Il romanzo non è un oggetto estetico separato da chi lo crea. Fa parte di una strategia di vita, nasconde un dilemma, una polemica. E, come tale, si incrocia con la vita dei lettori in modi e con effetti A diversi a seconda delle circostanze personali. Con riferimento a molti grandi scrittori della letteratura europea come Joyce, Pavese, Hardy, Lawrence, Morante, Moravia, Tim Parks propone un modo nuovo di pensare al rapporto tra un'opera, la vita di chi l'ha scritta e la nostra vita. Messo da parte ogni approccio ortodosso o politicamente corretto, scopriremo che la letteratura è un'intensa conversazione tra pari, autore e lettore, e che l'esito è soggettivo più di quanto siamo comunemente disposti ad accettare.
Duemila anni fa un uomo guardò alla cultura del futuro, e ne anticipò una buona parte in un'opera visionaria e avveniristica: l'uomo era il poeta Lucrezio, l'opera il poema "De rerum natura". Tutte le grandi teorie scientifiche di oggi (l'atomismo fisico-chimico, il materialismo psicologico, l'evoluzionismo biologico) sono esposte e difese nei suoi canti. Tutte le grandi superstizioni umanistiche di ieri (la filosofia non epicurea, la letteratura non realistica, la religione non deista) sono criticate e attaccate nelle sue invettive. Il "De rerum natura" costituisce dunque, allo stesso tempo, un'opera di divulgazione scientifica e una testimonianza laica: esattamente le due chiavi di lettura del mondo alle quali ha legato il suo nome anche il "matematico impertinente" Piergiorgio Odifreddi. Ma allora chi meglio di lui potrebbe condurre il lettore nei meandri del poema antico, e mostrare che la scienza moderna è in larga misura una serie di postille a Lucrezio? "Come stanno le cose" affianca a una nuova traduzione in prosa del capolavoro di Lucrezio un commento illustrato di Odifreddi che ne mostra le connessioni ideali o fattuali con l'intera cultura, umanistica e scientifica. Si scopre così che le parole di un letterato classico e i pensieri degli scienziati contemporanei convergono nell'offrire una grandiosa visione del mondo.
Nel volume vengono studiati i due più grandi monumenti della genialità cattolica che sono la Summa Theologiae di San Tommaso e la Divina Commedia di Dante. La luce dei più grandi misteri della fede si riflette continuamente nei due capolavori. Come tutti sanno la fonte teologica primaria della Divina Commedia resta sempre la Summa Theologiae. Tuttavia, ciò che in San Tommaso è rigorosa esposizione dottrinale, in Dante diventa spesso alta contemplazione. Così la via veritatis diventa naturalmente via pulchritudinis, capace di esercitare un fascino straordinario che perdura fino ai nostri giorni. L'autore dichiara, tra l'altro, il suo desiderio di lavorare all'interno di questo studio ricercando anche i punti di contatto fra temi e contenuti dell'oggetto specifico della ricerca e quelli legati a problematiche tipiche dei nostri giorni. Si è prestata inoltre particolare attenzione, alla teologia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI di cui papa Francesco ha riassunto, in una semplice frase, tutta la grandezza: "Benedetto XVI faceva teologia in ginocchio, e tutti lo sappiamo".
