Il progetto fascista si proponeva di plasmare le opere e la volontà degli scrittori italiani. Dalla soppressione dell'opposizione liberale e socialista alla collaborazione più o meno genuina di sedicenti scrittori fascisti, dai rapporti con il Vaticano all'emergere delle politiche antisemite, il libro propone un viaggio originale nel Ventennio attraverso vicende spesso dimenticate della censura libraria. Al centro di ogni capitolo uno scrittore, un editore famoso o una storia particolarmente significativa: dal fascismo della 'seconda ora' di Brancati agli entusiasmi strumentali di Mondadori; dalla rabbiosa censura contro Sambadù, amore negro di Maria Volpi agli equilibrismi di Bompiani; dalle autocensure di Margherita Sarfatti alla barbarie delle leggi razziali. I concreti atti di protesta di personaggi come Piero Gobetti, Roberto Bracco e Benedetto Croce risaltano ancor maggiormente perché appaiono come picchi isolati in una distesa di piatto conformismo e di compromessi opportunistici.
Il 2 febbraio 1943, con la resa della Sesta armata del maresciallo Friedrich Paulus termina la battaglia di Stalingrado, uno dei momenti più significativi della Seconda Guerra Mondiale. Viktor Nekrasov, come molti civili, combatté in prima persona nelle trincee e pochi anni dopo pubblicò questo romanzo, ancora oggi comunemente considerato una delle migliori opere della letteratura sovietica di guerra. Narrato in prima persona dal luogotenente Kerèncev (che in tempo di pace era un giovane ingegnere), il racconto ripercorre quei momenti drammatici, dall'annuncio dell'arrivo dei tedeschi ai combattimenti durissimi all'ultimo sangue che metteranno alla prova la natura umana dei vari personaggi, fino agli esiti finali in cui la resistenza eroica di un intero popolo obbligherà alla resa il nemico cambiando così le sorti di tutta l'Europa. Nekrasov è stato cittadino e soldato, e come tale si è immedesimato nella condizione degli infiniti e quasi anonimi eroi, con galloni e senza, che si sono trovati a fare la Storia sotto le mura di Stalingrado. Rifiutando ogni retorica e con una narrazione sincera e priva di enfasi celebrativa, gli umili protagonisti di questo romanzo pongono quesiti etici validi ancora oggi: ci si può fidare di un compagno sconosciuto? Qual è il vero eroismo: quello di chi si cela dietro le frasi altisonanti ma nel momento del bisogno tradisce la sua mancanza di umanità o quello di chi non sa usare le belle parole ma è capace di sacrificare la propria vita per il bene comune?
Nel Risorgimento convissero due diverse idee di nazione, una romantica e una liberale, Mazzini e Cavour. L'idea liberale fu però presto minoritaria: prevalsero il nazionalismo, poi il socialismo, poi il fascismo. Solo dopo la fine del secondo conflitto mondiale potè rinascere un'idea di democrazia liberale, ma lo scontro ideologico conseguente alla guerra civile che si era combattuta e alle contrapposizioni della guerra fredda hanno ostacolato l'educazione politica degli italiani in senso liberale. Dopo centocinquant'anni, abbiamo lo Stato ma gli italiani non hanno ancora imparato ad essere cittadini.
Quello perpetrato il 12 agosto 1944 a Sant'Anna di Stazzema, minuscolo paese della montagna lucchese, è il maggiore eccidio di civili compiuto dai nazisti in Italia dopo quello di Monte Sole. La strage di Sant'Anna è riemersa prepotentemente all'attenzione della cronaca con il processo celebrato a La Spezia nel 2005, e poi ancora con l'uscita del film di Spike Lee "Miracolo a Sant'Anna" e le vivaci polemiche che ne sono seguite. Paolo Pezzino, storico delle stragi tedesche e consulente della Procura militare per il processo, sulla base di una conoscenza approfondita e puntuale dei fatti, racconta in questo breve libro l'intera storia della strage: in che contesto maturò, chi furono i protagonisti, carnefici e vittime, come si svolse, come non si fece giustizia nel dopoguerra e come la si è fatta a La Spezia, la sempre riaffiorante controversia circa le eventuali responsabilità dei partigiani, che ancora riesce a dar fuoco alla polemica attorno ai morti di Sant'Anna.
