Simboli di rinascita è un saggio di fenomenologia del sacro che esamina il simbolismo cristiano a partire dallo stretto rapporto che le immagini intrattengono con la psiche dell’uomo religioso.
Viene dunque analizzata la capacità dell’esperienza religiosa di trasformare la mente per mezzo di simboli, confrontando tra loro la tradizione cristiana, i culti misterici greco-romani e le diversità culturali emerse dagli studi antropologici.
L’interpretazione degli elementi cosmici richiamati nel rito battesimale (acqua, terra, fuoco ecc.) si fonda sia sulla ricerca delle analogie rituali, proprie di altre tradizioni religiose o filosofiche, sia sull’esplorazione della loro funzione evolutiva.
Il nesso fra simbolo e coscienza è dunque l’interesse primario del testo, che segue principalmente l’indirizzo fenomenologico-religioso di Mircea Eliade e la psicologia analitica di Carl Gustav Jung.
Il libro Il Bestiario del Cristo di Louis Charbonneau-Lassay è opera formidabile per erudizione e ricchezza artistica. L’Autore esplora tutte le fonti disponibili del mondo cristiano e di quello precristiano, per fornirci una vera e propria enciclopedia dei simboli animali esaminati in rapporto al Mistero dell’Incarnazione.
Risultato di un lavoro di decine di anni, corredato da più di millecento incisioni personalmente realizzate dall’Autore, e per la prima volta in lingua italiana, «Le Bestiaire du Christ» offre finalmente a studiosi, letterati e appassionati di simbologia e arte un prezioso e insostituibile strumento di ricerca e di approfondimento dell’iconografia cristiana. «Ogni anno l’editoria italiana pubblica non più di dieci opere veramente importanti. Si può tranquillamente affermare che la prima traduzione italiana di quella ricerca monumentale che si intitola Il Bestiario del Cristo sia una di queste... Ritroverete le 1157 figure così come le ha incise l’autore. Ma soprattutto troverete uno dei più affascinanti viaggi nei simboli che siano stati tentati dall’uomo». (C.C., Il Sole 24 Ore)
«Finalmente si pubblica in traduzione italiana uno dei libri memorabili di questo secolo... È difficile non esserne stregati... il pubblico italiano non si lascerà sfuggire questo gioiello della nostra cultura moderna, frutto fedele di una tradizione cristiana ma anche pagana, perché l’autore ricostruisce la storia dei simboli e degli emblemi cristici partendo dall’epoca arcaica e spaziando dalle tradizioni orientali a quelle occidentali, dall’induismo alla religione celtica, dall’Egitto alla Grecia, a Roma». (Alfredo Cattabiani, Il Giornale)
«Una versione italiana mancava. È davvero una grazia di Dio che questa lacuna sia oggi riempita... Questi due volumi vanno letti per intero, pagina dietro pagina. Se lo farete con attenzione, uscirete dalla lettura diversi: anche il vostro cristianesimo o il vostro ateismo saranno differenti. Si esce da questa lettura consci che il Verbo e la Tradizione riempiono il cosmo, che ogni creatura è una lettera del grande discorso della Rivelazione». (Franco Cardini, L’Avvenire)
Due volumi rilegati in tela con astuccio e titoli in oro, sovraccoperta plastificata a due colori.
Teresa d’Avila (1515-1582) non è una santa come le altre: prima donna proclamata dottore della Chiesa, è stata anche, paradossalmente, un riferimento per Verlaine, Marguerite Yourcenar, Cioran e Simone de Beauvoir, tanto per citare alcuni scrittori e poeti. Qual è dunque il segreto di questo personaggio che presso i suoi contemporanei suscitò sia fascino sia disagio, e che ancora oggi attrae e sbalordisce credenti e non?
Christiane Rancé, scrittrice di romanzi, di saggi e di biografie, ha incontrato la più enigmatica avventuriera di Dio.
