"Un mondo che si considera prospero e civile, segnato da disuguaglianze e squilibri al suo interno, ma forte di un'amministrazione stabile e di un'economia integrata; all'esterno, popoli costretti a sopravvivere con risorse insufficienti, minacciati dalla fame e dalla guerra, e che sempre più spesso chiedono di entrare; una frontiera militarizzata per filtrare profughi e immigrati; e autorità di governo che debbono decidere volta per volta il comportamento da tenere verso queste emergenze, con una gamma di opzioni che va dall'allontanamento forzato all'accoglienza in massa, dalla fissazione di quote d'ingresso all'offerta di aiuti umanitari e posti di lavoro. Potrebbe sembrare una descrizione del nostro mondo, e invece è la situazione in cui si trovò per secoli l'impero romano di fronte ai barbari, prima che si esaurisse, con conseguenze catastrofiche, la sua capacità di gestire in modo controllato la sfida dell'immigrazione."
In una grande sintesi, l'intera parabola del mondo greco: dal tempo dei palazzi micenei alla nascita della polis, fino alla dominazione romana. Musti legge la grande storia dei greci attraverso i loro occhi e ne illumina la cultura e la mentalità, i valori fondamentali delle comunità greche: libertà, autonomia, "isotes" (equità ed eguaglianza), democrazia, in una parola la grandiosa complessità culturale di un popolo che ha racchiuso in sé un intero inventario di archetipi, esperienze esemplari e comuni a tutte le civiltà. "Il modo più autentico di mostrare rispetto per la storia dei greci - scrive l'autore - è sentirla e trattarla, innanzitutto e semplicemente, come storia di gente che ha vissuto. L'esperienza dei greci non è librata sulla vita e lontana da essa; è la vita stessa e la realtà nella diversità delle sue manifestazioni: con in più però qualcosa che ne fa un precedente grandioso per tutta l'esperienza umana, cioè la coscienza, la riflessione, la teorizzazione, la parola che le ha espresse, la scrittura che ha dato alla parola forma stabile e, a suo modo, definitiva".
La maggior parte degli storici ha guardato agli anni della tarda repubblica di Roma attraverso gli occhi dell'aristocrazia romana. Il popolo comune viene descritto come una massa di parassiti, una marmaglia interessata unicamente ai "panem et circenses", a placare la fame e a godere dei sanguinari spettacoli del circo. Cesare è per alcuni un tiranno, per altri un pericoloso demagogo che sposa la causa del popolo per desiderio di potere, per altri ancora un "dittatore democratico". Il suo assassinio viene letto come il risultato di inimicizie personali o di lotte di potere svuotate di contenuto sociale. A Parenti non interessa tanto Cesare come individuo, piuttosto gli preme capire quali dinamiche sociali e "di classe" si agitavano dietro le quinte della sua ascesa e del suo assassinio. Quella che Parenti racconta è la storia della resistenza popolare contro una plutocrazia spietata. Una storia "dal basso" che restituisce a un popolo la sua voce. Il libro ricostruisce il contesto sociale e politico in cui maturò l'omicidio di Cesare e, insieme, cerca di leggere "in filigrana" la vita, le iniquità, le aspirazioni della società romana.
Per più di duemila e cinquecento anni il Partenone ha suscitato ammirazione, acceso fantasie, alimentato polemiche. È stato incendiato, bombardato, smembrato, saccheggiato. Rimane una delle meraviglie del mondo che tutti riconoscono immediatamente. Mary Beard, classicista e storica brillante, racconta con gusto la sua costruzione e spiega perché continua a colpirci così profondamente.
Il volume ricostruisce la storia culturale di un mondo, cristiano e pagano, nel periodo che va dall'antichità al Medioevo, concluso dall'espansione militare islamica e dalla reazione e dalla rinascita carolingie. Sullo sfondo, l'estraniamento progressivo tra Oriente bizantino e Occidente latino, la separazione dell'Africa romana dall'impero, con l'invasione vandala ariana, e dalla latinità e dal mondo cristiano, a causa della conquista islamica, le guerre interminabili che flagellano l'Italia, le ondate barbariche che dilagano in Gallia e nella penisola iberica anch'essa presto islamizzata, la nascita in Irlanda e Britannia di una particolare cultura cristiana che migra poi nel continente per evangelizzarlo.
In queste pagine Vidal-Naquet non offre solo studi di un insieme di questioni specifiche di storia dell'età greca: lo statuto dei giovani, delle donne, degli schiavi nel mondo omerico e ateniese, i guerrieri, gli artigiani, la città, la terra. Mostra piuttosto, attraverso questi singoli "affondi", l'unità di una cultura attraverso le sue diverse fasi e le sue molteplici manifestazioni: mitologiche, letterarie, politiche, sociali, filosofiche.
