In un mondo interconnesso, percorso da una «guerra mondiale a pezzi» e dominato da prospettive apocalittiche, qual è il compito della Chiesa? Che cosa caratterizza, in particolare, i gesti e le parole di Francesco? Quali sono le radici della «diplomazia della misericordia»? E come si concilia la volontà di mediazione con l'energica denuncia dei mali di oggi? A dieci anni dall'elezione di Jorge Mario Bergoglio, Antonio Spadaro ne rilegge l'approccio geopolitico da più prospettive. Innanzitutto la visione, di cui mette in luce i punti fondamentali, attingendo ai numerosi riferimenti culturali e intellettuali del pontefice. Ricostruisce quindi la «mappa» dell'azione di Francesco, attraverso i viaggi apostolici, gli eventi sinodali e la politica internazionale della Santa Sede. Ne emerge un'analisi dei traguardi raggiunti e delle sfide aperte: l'impegno per un nuovo umanesimo in Europa e per porre fine ai conflitti e alla tragedia dei migranti, proponendo un'alternativa credibile al capitalismo finanziario speculativo; l'avvicinamento alla Cina e il dialogo con l'Islam; l'esperienza della prima pandemia globale nell'era digitale; l'attenzione a territori dalle forti contraddizioni politiche ed ecologiche, come l'Amazzonia; i passi avanti nei rapporti con il Medio Oriente e le visite in paesi quali il Kazakistan e il Bahrein, luoghi di incontro e crocevia multietnici, «laboratori» di una Chiesa piccola ma viva.
I corridoi umanitari sono uno strumento di ingresso legale in Europa offerto a persone vulnerabili, in fuga da guerre, persecuzioni, fame. Salvano soprattutto famiglie con bambini, soggetti con disabilità, donne sole, anziani, malati. Rappresentano una grande speranza malgrado la sproporzione numerica tra i beneficiari e quanti languono in lunghi esodi tra mari, montagne, deserti. Non sono un lasciapassare per chiunque, ma poiché debolezza e patimento sono la realtà di pressoché tutti i profughi e i migranti, i corridoi hanno un significato universale. Promossi dalla società civile con l'appoggio dello Stato, i corridoi sottraggono persone sradicate ai trafficanti delle rotte illegali, ai barconi di fortuna delle traversate mediterranee, alle violenze delle rotte balcaniche, ai soprusi dei paesi canaglia, ai rovinosi rimpatri forzati. Nella forma sperimentata in Italia, hanno la caratteristica d'integrare efficacemente i beneficiari nelle comunità locali d'approdo, in un processo di sponsorship e di autofinanziamento focalizzato sulla società civile.
Un mondo dagli equilibri pericolosamente instabili, un'Italia sempre sull'orlo della recessione con una classe dirigente in disarmo, una società impoverita e divisa, una crisi climatica conclamata: questo libro si apre con una spietata fotografia del presente. Eppure, si chiude con un'ampia e luminosa visione del futuro. Cosa c'è in mezzo, cosa si inserisce nello spazio del possibile, tra disastro e rinascita? La politica e, in particolare, la sinistra. Risollevarci dall'attuale stagnazione, infatti, è possibile, ma servono soluzioni radicali per una lotta senza quartiere alle disuguaglianze - a partire dalle politiche fiscali - e per il contrasto al cambiamento climatico e al consumo di risorse, in modo da fermare la devastazione non di un Paese, ma del pianeta intero. In pagine battagliere e appassionate, Carlo De Benedetti attinge alla sua lunga esperienza di imprenditore e a dati, informazioni, analisi di respiro internazionale per proporre, a questa Italia e alla sua politica, una prospettiva diversa, capace di dare speranza alle giovani generazioni, nuova linfa alla partecipazione democratica, una direzione chiara a un popolo sconfortato e stanco. Riforme al risparmio e manovre minime sono una perdita di tempo che non possiamo più permetterci, scrive De Benedetti: oggi è il tempo di un nuovo e moderno socialismo, è il tempo del coraggio.