Un’evocazione ardente e appassionata, fondata su una profonda conoscenza dell’autrice della Spagna eterna, un paese “dove i mistici sostituiscono i filosofi e dove la poesia alimenta la teologia”. Ma oltre all’incredibile percorso di una donna d’eccezione partita alla conquista di se stessa e del Cielo, Christiane Rancé ci fa conoscere la storia del Secolo d’Oro, quello dell’Inquisizione, delle ricchezze immense provenienti dall’America e di un’esaltazione religiosa mescolata all’oscurantismo. Ci offre la visione dei paesaggi di Castiglia e di Andalusia, ci fa toccare la polvere delle strade percorse dalla santa itinerante, e ci fa sentire l’energia vulcanica sprigionata da Teresa.
Elia da Cortona, o Elia da Assisi (1180-1253), francescano laico, fu molto vicino a san Francesco essendo uno dei suoi primi seguaci. Diventò ministro dell'Ordine generale e ricoprì un ruolo importante nel promuovere la realizzazione della Basilica inferiore di Assisi. Ebbe un rilevante ruolo politico come amico e consigliere di Federico II di Svevia, dal quale ricevette delicati incarichi diplomatici. Non riuscì, però, nel suo intento di riconciliare i poteri universali del Papato e del Sacro romano impero; anzi, il suo impegno politico gli costò una scomunica che fu resa pubblica ed effettiva nel 1240. Un suo riavvicinamento al Papato si ebbe solamente nel 1250, dopo la morte di Federico II.
Come fu possibile la cristianizzazione dei Celti? Che fine ha fatto l'antica religione druidica? Perché l'Irlanda, mai romanizzata, accettò di buon grado la nuova religione? La morte e la resurrezione del Cristo, afferma Jean Markale, non fecero che confermare la ricerca pagana dell'Altro Mondo, e il druidismo accettò quello che a quell'epoca era solo il messaggio evangelico. Grazie a una vera e propria fusione, soprattutto nella Bretagna armoricana, nell'Isola di Bretagna e in Irlanda, scaturì il Cristianesimo celtico, con le sue diocesi abbaziali, il suo monachesimo, i suoi santi eroici, il pelagianesimo, i vescovi itineranti, i pellegrinaggi pro amore Dei, l'integrazione delle donne nel culto, il digiuno contro Dio. Oltre a tanti altri elementi, la pratica della confessione e la concezione del Purgatorio provengono dai Celti: nell'Alto Medioevo l'Irlanda non fu forse il fermento spirituale necessario alla nuova cristianizzazione del continente? Combattuto dalla Chiesa romana per le sue tendenze libertarie, il Cristianesimo celtico conoscerà diverse forme di evoluzione che segneranno profondamente il mondo cristiano nel suo complesso. Ai nostri giorni, nelle campagne, soprattutto nella Bretagna armoricana, Jean Markale ha scoperto le sopravvivenze popolari di questo Cristianesimo, sia nel calendario sia nel culto dei santi e nei santuari.
In un'epoca, come la nostra, in cui l'umanità non si fonda più su alcun principio d'ordine superiore, è importante riscoprire la traccia veritiera di una perduta Tradizione, celata nel simbolismo degli antichi, oggi lontano dalla nostra mentalità perché rifugge da qualunque verità non contingente. La saggezza ci riconduce ai simboli sia perché essi sono destinati a sopravvivere a tutte le generazioni, sia perché costituiscono le fondamenta della psiche umana. Per Mircea Eliade, infatti, i simboli appartengono, con il mito, alla sostanza della vita spirituale, sono connaturati all'essere umano e adempiono una funzione importante: la riscoperta di quel lontano passato che l'umanità tuttora ignora, quel paradiso perduto, quell'altra dimensione spirituale più ricca rispetto al mondo chiuso del nostro momento storico. Perciò, affinché l'uomo possa prendere coscienza del suo nuovo posto nell'universo, è necessario rintracciare la verità archetipica dei simboli più antichi, tramandatici nei secoli attraverso culti, miti, leggende di tutti i popoli del mondo.
