
Il Premio Pulitzer Eric Licthblau ci regala con questo libro la ricostruzione di fatti che credevamo di conoscere, ma che nessuno prima di lui aveva raccontato nei particolari. Eric Lichtblau ha controllato meticolosamente documenti inediti e ha raccolto preziose testimonianze, ricostruendo i fatti di una storia vera che ha dell'incredibile. Leggendo queste pagine si ha l'impressione di avere davanti agli occhi la sceneggiatura di un film di fantaspionaggio: la storia di come l'America divenne un rifugio sicuro per gli uomini di Hitler. È ampiamente noto che dopo il crollo del Terzo Reich migliaia di gerarchi nazisti trovarono rifugio in Sudamerica. Criminali di guerra come Mengele, Eichmann, Priebke, Barbie e numerosi altri fuggirono indisturbati, avvalendosi dell'assistenza di una misteriosa ed efficiente organizzazione, nome in codice Odessa, che operava in tutta Europa anche con l'aiuto di alte autorità ecclesiastiche e della Croce Rossa. Si sospettava che dopo la guerra molte centinaia di nazisti si fossero insediati indisturbati anche negli Stati Uniti. Incredibilmente, molti di loro, benché riconosciuti come criminali di guerra, furono reclutati dall'FBI e dalla CIA e utilizzati come informatori negli anni della Guerra fredda. A molti furono ribaltate le imputazioni a loro carico grazie all'intervento diretto del capo dell'FBI, J. Edgar Hoover.
Nei due secoli intercorsi tra la pubblicazione dei "Principia" di Newton e l'avvento della teoria quantistica, il determinismo fu il paradigma della scienza classica; il suo dominio si estese persino alle scienze sociali, quali l'economia, la sociologia o la psicologia sperimentale, e finì con l'imporsi anche nelle scienze biologiche. La possibilità di prevedere esattamente il comportamento dei sistemi osservati, l'ideale di Laplace, divenne il contrassegno caratterizzante dell'intero discorso scientifico. Se soprattutto la meccanica quantistica ha segnato all'inizio del Novecento un momento di grave crisi nel dominio della scienza classica, le certezze della fisica e di altre scienze della natura vengono oggi messe in forse da una nuova serie di fenomeni caotici, mai osservati prima, sia per ragioni di miopia e pigrizia mentale, sia per la mancanza di strumenti adeguati, come il computer. Questi fenomeni spesso banali - come il gocciolamento di un rubinetto, l'evoluzione delle condizioni meteorologiche, la dinamica di una popolazione animale - non obbediscono al paradigma della scienza classica, pur rimanendo in una cornice deterministica. Il caos, infatti, rende impossibili le predizioni non per una sua intrinseca natura indeterministica, ma per la sua estrema sensibilità alle condizioni iniziali, che dovrebbero essere date con una precisione impossibile, fino all'ultimo decimale.
Pochissimi azzardano oggi una filosofia della storia. Il garbuglio e l'incertezza dei tempi scoraggiano l'impresa. Per esserne all'altezza occorre una capacità di visione che si spinga molto indietro nel passato, guardi al presente con appassionato realismo e abbia così a cuore il futuro da reclutare senza esitazione l'utopia. Tra i rari intrepidi, il più crepitante è Michel Serres. Ce lo dovevamo aspettare da chi ha attraversato il pensiero di mezzo secolo con la sublime impertinenza dello scompigliatore, sempre intento a spargere il contenuto dei panieri che i concetti astratti etichettano e tengono sigillati. Qui a saltare sono addirittura i sigilli - cronologici, disciplinari, interpretativi - dell'intera vicenda del mondo, il cui Grande Racconto, nella suggestiva narrazione di Serres, dilata la scrittura da invenzione esclusivamente umana a codifica universale comune a rocce, piante e animali, retrodatando gli inizi di tutto e insieme istituendo una continuità tra il primordiale e il digitale. Nella fantasmagoria dei paesaggi macroscopici o invisibili che per millenni si sono generati e offerti alla decifrazione, corrono tre età della storia scandite da altrettante figure emblematiche. Dal regno naturale sotto il segno di Darwin, all'interminabile dominio della violenza mortifera simbolizzato da Napoleone, all'epoca attuale, la più pacifica dall'alba dell'umanità, dove la vita riprende il sopravvento all'insegna empatica del samaritano: ecco la traiettoria che Serres fa culminare nella nostra «età dolce», l'età del dolore alleviato, della negoziazione e del virtuale, che si è lasciata alle spalle l'«età dura» della tanatocrazia insanguinata. Un netto cambio di focale, quello di Serres, se confrontato al dilagante, cupo giudizio sul presente e ai catastrofismi di maniera. Statistiche alla mano, adesso gli uomini, «portatori sani di aggressività», si comportano in modo meno violento rispetto ai loro predecessori, tanto che la sentenza filosofico-politica Homo homini lupus va rovesciata in senso etologico - accudente e solidale come un lupo. Spesso non ce ne accorgiamo, ma il possibile acquista già vigore, perché «il dolce dura più e meglio del duro».