Oggi le donne sono al potere. Dirigono imprese, governano paesi, comandano eserciti. Ne hanno conquistato il diritto. Ne sono capaci. Sono bravissime. Ma nulla va dato per scontato. I Greci hanno saputo immaginare ragazze eroiche, madri autorevoli, regine guerriere. Ma i Greci hanno anche inventato l'autogoverno di cittadini guerrieri, la demokratia. Il popolo è maschio e dev'essere virile. Ed ecco che le donne potenti diventano impossibili. La filosofia e la legge naturale attribuiscono loro incapacità decisionale, inettitudine al comando, sottomissione, vigliaccheria, incostanza, mollezza. Il maschio è focoso, impetuoso, audace, imperioso. La femmina è fredda, intelligente, vile, timida. L'uomo è un animale politico. La donna è un animale domestico. Aristotele organizza queste idee in un sistema di pensiero. Il cristianesimo ne diffonde i principi e ne rafforza il rigore. La donna antica era irresoluta. La donna cristiana diventa irrazionale. Alla fine del Settecento, emergono nuovi diritti che appartengono a ogni individuo in quanto essere umano. È il progetto emancipatorio dei Lumi in tutto il suo splendore. È la premessa della qualità democratica moderna. È il nostro orizzonte.
'Capitalismo cannibale' è l'espressione che usa Nancy Fraser per definire il sistema sociale che ci ha portato a questo punto. La metafora del cannibale è calzante per l'analisi della società capitalista caratterizzata da una frenesia alimentare istituzionalizzata in cui il piatto principale siamo noi. Ma Fraser precisa e amplia anche la parola 'capitalismo' che, a suo giudizio, designa un ordine sociale che consente a un'economia orientata al profitto di predare i supporti extra-economici di cui ha bisogno per funzionare: la ricchezza espropriata dalla natura e dai popoli assoggettati; le molteplici forme di lavoro di cura, cronicamente sottovalutate quando non del tutto disconosciute; i beni e i poteri pubblici che il capitale richiede e allo stesso tempo cerca di limitare; l'energia e la creatività delle persone che lavorano. Per questa ragione la parola capitalismo non si riferisce a un tipo di economia, ma a un tipo di società: quella che autorizza un'economia ufficialmente designata ad accumulare valore monetizzato per gli investitori e i proprietari, mentre divora la ricchezza non economizzata di tutti gli altri. Come l'uroboro che si mangia la coda, la società capitalista è pronta a divorare la sua stessa sostanza.
Un regime di alternanza politica caratterizza normalmente le democrazie liberali. L'Italia non è mai riuscita a raggiungere questo livello di sviluppo del suo sistema politico. Nella prima Repubblica questo ebbe forma 'centrista' e fu, come lo definiva Aldo Moro, una 'democrazia incompiuta', essendo l'alternativa che il partito comunista proponeva, ideologicamente e politicamente respinta da tutte le altre forze democratiche. Cadute storicamente tali pregiudiziali, neppure la seconda Repubblica, dopo il 1992, è riuscita a dare stabilità a un regime di alternanza, per la debolezza dei partiti e delle coalizioni che vi si sono contrapposte nell'affrontare i problemi nodali di carattere economico e sociale. Sono maturati nel frattempo anche in Italia quei processi di intrinseca modificazione del modello stesso di democrazia rappresentativa, che caratterizzano anche altri paesi democratici e vengono definiti di 'postdemocrazia'. All'analisi di questa lenta trasformazione della nostra democrazia si uniscono, nelle pagine che seguono, i profili di quattro uomini politici, Aldo Moro, Ugo La Malfa, Enrico Berlinguer e Bettino Craxi che, fin dagli anni Settanta del secolo scorso, si posero il problema della necessità di un cambiamento politico del sistema, senza risolverlo.
Ai confini dell’Unione Europea i conflitti si moltiplicano. L'invasione russa dell'Ucraina è l'ultima di una lunga serie di guerre che, in tempi recenti, stanno riscrivendo le zone di influenza. Gli effetti negativi di questa situazione di forte instabilità sono numerosi: la sofferenza dei popoli coinvolti, la crisi energetica e alimentare, i processi migratori. Pace, un destino europeo da compiere raccoglie gli interventi e le riflessioni di voci autorevoli su questi temi, analizzando sia i conflitti in corso, sia gli strumenti per prevenirli e per arginare le gravi conseguenze che ne derivano.