Fonti storiche ci informano che Pietro del Morrone - il futuro Celestino V quando si recò a Lione nel 1274, in occasione del Concilio indetto da Gregorio X, fu ospitato dai Templari nella magione poi divenuta suo convento. Di ritorno, l'eremita si fermò a Collemaggio, alle porte della città dell'Aquila, e la Vergine in sogno gli disse di realizzare una chiesa in suo onore in un luogo già sacro. In questa stessa chiesa, nel 1310 si svolse il processo aquilano ai Templari. Potrebbero allora i Templari aver affidato il loro tesoro a Pietro del Morrone che lo ha custodito in quel prezioso scrigno che è Santa Maria di Collemaggio, costruita dall'eremita proprio con il loro aiuto? Può la fantasia creare la realtà? Può la realtà confondersi con la dimensione del sogno dove tutto è possibile? Al sogno e all'invenzione immaginifica è dedicata la prima parte di questo libro di Maria Grazia Lopardi, un breve romanzo in cui realtà, intuizione e fantasia vanno a braccetto. Ad essa si contrappone la seconda parte dell'opera, nella quale, invece, dati storici e riscontri sul campo portano all'attenzione del lettore le scoperte dell'autric sull'affascinante Santa Maria di Collemaggio e una cronaca di eventi personali lascia intravedere che quelle che normalmente chiamiamo "coincidenze" tali non sono.
Origene di Alessandria (185-253 d.C.) è, con sant'Agostino, il più grande genio del Cristianesimo antico. È lui il fondatore della scienza biblica, attraverso le sue ricerche sulle versioni della Scrittura, con i suoi commentari sia letterali che spirituali dei due Testamenti. È lui che costituisce la prima grande sintesi teologica e che, per primo, in maniera metodica, si sforza di spiegare il mistero cristiano; è lui, infine, l'uomo che per primo ha descritto le vie dell'ascensione dell'anima verso dio e fondato così la teologia spirituale, tanto che ci si può chiedere in quale misura sia stato il precursore del grande movimento monastico del IV secolo. La sua influenza è stata immensa. Il III e il IV secolo sono pieni dei suoi discepoli ma, al tempo stesso, la sua opera ha provocato delle appassionate contraddizioni, perché Origene è stato il primo pensatore cristiano che ha tentato di spingere lo sforzo dell'intelligenza fino ai suoi estremi limiti nell'investigazione del mistero. Jean Daniélou, splendido interprete di questo grande teologo, offre in questo saggio l'occasione di accostarsi al suo pensiero fermo e luminoso, e di attingervi come a una fonte di acqua viva.
Opera rara e di grande pregio, raccoglie due trattati del celebre dottore della Chiesa, che si trovavano riuniti nel terzo volume del Theatrum Chemicum sotto il titolo generale di Secreta Alchimiae. Sono stati tradotti dal latino da Grillot de Givry e corredati da note inedite del celebre alchimista francese.
Già durante gli ultimi anni del suo insegnamento e dopo la sua morte, il complesso delle dottrine filosofiche e teologiche di san Tommaso d’Aquino, chiamato “tomismo”, suscitò aspre e violente polemiche, poiché le tesi aristoteliche in esso contenute erano, all’epoca, giudicate pericolose per il dogma. Nel XVII secolo, poi, fu nuovamente al centro delle critiche per queste due sue opere sull’alchimia, da alcuni studiosi addirittura dichiarate non autentiche. Come poteva – dicevano – un santo, un genio prestar fede all’alchimia che molti consideravano “opera del demonio” o quanto meno una fantasticheria?
È certo, invece, che San Tommaso conobbe l’alchimia, non soltanto perché fu discepolo di Alberto Magno, ma anche perché nel XIII secolo era una delle scienze più esatte – studiata come l’aritmetica, la cosmologia, la fisica e la musica – era la “chimica” dell’epoca e faceva parte del patrimonio scientifico di ogni uomo veramente erudito.
E Tommaso non la condannava affatto ma insegnava che essa, lungi dal poter trasmutare la materia, cambiarne la natura intima, fabbricando, per esempio, l’oro, poteva però modificarne i cosiddetti “accidenti”, le specie.