Questo trattato di arte militare bizantina del VI secolo, che ha costituito fino all'alto medioevo un punto di riferimento letterario, storico e documentale per generali, comandanti e imperatori, raccoglie in modo organico e sorprendentemente moderno le nozioni di arte militare dell'epoca, e costituisce forse il primo esempio nella storia occidentale di vero e proprio manuale militare pratico; vi vengono descritte nei minimi dettagli l'organizzazione, l'armamento e l'equipaggiamento delle truppe imperiali, le tecniche di marcia, di schieramento e di combattimento, e contiene inoltre una interessante e inedita descrizione degli usi e dei costumi militari dei principali nemici dell'Impero d'Oriente di quegli anni, soprattutto Persiani, Slavi, Avari e Longobardi. Tradotto per la prima volta dal greco in italiano, lo Strategikon è un documento prezioso anche per la comprensione degli usi e della mentalità del mondo romano più antico, di cui l'esercito dell'Impero d'Oriente si considerava legittimo e orgoglioso erede: i comandi in latino, rigorosamente conservati, la severa disciplina e le prestigiose tradizioni descritte da Maurizio aiutano a ricostruire "a ritroso" molti aspetti finora sconosciuti e inattesi dell'esercito più potente della storia.
C'è stato un tempo in cui gli dèi si mescolavano agli uomini alla luce del giorno. Atena camminava al fianco di Odisseo, e così Teti con suo figlio Achille, mentre Enea riconobbe Apollo dalla sua voce, nonostante il dio gli si fosse presentato in umili panni. Nei loro sogni i pagani interagivano con le divinità, che aiutavano e proteggevano i propri 'favoriti'. I devoti offrivano libagioni per propiziarsene il favore. Magia e divinazione erano forme consuete di conoscenza. L'impatto del cristianesimo su questa realtà fu graduale: dalle campagne raggiunse gli strati inferiori della popolazione urbana e da lì si diffuse finché, nell'età di Costantino, gli uomini volsero definitivamente le spalle al facile contatto pagano con il divino.
"Se è vero che le teorie possono essere intese come tentativi di soluzione di problemi, possiamo tranquillamente affermare che la teoria dell'oralità offre la chiave per introdurci nel vivo e concreto problema pertinente alla funzione sociale e culturale della poesia greca da Omero al V secolo a.C. In questa chiave di lettura si rivaluta il ruolo determinante del destinatario e, in relazione con esso, si enucleano i presupposti teorici e i diversi procedimenti formali, simbolici e pragmatici del fare poetico; di qui l'attenzione costante al ruolo della memoria, al rapporto del poeta con il committente e il pubblico e, infine, alla posizione dell'intellettuale entro i condizionamenti sociali ed economici del tempo." (Dalla Prefazione)
È il 10 gennaio del 49 a.C.: il proconsole Caio Giulio Cesare attraversa un piccolo corso d'acqua che segna il confine tra il territorio romano e le Gallie, confine che nessuno può varcare in armi senza essere considerato nemico dell'Urbe. Si mette così in moto una catena di eventi che porterà cinque anni dopo alla morte del proconsole, divenuto nel frattempo l'uomo più potente del mondo. Dopo aver scatenato la guerra civile varcando il Rubicone, Cesare riuscirà a distruggere un sistema di governo vecchio di oltre cinquecento anni: un instabile compromesso tra l'avversione dei romani per le forme politiche che attribuivano tutto il potere a un uomo solo e un modello democratico che tenesse conto della competitività tra i cittadini.
Gli storici di Roma contemporanei datano la sua fondazione ancora prevalentemente alla fine del VII secolo, ma la tradizione antica la fa risalire alla metà dell'VIII. Secondo Tacito, Romolo eresse intorno al Palatino il muro fondante. La corrispondenza fra questo «avvenimento» della saga romulea e la scoperta fatta da Carandini di un edificio proprio nel luogo indicato dal mito è singolare e rimette in questione l'idea che i miti siano sempre e soltanto favole affermando, piuttosto, che i miti possono a volte servire a fondare la realtà.
Storico, archeologo, antropologo e presidente della Società di mitologia francese, Bernard Sergent ricostruisce in questo saggio le origini comuni di celti ed elleni, entrambi con un ceppo comune. I due popoli elaborarono costumi sociali simili intorno al VI-VII secolo a.C. e nei miti comuni si possono rintracciare costumi comuni, anche se i cicli di riferimento sono diversi: quelli greci sono classici, quelli irlandesi risalgono a molto dopo, il 700-800 d.C.