«Quello costruito da Giorgia Meloni insieme ai suoi coetanei della generazione Atreju è, a tutti gli effetti, non solo nel simbolo, il terzo partito della Fiamma e, al tempo stesso, l'espressione di una destra a-fascista, nazional-conservatrice che, diventata centrale nella politica italiana, tenterà di cambiare gli equilibri della politica europea». Secondo Giorgia Meloni, Fdi è costituito da «uomini e donne che corrono da un'epoca all'altra, da una generazione all'altra, portando con sé una fiamma che non si è mai spenta completamente». Proprio da qui nascono gli interrogativi sul suo partito, sui legami con il fascismo di ieri e la «destra radicale» di oggi. Interrogativi alimentati dalle apparenti contraddizioni di un partito chiuso, gerarchico, old style, con a capo una donna, una leader pop, capace di usare tanti registri comunicativi e di rivolgersi con gli stessi termini a pubblici diversi, alternando rivendicazioni di coerenza e duttilità, teorie del complotto e amore materno, estremismo verbale e realismo. Alla luce di una analisi articolata, documentata, rigorosa, condotta senza pregiudizi e senza sconti, il libro propone una ricostruzione da cui emergono continuità e rotture con Msi e An, un resoconto su persone e circostanze che hanno segnato la costruzione di Fdi, di cui analizza la struttura organizzativa, il profilo ideologico, il network internazionale, la comunicazione, l'elettorato. Infine, riannoda questi vari elementi in una lettura compiuta sul percorso fatto e l'identità costruita nei primi dieci anni di vita, sulle fortune e le virtù che hanno portato gli eredi di una tradizione politica destinata ad estinguersi alla «guida della Nazione».
La crisi in cui si dibatte la sinistra - non solo italiana - rivela un drammatico vuoto di pensiero e di idee. Per prima cosa, bisogna ricostruire il quadro culturale di una nuova identità. La straordinaria trasformazione delle società occidentali in seguito alla rivoluzione tecnologica e alla fine di quella che si può definire l'età del lavoro e della grande industria ha mutato radicalmente la scena economica e sociale in cui ci muoviamo. La tesi del libro è che questo cambiamento ha reciso per sempre le radici di classe della sinistra, che si è trovata quasi all'improvviso senza basi su cui poggiare la propria esistenza. Ma c'è tutto lo spazio per costruire una sinistra che sappia vivere - come non ha mai fatto - al di fuori dello scontro di classe. Il libro individua così due grandi campi intorno ai quali ricostruire un pensiero e una strategia progressista: una nuova idea di eguaglianza - svincolata dalla catastrofe del socialismo - e l'impegno per un mondo globale orientato non solo sui mercati e sulla loro cultura, ma su un modello inclusivo di cittadinanza oltre la cornice degli Stati.
La guerra delle tasse dura da trent'anni e ha effetti devastanti sulla società. A vincerla sono i privilegiati ma anche tutti quelli che sono riusciti a ottenere, da una classe politica in ostaggio delle lobby, eccezioni particolaristiche che hanno reso il fisco un castello di piccoli e grandi privilegi. Questo conflitto, iniziato con Ronald Reagan e Margaret Thatcher, si è diffuso in tutto il mondo al grido di 'affamare la bestia', ovvero tagliare le tasse e i conti dello Stato. Il risultato è che si sono cancellate le tasse di successione, le imposte sugli immobili e i tributi legati alle rendite finanziarie e si sono diffusi a macchia d'olio i paradisi fiscali. In Italia, ma anche nel resto d'Europa, i sistemi fiscali sono diventati sempre più sfavorevoli al lavoro mentre gli sgravi per le imprese sono cresciuti esponenzialmente. Nel nostro Paese le tendenze globali si sono innestate in un contesto di evasione di massa tollerata. In tutti questi anni nessun governo è riuscito a invertire la rotta, nemmeno quello guidato da Mario Draghi che pure avrebbe potuto sfruttare un'occasione storica. Le flat tax del nuovo governo di destra rischiano di essere una vera e propria bomba H sugli equilibri sociali.