"Il negazionismo è un piccolo universo autoreferenziato, per alcuni aspetti quasi un genere letterario a sé, che non viene scalfito dalla ragione poiché ha una sua ragione, che riposa sulla negazione": soprattutto è un fenomeno carsico, perché a intervalli più o meno regolari, si ripresenta con inquietante costanza negando l'evidenza dello sterminio degli ebrei e, con esso, delle condotte criminali assunte dalla Germania nazista. "La totalità della menzogna non sta nelle singole affermazioni ma nel loro utilizzo in sequenza, all'interno di un universo di significati che è menzognero poiché perviene a negare la realtà dei fatti. Il negazionismo, sul piano dei concetti, non è propriamente un'ideologia compiuta così come, sul versante di coloro che lo professano e lo condividono, non costituisce una setta, anche se molte delle sue manifestazioni e dei comportamenti di coloro che si riconoscono in esso farebbero pensare altrimenti. Si tratta piuttosto di un atteggiamento mentale che si traduce in un modo di essere nei confronti del passato. Al giorno d'oggi si presenta come il prodotto della stratificazione e dell'interazione di tre elementi: il neofascismo, il radicalismo di alcuni piccoli gruppi della sinistra più estrema e il viscerale antisionismo militante delle frange islamiste". Claudio Vercelli ricostruisce storicamente il fenomeno negazionista, ne descrive i protagonisti e gli ideologi, racconta la mappa concettuale...
Questa è una storia che attrae e fa paura. Sembra che i protagonisti siano Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, i due attori che furono fucilati dai partigiani in una via di Milano; ma è così solo in parte. Più di altri personaggi, vittime della guerra e della guerra civile che imperversarono in Italia dal 1940 al 1945, i due divi più cari al pubblico del fascismo appartengono a una lacerante vicenda che stenta a chiudersi. La loro fine è stata chiarita, ma non abbastanza; le loro colpe sono state accertate, ma non abbastanza; la decisione di fucilarli è stata motivata, ma non abbastanza. Il dramma continua, alimentato dal senso di colpa di un'Italia che fu fascista in massa e che non sa staccarsi dal passato. La luce su un periodo su cui è stato scritto molto, e di tutto, si fa a volte sfocata, confusa, e comunque sempre cupa, terribile, carica di ambiguità. Come tante vicende italiane, di ieri e di oggi.
Il 19 marzo 1944 le truppe naziste invadono l'Ungheria. La guerra va male per la Germania e Hitler teme l'abbandono dell'Asse da parte del governo di Miklós Horthy. A Budapest si installa un dipartimento per la "soluzione del problema giudaico" agli ordini del colonnello delle SS Adolf Eichmann. Nel paese opera da anni un'organizzazione sionista - la Vaada - che offre assistenza agli ebrei dell'Europa centrale e balcanica. Una vasta rete di soccorso diretta dai coniugi Joel e Hansi Brand e da Rudolf Kasztner. In aprile Eichmann propone alla Vaada la "vendita" alle potenze alleate di un milione di ebrei in cambio di merci e danaro. Se l'accordo non andrà in porto, i tedeschi li spediranno nei campi della morte. Tra le alte gerarchie naziste - Heinrich Himmler in testa, il Reichsfilhrer delle SS che ha architettato il piano "Blood for Money" - si sta diffondendo il panico per l'imminente disfatta militare. Le truppe sovietiche e anglo-americane avanzano su tutti i fronti e i capi del Reich germanico pensano già ad assicurarsi una via di fuga in America Latina. Inizia così l'avventura di Brand per tentare di salvare gli israeliti presenti sul territorio ungherese, una drammatica corsa contro il tempo che si svilupperà tra Europa, Turchia e Medio Oriente. È una storia in gran parte inedita che Fabio Amodeo e Mario José Cereghino raccontano sulla base di un'ampia indagine realizzata negli Archivi nazionali britannici di Kew Gardens, dove sono conservati centinaia di documenti del Foreign Office...
Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre del 1943, Primo Levi venne arrestato, in località Amay (Valle d'Aosta), durante un rastrellamento della milizia fascista contro i partigiani. Con lui saranno arrestati Luciana Nissim e Vanda Maestro, Aldo Piacenza e Guido Bachi che, da qualche settimana, hanno dato vita a una banda di ribelli affigliata a Giustizia e Libertà. Nonostante questo episodio dia inizio a tutto il suo calvario di ebreo deportato ad Auschwitz, Primo Levi parlerà assai poco e saltuariamente della sua permanenza in montagna tra i partigiani. Anzi arriverà a definirlo "il periodo più opaco" della sua carriera. "È una storia di giovani bene intenzionati ma sprovveduti - scriverà - e sciocchi, e sta bene tra le cose dimenticate". Qual è la causa di un giudizio così severo? L'esecuzione sommaria all'interno della banda di due giovani che con le loro azioni minacciavano la sicurezza e la vita stessa del gruppo partigiano può sicuramente aver contribuito. E tuttavia, la ricostruzione puntuale e documentata delle settimane che videro Levi passare dalla scelta antifascista alla lotta partigiana, apre altri scenari, suggerendo un legame di continuità tra la vita partigiana e la lotta per la sopravvivenza ad Auschwitz.
