
Dopo aver esaminato le analogie e corrispondenze con gli ordini cavallereschi, il Rosicrucianesimo, l'ermetismo e l'Islam suggerite in passato da studiosi e occultisti, l'Autore procede a una geometrica esposizione del simbolismo insito in alcuni temi cruciali della Commedia: i tre mondi, i numeri, il tempo.
"Bébé! Che idea chiamarlo Bébé!": sono passati dieci anni dal suo matrimonio e Francois Donge non è ancora riuscito ad abituarsi a quel ridicolo soprannome che tutti hanno sempre usato per sua moglie. E nessuno, e tanto meno lui, avrebbe potuto immaginare che una domenica d'estate, servendo il caffè nel magnifico giardino della loro villa in campagna, proprio quell'essere immateriale, di squsita eleganza, avrebbe versato nella tazzina del marito una dose mortale di arsenico. Bébé Donge in prigione! Inimmaginabile: eppure eccola avviarsi verso il carcere, tranquilla e disinvolta. E Francois avrà tutto il tempo, durante la degenza in ospedale e nel corso del processo, per interrogarsi su quel gesto apparentemente inesplicabile.
Per molti lettori, il libro attraverso il quale si sono avvicinati alla mistica ebraica è il trattato di Scholem "Le grandi correnti della mistica ebraica". E lì avranno trovato, nel capitolo sul cabbalista 'Abulafia, la citazione di un testo che racconta il procedere di un'esperienza estatica. Quel testo, che sembra condensare in sé le peculiarità della speculazione cabalisitca, era lo "Sa'are Sedeq. Le porte della giustizia", di cui, fino ad oggi, mancava un'edizione filologica ed era altamente incerta l'attribuzione. Oggi Moshe Idel, che ha occupato il posto di Scholem, presenta questa prima edizione corredata da un vasto commento, proponendone l'attribuzione a un discepolo di 'Abulafia, Rabbi Natan ben Sa'adyah Har'ar.
In questa testimonianza, come già il titolo lascia intravedere, il biografato vi campeggia nei panni del più complesso tra tutti i personaggi nello stesso Joseph Roth. Non di rado è un Roth insolente e ingrato, geniale e un po' impostore, ora aggressivo ora vulnerabile, infantile e lucidissimo nei suoi giudizi sull'epoca, i contemporanei e la letteratura. Vediamo evocate l'infanzia e l'adolescenza di Roth, i suoi amori e le frequentazioni femminili, le discussioni al caffè con Stefan Zweig, Kesten, Musil, l'apprendistato da alcolista, l'idiosincrasia per psichiatri e psicologi, gli anni parigini dissoluti e distruttivi, l'irrompere del delirio e delle sconnessioni mentali.
Molto si parla, e si è parlato, del corpo negli ultimi decenni. Ma era rimasto sinora destinato a una circolazione esoterica questo breve trattato di Hans Bellmer, il pittore che seppe immettere nel surrealismo una carica demoniaca che traeva le sue origini dal primo Romanticismo tedesco. Fin dagli anni Trenta, quando inventò la sua perversa Bambola, Bellmer fu un teorico e uno sperimentatore estremo del corpo. La presenza anatomica del sesso, i rudimenti di una metafisica del voyeur, la capacità delle membra di trasformarsi in una serie di doppi allucinatori: sono temi e tracce di questo scritto che a sua volta si sdoppia in una serie di disegni, quasi a mostrarci la violenta scossa a tutta la nostra percezione che le teorie esposte dall'autore comportano.
Era il 1955, e nella sinagoga di Torino il giovane Guido Ceronetti, studioso principiante di ebraico bilbico, si applicava sotto la guida del rabbino, a "una stentata versione interlineare" del rotolo detto nella Vulgata "Ecclesiaste": il secondo dei libri sapienziali dell'Antico Testamento, redatto da un ignoto autore del III secolo e da alcuni interpreti attribuito a Salomone stesso; e dal rabbino imparò a dirne i versetti. Da allora, per quasi cinquant'anni, Ceronetti ha continuato a confrontarsi con questo grande "poema ebraico". Oltre all'ultima versione, terminata nel 2001, questa edizione ci offre la prima, che risale al 1970; tra le due, l'amplissimo ventaglio delle riflessioni che hanno accompagnato il lavoro della traduzione.
"Proleterka" è il nome di una nave. Attraccata a Venezia, aspetta di portare in Grecia un gruppo di rispettabili turisti di lingua tedesca. Gli ultimi a salire sono un signore che zoppica lievemente e sua figlia non ancora sedicenne, appena arrivata dal collegio. Tra padre e figlia c'è un'estraneità totale, e insieme un legame che risale a un tempo remoto oscuro, che sembra precedere le loro esistenze. In quel viaggio, la figlia vorrebbe conoscere qualcosa di più di quella persona inverosimilmente ignota dagli "occhi chiari e gelidi, innaturali". Ma soprattutto desidera scoprire quell'altra cosa ignota che è la vita stesa, sino allora favoleggiata dal recinto di un collegio.
Nel gennaio del 1937, recensendo "Assalonne, Assalonne!" Borges scriveva: "Conosco due tipi di scrittore: l'uomo la cui prima occupazione sono i procedimenti verbali, e l'uomo la cui prima preoccupazione sono le passioni e le fatiche dell'uomo. Di solito si denigra il primo tacciandolo di "bizantinismo" o lo si esalta defininendolo "artista puro". L'altro, più fortunato riceve gli epiteti elogiativi di "profondo", "umano", "profondamente umano" o il lusinghiero vituperio di "barbaro". Tra i grandi romanzieri Joseph Conrad è stato forse l'ultimo cui interessavano in egual misura le tecniche del romanzo e il carattere dei personaggi. A Faulkner piace esporre il romanzo attraverso i personaggi".