truppe. Guardando alla teologia, alla giustizia, al lessico della violenza religiosa e alla tradizione neo-stoica, ma anche al concreto dispiegarsi del modello del «soldato cristiano» negli eserciti cattolici, il volume ricostruisce il profilo dei protagonisti di un progetto disciplinare inedito che accompagnò la lenta formazione degli eserciti professionali dopo la rivoluzione militare della prima età moderna; e, comparando lo sforzo religioso del clero cattolico e dei predicatori protestanti, ripercorre la storia della cura castrense dal XVI secolo fino alla Grande Guerra, quando il morire per la Patria sostituì l'appello a combattere nel nome di Dio.
L'itinerario compiuto dalla Chiesa, dal Congresso di Vienna a Papa Francesco, e il confronto spesso aspro e conflittuale che essa ha avuto con il mondo contemporaneo, i suoi cambiamenti, le sue utopie, le sue diseguaglianze. Sono i temi del convegno da cui trae origine questo volume, organizzato nel giugno 2016 dal Dipartimento di storia, cultura e storia sammarinesi dell'Università degli Studi della Repubblica di San Marino e che ha visto la partecipazione dei maggiori studiosi italiani di storia della Chiesa. È stata una strada accidentata, ricca di ostacoli, di opposizioni, di conflitti, lungo la quale la Chiesa ha mostrato la sua duttilità ma ha anche dovuto scontare grandi ritardi e forti resistenze reazionarie al suo interno. La Chiesa ha spesso combattuto quella «modernità» che alla fine del Settecento si concretizzò nel mondo delle nuove rivoluzioni, da quella francese a quella industriale a quella politica, che portò negli anni a rivolgimenti di stati e nazioni (si pensi alla rivoluzione russa e alle due guerre mondiali). Rivoluzioni che toccarono in concreto la Santa Sede, che perse il suo potere temporale. E si aprirono anche quei nuovi conti con le altre religioni che, lungo questi due secoli, hanno condotto a una nuova visione dei rapporti tra le fedi.
L’indulgenza, ovvero la remissione parziale o integrale delle pene temporali dovute ai peccati rilasciata dal papa o da un vescovo, rappresenta una delle componenti più significative della religiosità medievale – e ciò soprattutto in ragione della sua pervasività, della sua popolarità, come pure della sua capacità di polarizzare. Lungi dal costituire esclusivamente una pratica intra-ecclesiastica legata all’esperienza penitenziale del singolo fedele, l’indulgenza cela in sé una poliedricità di applicazioni con ripercussioni di natura sociale, culturale e finanche politica, difficilmente riscontrabile presso altre forme devozionali o liturgiche del medioevo. Tra le iniziative a cui furono associate remissioni penitenziali sono da annoverare crociate, canonizzazioni di santi, pratiche caritative e devozionali, inquisizione e repressione dell’eresia, incoronazioni di papi e principi secolari, nonché innumerevoli campagne finalizzate al reperimento di fondi per la costruzione e il sostentamento di chiese, ponti e ospedali. Il volume, che raccoglie gli atti di un Incontro di Studi tenutosi nel febbraio 2015 presso la Bergische Universität di Wuppertal, affronta l’argomento da differenti prospettive tematiche e metodologiche, chiedendosi se e come l’affermazione della prassi indulgenziale e della relativa dottrina teologica e canonistica concorsero a modificare la concezione dominante della salvezza dell’anima e del rapporto sussistente tra i singoli fedeli e il vertice dell’istituzione ecclesiastica impersonato dal romano pontefice.
"Le parole usate dai papi sono importanti; tanto più in quanto il loro modo di parlare non è sempre lo stesso. Il linguaggio con cui il pastore della Chiesa di Roma si rivolge all'umanità nei momenti difficili è sempre stato espressione non solo della sua personalità individuale, ma del posto che la parola della Chiesa occupava nel mondo in quella data epoca; ed è un indizio estremamente rivelatore delle diverse modalità, e della diversa autorevolezza con cui di volta in volta i papi si sono proposti come leader mondiali. In queste pagine faremo un viaggio attraverso le parole usate dai papi nei secoli. Ovviamente la Chiesa esiste da duemila anni e nel corso di questi due millenni ha prodotto innumerevoli parole; non si tratta di renderne conto in modo esaustivo o anche solo sistematico, ma piuttosto di proporre uno dei tanti viaggi possibili, cominciando dal Medioevo per arrivare fino alla soglia della nostra epoca."
Sono passati cinquant’anni dalla morte di don Milani (1967-2017), eppure la sua figura e le sue opere – un epistolario privato e pochi scritti di provocazione pubblica taglienti come una lama – continuano a suscitare un dibattito che non si è mai spento. Questo libro non vuole essere l’ennesimo profilo, ma intende osservare e interpretare questo mezzo secolo di dibattito analizzando la sua figura come uno degli indicatori possibili della storia dell’Italia di oggi.
Il volume analizza quindi il ruolo che la sua Lettera a una professoressa assunse come manifesto antiautoritario nei movimenti del Sessantotto; ricostruisce le visioni contrapposte del “profeta santo” e del “cattivo prete” da parte del mondo cattolico (fino alla recente “discesa a Barbiana” dell’elicottero di papa Francesco); si sofferma sulla sua importanza nei movimenti pacifisti del dopoguerra; ripercorre i tanti pellegrinaggi politici a Barbiana di esponenti dei partiti; riflette su come cinema, teatro e televisione abbiano interpretato il suo messaggio.
Un’intervista a Tullio De Mauro, che è stato uno dei più tenaci sostenitori del pensiero di don Milani sulla scuola e sulla formazione, conclude questo itinerario dentro la biografia sommersa del nostro Paese.
Tutti desideriamo la felicità. Ma cosa intendiamo con questo termine? Quale lo stato d'animo che qualifichiamo "felice"? Per rispondere a domande così importanti, l'Autore si affida agli scritti di san Bonaventura da Bagnoregio, autorevole rappresentante della Scuola francescana del sec. XIII, per il quale «unicamente in Dio risiede la felicità originaria e vera».
Attraverso un'analisi rigorosa dei testi, l'Autore recupera un percorso di fede e di sapienza, di libertà e autenticità interiore, un vero e proprio itinerario per imparare a stare bene al mondo.
Quest'opera raccoglie tutta la documentazione superstite degli Archivi della Cong. Per la dottrina della Fede relativa alla fase difenssiva del processo moroniano.