«Dopo lo scandalo di Bruxelles non si potrà più dire che in Europa non succede nulla, che non vale la pena impegnarsi. Dal maggio 2019 è successo di tutto: la ferita della Brexit, la pandemia, la guerra, la corruzione. E l'Europa ha potuto fare solo una cosa: trasformarsi profondamente e finalmente tendere la mano ai propri cittadini.» Quando le promesse del progetto europeo sembravano essersi esaurite sotto la scure del crescente successo dei partiti populisti, le drammatiche crisi della pandemia e della guerra tra Russia e Ucraina e lo smottamento interno causato da un grave episodio di corruzione hanno dato, sia pure tra difficoltà e contraddizioni, una nuova centralità all'Unione Europea. Dopo anni in cui l'Unione è stata percepita come un organismo sovranazionale guidato da freddi burocrati, interessati soltanto a imporre misure di austerity per far quadrare i bilanci nazionali, quella che emerge dalle crisi è al contrario un'Europa completamente nuova, dove solidarietà, protezione sociale, sostenibilità ambientale sono i motivi dominanti. Le regole del gioco a seguito della pandemia sono cambiate: il Patto di stabilità e crescita è stato sospeso, l'Europa ha ritrovato un ruolo nel campo delle relazioni internazionali e si è cominciato a parlare di Europa della difesa e dell'energia. Elisabetta Gualmini, dal suo punto di osservazione privilegiato, vede che il sogno di un'Europa come comunità di destini, messo in pericolo negli anni dell'ubriacatura sovranista e nazionalista e dalla corruzione nell'Istituzione, non si è ancora frantumato, e che anzi l'Europa, con i suoi anticorpi, può rinascere dalle proprie ceneri: non più matrigna ma madre.
«Devi "stare dove bisogna stare". Così mi ha detto un'amica poche ore dopo aver perso suo padre mentre lei era in mezzo al mare a salvare le vite delle persone migranti. "Dove bisogna stare", perché c'è sempre un luogo dove una crisi umanitaria si sta consumando, dove le violazioni dei diritti umani sono costanti. La mia amica si chiama Cecilia Strada, suo padre si chiamava Gino e ci ha mostrato l'importanza di "stare dove bisogna stare".» Valerio Nicolosi, giornalista, regista e reporter, dove stare, l'ha deciso da tempo. Non a caso è stato il primo ad arrivare in Ucraina per descriverne la tragedia, atterrando a Kiev un giorno prima dell'attacco russo che ha aperto la guerra. Da lì ha dato voce alla resistenza ucraina e ha raccontato l'esodo di donne e bambini verso la Polonia e l'Europa. Una rotta migratoria organizzata dalle autorità e sostenuta con generosità da cittadini e associazioni, ma che nasconde la stessa minaccia implicita delle rotte nei Balcani e nel Mediterraneo: è il «gioco sporco» che l'autore di questo libro ha visto fin troppe volte, in troppe parti del mondo, messo in piedi da alcuni governi sulla vita di migranti in fuga da conflitti armati, persecuzioni, carestia e povertà. Dalle coste dell'isola di Lesbo a Trieste, da Mariupol a Cracovia, dalla Turchia alla Libia, dai Balcani alla Sicilia, le vite di persone disperate - pronte a rischiare tutto pur di avere anche solo l'occasione di un futuro decente - vengono usate ogni giorno come mezzo di pressione geopolitica o di vero e proprio attacco non convenzionale. Così, chi scappa dall'inferno finisce per ritrovarsi in Paesi con situazioni politiche e sociali delicate, dove l'odio xenofobo esplode in vere e proprie battute di «caccia al migrante». Attraverso le sue foto e il suo racconto sul campo, Nicolosi denuncia le violenze dei regimi autoritari e le ipocrisie di governi conniventi, e soprattutto apre uno squarcio sui limiti dell'Occidente e sull'uso dei migranti come arma impropria delle guerre. Un'inchiesta sui veri interessi che controllano le aperture e le chiusure delle frontiere.