«In letteratura è come in teologia: valgono le sole domande. O meglio: è l'intelligenza delle domande che costringe a elaborare risposte alla loro altezza. Se chi si appresta a leggere questo libro spera di trovare enunciati regole e precetti più o meno ovvii su come scrivere cosa, allora forse è meglio che abbandoni il libro e l'idea di diventare scrittore. Il talento, l'istinto sono necessari. Vanno educati, certo, ma sono necessari. Uno scrittore autentico i fondamentali li avverte ben prima ancora di elaborarli in concetti. Chi, non pago di affidarsi al tacito insegnamento dei Maestri, sente il bisogno di un prontuario cui attenersi, è meglio che lasci perdere: la letteratura non è un compitino. Men che meno un suo compitino. Per vari aspetti, il processo di creazione letteraria è come il tempo per sant'Agostino: "Se nessuno mi chiede cos'è, lo so; se devo spiegarlo a chi lo chiede, non lo so più"». Così esordisce Tuzzi, in questa conversazione che - articolata in dieci capitoli: Prima di scrivere; Stile, struttura, scrittura; Come agganciare il lettore; Dire, non dire, da chi farlo dire; Come caratterizzare i personaggi; Finali chiusi, finali aperti; Buona e cattiva letteratura; Tutti i colori del genere: giallo nero rosa; Due o tre cose sul giallo perfetto? e Due o tre cose sul perfetto lettore di gialli - propone a un più vasto pubblico di lettori il ciclo di lezioni tenuto per Radio Popolare. Non banali ricette di tecnica espressiva o di forma narrativa, non fabula, intreccio, narratore interno esterno o ambiguo, ma più fertili considerazioni su limiti e potenzialità della parola, sulla potente irrealtà della letteratura.
«Perché esiste qualcosa anziché il nulla?» Questa antica domanda, ripresa molte volte nel corso della storia da tanti filosofi e pensatori, ci impone di meditare su quella che sembra essere in assoluto la più profonda di tutte le questioni, la distinzione tra essere e non-essere, tra ciò che esiste e il nulla, il punto da cui tutto il resto deriva. Nelle mani di un fisico, però, la domanda assume un valore del tutto inaspettato, come si vede leggendo questo coinvolgente, intenso e breve libro. Per Newton e la sua legge della gravitazione universale era necessario che esistesse a priori uno «spazio», un palcoscenico dentro il quale si potesse sviluppare il dramma della materia e delle sue leggi. Questo spazio era di per sé teoricamente «vuoto» e veniva occupato dai corpi fisici, che vi subivano «forze» precise. Proprio su questo ci fu un famoso e lungo contenzioso tra lui e Leibniz, e da quella polemica nacquero i primi problemi - filosofici e fisici, a un tempo - sul concetto stesso di spazio. Con Maxwell, anni dopo, le cose si fecero ancora più problematiche, dal momento che la nascita del campo elettromagnetico riempiva lo spazio «vuoto» di «qualcosa». Qualcosa che non era l'etere, come inizialmente qualcuno aveva proposto. Le cose peggiorarono radicalmente con Einstein e il suo spazio-tempo curvo, nel quale la trama stessa della realtà si deforma in relazione alle masse presenti; ed è difficile curvare qualcosa che non c'è. Il colpo di grazia all'idea stessa di vuoto lo ha dato infine la meccanica quantistica, specie con la teoria quantistica dei campi, nella quale il vuoto diventa in effetti un luogo piuttosto vivace. Per quanto strano possa sembrare, insomma, il «nulla» è «qualcosa».