"Cominciai ad avvertire l'inquietudine che quegli occhiali mi avevano seminato nel momento in cui, nella mia camera, mi ritrovai a disegnarli. Più volte, sullo stesso foglio; sicché ne venne un campo di occhiali come di meloni: grandi, piccoli, appena accennati, vuoti di lenti, con le lenti [...]. Uno strano disegno, tra quelli che faccio di solito: e chi lo vedesse senza conoscere queste pagine, forse penserebbe sia venuto fuori in margine a una lettura di Spinoza, che fabbricava occhiali di quel tipo; o che fossi rimasto impressionato degli occhiali di don Antonio de Solis, in quel ritratto che adorna il frontespizio della edizione settecentesca della sua 'Istoria della conquista del Messico'; o che avessi studiato di illustrare i versi di quel poeta arabo-siculo sulle lenti. Ed ecco che in questo momento, mentre scrivo, il fatto di ricordare queste immagini (immagini vere e proprie e immagini di parole) mi sorprende e aggiunge inquietudine all'inquietudine. Com'è che così nitidamente vedo Spinoza nella sua bottega di ottico, l'ombra della sera, le lenti come piccoli laghi in un paesaggio di manoscritti, tra le selve delle parole scritte [...]; che così nitidamente ricordo il ritratto di don Antonio, e i versi di Ibn Hamdîs? Non c'è qualcosa, nelle lenti, negli occhiali, che mi suscita, remoto, imprecisabile, un senso di stupore e insieme di apprensione?" (Leonardo Sciascia, "Todo modo", 1974)
Il riconoscimento - l'agnizione dei latini, l'anagnorisis dei greci - è uno dei più grandi scandali della letteratura: ha luogo nell'azione drammatica, nel romanzo, nell'opera, nel cinema, e spesso scrittori maggiori e minori ne hanno fatto uso strumentale all'unico scopo di portare a conclusione la propria opera. È anche, però, un elemento centrale, come già rilevava Aristotele, della tragedia e della narrazione complessa, perché mette in scena l'affiorare della conoscenza: non in un processo teorico astratto, ma nella carne stessa, nei sentimenti, nell'intelligenza, degli esseri umani. Questo libro esplora le scene e i temi del riconoscimento dalla letteratura antica a quella medievale e moderna: da Omero e dalla sua Odissea all'Antico e al Nuovo Testamento; da Eschilo, Euripide e Sofocle a Shakespeare, da Dante a T. S. Eliot; dal "Conte di Montecristo" di Dumas al "Giobbe" di Roth, dal "Giuseppe e i suoi fratelli" di Mann all'"Ulisse" di Joyce. In ogni capitolo a un testo antico fa riscontro una serie di testi moderni, mentre la teoria del riconoscimento segue il percorso parallelo da Platone e Aristotele ai Padri della Chiesa e a Freud. Riconoscere, dice Euripide, è un dio: il deflagrare della conoscenza tra persone che si amano, o si odiano, possiede la forza, la sublimità, l'ilarità che per pochi attimi ci fa provare la vertigine del divino.
In principio era la parola: il dialogo, il rapporto dell'uomo con il suo simile. La retorica, arte della parola, va dunque intesa non come luogo dell'artificio e dell'inganno ma come lo strumento che amministra e negozia i conflitti, come arte della convivenza. Ed è in questa chiave che va letta la rivalutazione della retorica operata da Ezio Raimondi, che va al di là dei confini letterari per investire territori filosofici e antropologici. Ripercorrere la vicenda storica della retorica, delle sue sfortune e fortune, conduce allora a un'intensa rivendicazione della sua centralità nella "conversazione" tra gli uomini.
Se pensi di scoprire in queste pagine quanto il tuo nome o cognome ti porterà fortuna oppure jella, se punti a sapere quale numero giocare al lotto in base a come ti chiami, puoi fare una cosa sola: riporre delicatamente il volumetto nello scaffale della libreria. Aprilo, compralo, leggilo - invece - se sei curioso di sapere quale storia hanno i nomi e cognomi italiani, perché si sono diffusi in una certa epoca o in una certa zona, quale legame hanno con la moda, la cultura, la storia del nostro paese. Scoprirai, ad esempio, che Mario è un nome d'origine etrusca e non ha nulla a che spartire con Maria, così come Martina non è il diminutivo di Marta, ma il femminile del latino Martinus e Sabrina non c'entra niente con Sabina (ma molto col film degli anni Cinquanta). Scoprirai che il cognome Sesso proviene dal nome di un centro presso Reggio Emilia, Seno è la variante settentrionale di senno, Fallo deriva da una voce dialettale per faldo ossia "falda". Scoprirai che Manzo (coi suoi derivati Manzini, Manzoni, Manzolini) non ha origini bovine, ma deriva dal nome germanico Mand e Agnolotti non si deve a qualche antenato ingordo, ma a un avo di nome Agnolo, variante toscana di Angelo. Scoprirai che... tu come hai detto che ti chiami, scusa?