«Quel che non sopporto è che si transiga»: Simone Weil è la reincarnazione di Kant, oppure di san Francesco d'Assisi. Pare che Camus tenesse una sua fotografia sullo scrittoio. Paolo vi voleva farla santa, ma lei aveva sempre rifiutato il battesimo. Lei che a trentaquattro anni si è lasciata morire di fame perché non poteva andare a combattere in prima linea contro i nazisti. La rivoluzionaria mistica, uno dei più misconosciuti e fondamentali pensatori del Novecento. Il Saggiatore ripubblica Sulla guerra, una raccolta di articoli, lettere, brevi saggi scritti da Simone Weil tra il 1933 e il 1943, anno della sua morte, che delineano il difficile passaggio da un iniziale pacifismo intransigente alla partecipazione attiva, anche se non priva di contrasti, alla resistenza contro Franco prima e contro il nazismo poi. Un passaggio non raro in quegli anni, ma che in Simone Weil implica una complessità e un rigore di pensiero singolari, la ricerca appassionata e radicale di una possibile via d'uscita alla tragica minaccia che incombe sull'Europa, e più ancora all'impasse filosofica di chi sa che la guerra è il male assoluto, ma anche un male necessario quando si deve contrastare una violenza atroce e stritolante. Tutt'al più si può avere l'intenzione di «fare il minimo di male possibile». Che per Simone Weil coincide con l'autosacrifì-cio: si propone all'organizzazione France libre di De Gaulle per azioni che la espongano al più grande rischio personale; ma quando questo le viene negato - lacerazione irreparabile - si abbandona a una lenta morte. Sulla guerra è molto più di un documento storico su una delle più dolorose e folli stagioni dell'umanità; molto più di un'opera filosofica che affronta i nodi teorici del fenomeno bellico, che si tratti di guerra rivoluzionaria o di guerra tra Stati; ed è più del diario di una conversione e di un martirio. È la testimonianza profetica di un umanesimo integrale, di un'instancabile tensione etica - in definitiva, di una vicenda biografica, intellettuale e spirituale tra le più alte e sofferte di tutto il Novecento.
Pio XII amico di Hitler e dei nazisti, come lasciava intendere una pubblicazione di qualche anno fa? Pier Luigi Guiducci ha interrogato al riguardo i documenti del Terzo Reich, molti dei quali si trovavano in precedenza in Unione Sovietica e nella Germania Orientale. Dalla ricerca risulta esattamente il contrario: i gerarchi nazisti, specie nei messaggi coperti da segreto, espressero valutazioni ostili e denigratorie nei confronti di Pacelli fin dagli anni precedenti la sua elezione. Divenuto Papa, egli continuò a tenere aperti i canali diplomatici per non privarsi della possibilità di intervenire a favore dei diritti umanitari. Non esitò, tuttavia, a opporsi alla violenza del Terzo Reich e a sostenere quanti si battevano a favore dei perseguitati.
Dieci testimonianze per capire, da prospettive diverse, le radici dell'attuale crisi. Dieci esperienze di vita per immaginare un nuovo cammino per il futuro della nostra Società.
Questo volume raccoglie testimonianze di cattolici attenti alle trasformazioni della società civile, ma non è, e non vuole essere rivolto, solo ai cattolici.
Vuole portare elementi di verità e di chiarezza attraverso la sensibilità dei cattolici, sapendo, come ricordava il card. Martini, che il mondo non si divide tra credenti e non credenti, ma più facilmente tra chi pensa e chi non pensa.
Questo libro potrà così essere completato in una ideale collana dalle testimonianze anche di coloro che non si professano cattolici (atei e agnostici, cristiani di altre confessioni, ...) e che credono alla necessità e alla grandezza della politica.
In un mondo dominato dalla forza ossessiva e idolatrica dei sondaggi, è importante mantenere fede ai propri principi, anche quando questi risultassero minoranza e perdenti.
"Questo libro parla soprattutto dell'esperienza umana": avverte Max Hastings nell'introduzione a questa imponente storia della Seconda guerra mondiale. L'esperienza, innanzi tutto, di milioni di individui, soldati in prima linea o civili che fossero, schiacciati dalla necessità di sopravvivere nel mondo devastato dalla violenza e dall'orrore. Attraverso una miriade di microstorie estrapolate dai più diversi scenari del mondo in guerra, e costellate di aneddoti e testimonianze pregnanti, Hastings ricostruisce il teatro di un "inferno" globale che non risparmiò alcun angolo del pianeta. Nel ripercorrere la Storia che va dall'invasione della Polonia alle atomiche su Hiroshima e Nagasaki, il libro elabora un quadro diverso, completo sul piano geografico considera per esempio i teatri di guerra di India e Cina, troppo spesso trascurati - e, per molti versi, sorprendente su quello statistico, con numeri che fanno pensare, come i circa trecentomila soldati russi uccisi dai propri comandanti - più del totale dei soldati inglesi uccisi per mano nemica durante l'intera guerra - o i quindici milioni di morti in Cina. Infine l'analisi storica propone interrogativi di non poco conto dal punto di vista storico. Quali strategie, quali fronti, quali divisioni, quali resistenze di massa hanno determinato l'esito storico del conflitto? Quale reale incisività hanno avuto gli USA e la Gran Bretagna? A chi, dati alla mano, è più giusto attribuire il merito di aver sconfitto Hitler e il nazismo?