La matematica affascina, ma accende anche paure. È "ostica", si dice, ma anche "sublime", e in molti pensano che sia una disciplina completamente svincolata dal mondo reale: vive e si sviluppa in un universo tutto suo, inaccessibile ai profani: un Iperuranio lontanissimo privo di contatti con la realtà. Chi leggerà questo libro di Zvi Artstein si convincerà dell'esatto contrario. Matematica e mondo reale è un libro per ognuno di noi, sia che amiamo la matematica, sia che la guardiamo con sospetto. È anche un libro sottilmente ironico, ricco di aneddoti che alleggeriscono una lettura al tempo stesso informativa e profonda. Artstein ripercorre l'intera storia della matematica, dalle origini neolitiche ai giorni nostri, mettendo al centro della sua analisi le connessioni che ogni concetto possiede col mondo reale, fino a giungere al cuore degli sviluppi matematici più moderni, dalla teoria della probabilità allo studio del comportamento umano, all'uso dei computer, che ha recentemente dato alla matematica contemporanea un potere inaudito. Il fatto che per molti la matematica sia percepita come una cosa "distante" non deve stupire, ci dice l'autore, anzi; succede proprio perché la sua struttura logica deduttiva è sostanzialmente in contrasto con gli schemi che l'evoluzione ha scolpito nelle nostre menti. La matematica è, in un certo senso, anti-evolutiva. «Se l'esperienza mostra che le tigri sono dei pericolosi predatori, la conclusione più logica è che se si incontra una tigre conviene scappare o nascondersi», scrive Artstein. Un tipico ragionamento matematico sosterrebbe invece che, benché tutte le tigri viste finora hanno divorato i nostri compagni, ciò non significa necessariamente che anche la prossima lo farà. Ma «sprecare tempo e energie in ragionamenti astratti per stabilire se quella particolare tigre ci divorerà o meno, difficilmente garantirà un successo riproduttivo apprezzabile».
Ma che storia è? Cosa c'entrano le anime con le acciughe? Anzi, come vedremo, con un intero banco di acciughe? C'entrano, perché siamo nell'aldilà. Come non l'avreste mai immaginato, dove tutto è all'insegna della leggerezza. Infatti si chiama aldiquà. C'è Achille... che si sveglia poche ore dopo essere mancato nella sua casa milanese di via Cusani, e comincia subito a dialogare con un trapassato illustre, il maresciallo Radetzky, già inquilino dello stesso palazzo ai bei (per lui) tempi dell'occupazione austriaca... La conversazione continua con le più disparate anime che vagano nei dintorni, e in parecchi altri luoghi, vicini e lontani, in una sfera ultraterrena ma attaccatissima a quella terrena, che il trapassato, giustamente, dalla sua postazione, ribattezza «aldiquà». L'anima di Achille si è trasferita nel garage di piazza San Marco, nella Porsche di amici di uno dei suoi figli, dove da tempo dimora anche il suo gatto Ely. Da qui in poi gli incontri, le storie, e i dialoghi si fanno sempre più fitti... e, ovviamente, surreali. E di storie da raccontare ne hanno tante non solo Umberto Eco o Elio Fiorucci o il maresciallo Radetzky, ma anche altre anime, indicate con il solo nome di battesimo, Marco, Lucrezia... Ma niente paura, il tono degli scambi è in buona parte ironico, spesso comico, addirittura esilarante: si sorride, si ride, e ci si augura francamente che l'«aldiquà» sia davvero così spassoso, così rassicurante, così vario, e i suoi misteri così poco misteriosi. E molto spazio nella storia hanno anche gli animali, che svolazzano a loro volta nell'«aldiquà», dotati di anima. Comprese le acciughe, che nuotano in enormi banchi e che diventano mezzo di trasporto e guida delle altre anime, quelle degli esseri umani.
Loro cercano di controllarci. Ci fanno credere che viviamo in società libere e democratiche e che siamo i padroni del nostro destino, ma non è così, lo sappiamo bene. Ci nascondono la verità. Basta grattare sotto la superficie: l'omicidio di Kennedy, i vaccini, l'11 settembre, gli UFO, le scie chimiche, l'uomo sulla Luna, Bin Laden, i massoni, Lady D, gli Illuminati, Elvis Presley, il Nuovo Ordine Mondiale, i Protocolli dei Savi di Sion, i rettiliani... Ovunque si guardi è evidente che c'è un piano colossale per manipolarci. Cosa si nasconde dietro le più articolate teorie del complotto e, soprattutto, chi sono i complottisti e come è possibile che così tante persone possano credere anche alle più ardite e immaginarie speculazioni? Rob Brotherton, che da anni studia come funziona la «mentalità complottista», analizza in questo libro, accattivante, ironico, e anche un po' inquietante, i motivi per cui le nostre menti ci inducono tanto spesso a credere a cose implausibili, non provate e, soprattutto, in nessun modo provabili. Il fatto è che queste storie si adeguano perfettamente a certi circuiti mentali che - volenti o nolenti - tutti noi ci portiamo dentro, confortando le nostre paure più profonde, i nostri desideri più nascosti e il nostro stesso modo di interpretare il mondo. La psicologia del complotto è affascinante e svela molto su noi stessi e su come sono costruite le nostre menti. I complottismi non sono aberrazioni psichiche di pericolosi sociopatici, sono il prodotto del funzionamento del nostro cervello e la radice stessa del verbo «credere». Magari saranno in pochi a credere che il presidente degli Stati Uniti sia un mutaforma rettiliano (ma certamente sono più di quanti vorremmo che fossero!), ma sono ancora milioni (e continuano a crescere) coloro che credono alla correlazione tra autismo e vaccini (è dimostrato chiaramente che non ci sia, tanto per essere chiari). Dopo aver letto "Menti sospettose" saremo sorpresi nel riconoscere come sia facile cedere alla narrazione complottista ma avremo ben chiaro come sia possibile sfuggirvi. È vero che i complotti nel mondo talvolta esistono, più spesso però è meglio essere prudenti e fare attenzione a cosa scegliamo di credere perché, alla fine, potremmo scoprire che i complottisti siamo noi.