Un libro su pratica e senso del cammino, metafora antica e potente e attività sempre più riscoperta. Un'indagine impreziosita da molte testimonianze, che guida il lettore alla scoperta dei diversi sentieri dell'uomo accomunati dall'essere sempre luoghi di identità e ricerca, anche spirituale. "Il cammino si fa camminando", recita un famoso verso di Machado, e così è per questo libro, da scoprire e percorrere fino all'ultima pagina.
"Prima si crea l'opera, e solo dopo si riflette su di essa." È una frase di Joseph Conrad che, significativamente, Tabucchi pone in epigrafe alla presente raccolta. Il volume unisce sette testi di poetica, per la maggior parte inediti o inediti in Italia, che illuminano un pensiero, una parola, una suggestione presente nei romanzi dello scrittore: da "Requiem" a "Sostiene Pereira", dal "Filo dell'orizzonte" alla "Donna di Porto Pim" ad altri ancora.
"Dalla A di Gianni Agnelli alla Z di Federico Zeri, alcune decine di conversazioni, interviste, dialoghi, e magari anche chiacchiere, con illustri contemporanei quali Roberto Longhi, Aldo Palazzeschi, Giovanni Comisso, Mario Soldati, Cesare Brandi, Federico Fellini, Luciano Anceschi, Luchino Visconti, Alberto Moravia. E notevolissimi coetanei, o quasi - da Calvino e Testori e Pasolini, a Parise e Manganelli e Berio -, coi quali ci si ripromettevano lunghe polemiche anziane davanti a un bel camino acceso, con vino rosso e castagne e magari cognac. Invece, la storia girò diversamente. E così, oltre ad alcuni coetanei vitali e viventi, eccoci qui con care e bizzarre memorie evidentemente prenatali: Dossi, Tessa, Puccini, D'Annunzio, e la mia concittadina vogherese Carolina Invernizio, nonna o bisnonna di mezza Italia letteraria." (Alberto Arbasino)
Che cosa sta accadendo nella narrativa contemporanea? Possiamo ancora leggerla con le categorie elaborate dal postmoderno? Il libro propone un'interpretazione e una storia della letteratura del presente che ne rintracciano le origini più o meno dirette in Arbasino, Calvino e Manganelli per giungere a indagare i romanzi di autori come Philip Roth e Saviano. Questi i problemi centrali: il predominio del racconto; i rapporti fra reale e virtuale; l'oscillazione fra volontà di testimonianza e scrupolo documentario; l'espansione delle scritture dell'io; l'egemonia del romanzo; il sorgere di nuovi generi originali, come l'autofiction o il personal essay. Si arriva così a definire un nuovo quadro culturale: il postmoderno si è esaurito, e siamo entrati in una fase che potremmo definire ipermoderna.
Quando, nel 2012, il direttore di un'emittente radiofonica propone ad Antoine Compagnon di parlare dei "Saggi" di Montaigne in una lunga serie di trasmissioni quotidiane della durata di pochi minuti, all'illustre professore del Collège de France l'idea appare subito quanto meno stravagante. Il periodo di programmazione (dall'inizio di luglio alla fine di agosto) e l'orario (intorno a mezzogiorno) sembrano decisamente più adatti ai bagni di mare che non all'ascolto di lezioni su un grande classico della letteratura e del pensiero. La sfida è così arrischiata, e allettante, che Compagnon non osa tirarsi indietro. E il risultato è clamoroso: le trasmissioni ottengono ascolti sbalorditivi, il libro che ne raccoglie i testi, pubblicato un anno più tardi, risulta tra i più venduti della stagione, e i corsi di Compagnon al Collège de France registrano un'affluenza inusitata. Ma tanto successo ci apparirà tutt'altro che sorprendente non appena ci inoltreremo nelle pagine di questo incantevole vademecum, dove Compagnon, coniugando leggerezza e profondità, attraverso il commento a quaranta brevi passi dei "Saggi" ci condurrà all'interno di un'opera senza tempo come i temi di cui discorre, le cose della vita: dall'amore all'amicizia, dalla morte alla vanità, dalla bellezza alla malattia.