Ritoccare, cesellare, correggere il DNAlettera per lettera. È possibile farlo contemporaneamente in decine di siti prescelti, o in un unico punto, senza lasciare traccia. La nuova tecnica che sta cambiando il volto della biologia è gentile e potente. Maneggevole e a buon mercato, precisa come un laser. Consente di modificare a piacimento gli organismi viventi prendendo attentamente la mira. Trasformerà la medicina, l'agricoltura, il mondo come lo conosciamo? Entusiasmo e timori si rincorrono, e questo è il primo libro capace di spiegare la rivoluzione che stiamo vivendo. Benvenuti nell'era di "CRISPR". In origine era un sistema inventato dai batteri per difendersi dai virus, ed è studiando i microbi che l'abbiamo scoperto, quasi per caso. Dietro al nome oscuro si nasconde un processo biologico sorprendentemente semplice. La creatività dei ricercatori lo ha trasformato in uno strumento al nostro servizio. È l'equivalente del comando «trova e sostituisci» di un programma di videoscrittura, per eliminare i refusi dal libro della vita. Per questo si chiama «editing del genoma». La tecnologia non è ancora così efficiente da poter realizzare tutti i desideri, e qualche sfida potrebbe non essere mai alla nostra portata, come spiega Anna Meldolesi in questo libro. Ma se terrà fede anche solo a una piccola parte delle promesse, l'editing genomico renderà possibile un'infinità di esperimenti, regalandoci conoscenze, farmaci, prodotti capaci di migliorare la qualità della vita. I problemi sollevati da "CRISPR", tuttavia, non sono una questione da poco. Quando sapremo cambiare i geni a piacimento, come faremo a impedire che questa tecnica cada nelle mani sbagliate? I primi esperimenti su embrioni umani sono già stati effettuati e il dibattito è appena iniziato. Esiste il pericolo che vengano progettati «bambini su misura»? Sarebbe un sogno o un incubo se l'uomo creasse l'uomo?
Il fatto religioso ha sempre opposto una resistenza specifica agli innumerevoli tentativi di «spiegarlo» sino in fondo. Per la sua difficile prensilità, sembra ammettere soltanto approssimazioni parziali, inevitabilmente asintotiche, come testimoniano le discipline votate a individuarne l'origine, a ricostruirne la dinamica storica, a rintracciarne la funzione sociale, a esaminarne con strumenti comparatistici le epifanie cultuali, a indagarne i moventi psichici, a elaborarne il senso filosofico, teologico, antropologico. Il fascio di «luce quanto più possibile policroma» che Gerardus van der Leeuw getta invece sulla religione respinge in un cono d'ombra i modi consueti di interpretarla. Ad attrarlo sono l'oggetto e il soggetto dell'esperienza religiosa, e la relazione tra loro, perché ciò «che la scienza delle religioni chiama oggetto della religione, è in realtà il soggetto della religione stessa». Se «l'uomo religioso desidera una vita più ricca, più profonda, più estesa», ossia «augura a se stesso potenza», van der Leeuw cerca di comprendere quanto avviene nell'esperienza vissuta allo sprigionarsi di quella diversa potenza, che suscita stupore e fa approdare alla fede. Da fenomenologo percorre il varco tra il «caos informe del mondo storico» e la «struttura della figurazione» in cui si inscrivono sacrificio, mito, preghiera, tabù, sacro, rivelazione. Tutte forme che manifestano un'eccedenza rispetto ad altre espressioni umane: «l'uomo vi partecipa, vi agisce, tutto intero».