
"La storia del pensiero biologico" di Ernst Mayr è uno di quei libri che da trent'anni gli studiosi di biologia, di storia e di filosofia della scienza tengono nello scaffale più comodo, a portata di mano. Scritto nel momento in cui la cosiddetta "sintesi moderna" dell'evoluzionismo si era definitivamente affermata in campo scientifico, questo lavoro è stato il primo a raccontare la storia della biologia a partire da questa prospettiva. Fu proprio grazie allo zoologo Mayr, con un lavoro pubblicato nel 1942, che la selezione naturale darwiniana potè finalmente liberarsi dai residui essenzialisti e finalisti, e diventare la teoria scientificamente solida e universalmente accettata che oggi conosciamo. La rilettura dei lavori di Darwin operata da Mayr e da altri studiosi in chiave moderna e sperimentale si rivelò la chiave vincente, che permise di venire a capo del "problema dei problemi", ovvero la nascita e la moltiplicazione delle specie viventi e il loro adattamento all'ambiente. Questo percorso non è stato privo di ricadute culturali di ampio respiro, ben oltre i confini della biologia. Mayr più di ogni altro ha messo in luce il valore rivoluzionario della sintesi darwiniana moderna per la cultura novecentesca.
In un momento di crisi verticale, in cui l'intero edificio dell'economia di mercato barcolla, aprendo faglie anche nel relativo modello di scambio sociale, si ripropone con un'impellenza sconosciuta ai teorici del Novecento la questione di ripensare e praticare un'etica diversa da quella mercantile. È la logica del dono, che tradizionalmente si colloca sul versante opposto rispetto all'utile e al profitto. Quale rilievo assoluto avesse nelle società arcaiche lo abbiamo appreso dai classici dell'antropologia. Ma come si configura qui e ora un agire libero, gratuito, disinteressato, rischioso, accogliente, perfino scandaloso nella sua radicalità? L'unico modo per non cadere nella trappola idealizzante di un'antitesi tra egoismo e altruismo, spesso appiattita sulle figure più stereotipate del sacrificio di sé, è riflettere sulle ambivalenze dell'idea di dono, sui paradossi del soggetto donante, e immaginare quale nuova grammatica relazionale possa nascere "oltre la società degli individui". È un compito che affrontano insieme filosofi morali, teoretici e sociali, economisti, teologi e bioeticisti, in un libro corale, punto di approdo delle più avanzate prospettive antiutilitaristiche.
Imperfetta, esigente, fragile. Eppure irrinunciabile, perché non ha rivali se si tratta di garantire la ricerca della felicità individuale, nel rispetto e nella considerazione degli altri. È la democrazia. La respiriamo ogni giorno, fa così parte del nostro paesaggio mentale e del nostro vocabolario di base che avremmo difficoltà a delinearne i connotati, come accade quando qualcosa ci sembra troppo familiare. Probabilmente non andremmo oltre la definizione scolastica, "governo del popolo", senza sospettare che niente è ovvio in quei due concetti, governo e popolo, e che coniugarli comporta premesse e conseguenze di estremo rilievo. Di più: implica che ciascuno di noi assuma un ruolo consapevole e attivo, non si accontenti di delegare chi lo rappresenta.. Per governare una società complessa occorre infatti stabilire principi, regole, finalità, limiti, ma anche educare alla cittadinanza. "Democrazia" significa tutto ciò. Lo spiega benissimo Gherardo Colombo, con la semplice cordialità di chi compie un gesto civile. Maneggiate da lui, le parole dense di una elaborazione secolare - libertà, diritti, doveri,uguaglianza, giustizia - rivelano stretta pertinenza con i modi del vivere insieme, qui e ora, e riservano qualche sorpresa. Alla fine è ancora più chiaro che la democrazia, la si chiami forma di governo o modello organizzativo della società, parla di noi, della nostra sofferta perfettibilità.
Il paranoico spesso è convincente, addirittura carismatico. In lui il delirio non è direttamente riconoscibile. Incapace di sguardo interiore, parte dalla certezza granitica che ogni male vada attribuito agli altri. La sua logica nascosta procede invertendo le cause, senza smarrire però l'apparenza della ragione. Questa follia "lucida" - così la definivano i vecchi manuali di psichiatria - è uno stile di pensiero privo di dimensione morale, ma con una preoccupante contagiosità sociale. Raggiunge infatti un'intensità esplosiva quando fuoriesce dalla patologia individuale e infetta la massa. Al punto da imprimere il proprio marchio sulla storia, dall'olocausto dei nativi americani alla Grande Guerra ai pogrom, dai mostruosi totalitarismi del Novecento alle recenti guerre preventive delle democrazie mature. Finora mancava uno studio d'insieme sulla paranoia collettiva, rimasta terra di nessuno tra le discipline psichiatriche e quelle storiche. Per primo lo psicoanalista Luigi Zoja ricostruisce la dinamica, la perversità e insieme il fascino, l'assurdità ma anche la potenza del contagio psichico pandemico, in un saggio innovativo che attinge a vastissime competenze pluridisciplinari. Improvvisamente, vediamo con occhi diversi eventi che credevamo di conoscere, e comprendiamo quanto i paranoici di successo, Hitler o Stalin, fossero tali per la loro capacità di risvegliare la paranoia dormiente nell'uomo comune...
Un'elegante vetrina nella casa londinese di Edmund de Waal contiene 264 sculture giapponesi di avorio, o legno, non più grandi di una scatola di fiammiferi, raffiguranti divinità, personaggi di ogni tipo, animali, piante. La vetrina è aperta, e i piccoli figli di de Waal possono estrarre i netsuke così si chiamano i minuscoli oggetti - e giocarci. Come facevano, ha scoperto l'autore, i piccoli figli di Viktor e Emmy von Ephrussi, suoi bisnonni, nel boudoir della madre, in un fastoso palazzo viennese della Ringstrasse, un secolo fa. Prima che Hitler entrasse in trionfo a Vienna e avessero inizio le persecuzioni e i saccheggi nelle case degli ebrei. Ebrei di Odessa erano appunto gli Ephrussi, commercianti di cereali e poi banchieri ricchi e famosi quanto i Rothschild, con ville e palazzi sparsi in tutta Europa. Quello di Vienna, dove i netsuke arrivano nel 1899 da Parigi - dono di nozze ai cugini di Charles Ephrussi, famoso collezionista, mecenate, storico dell'arte, amico di Renoir, Degas, Proust - conteneva tante e tali opere d'arte che i minuscoli oggetti sfuggirono all'attenzione dei razziatori nazisti. Affascinato dall'eleganza, dalla precisione, dalle straordinarie qualità tattili delle sculture, l'autore decide di ricostruire la storia dei loro passaggi da una città all'altra, da un palazzo all'altro, da una mano all'altra. Ricostruisce così anche la storia romanzesca della sua famiglia.
Fin dalle prime settimane di vita ogni bambino mostra una sua impronta particolare. I bambini non nascono uguali e non reagiscono allo stesso modo al mondo che li circonda: c'è quello che si agita al primo rumore, quello che piange inconsolabile e quello che reagisce con flemma anche di fronte a situazioni impreviste. Questione di temperamento, si dice. Ma come saranno da grandi questi bambini? Partendo da questa domanda, Jerome Kagan ha organizzato il più grande esperimento di psicologia al mondo, seguendo passo passo centinaia di persone per oltre vent'anni, dalla culla all'età adulta. Il libro è il risultato di questa straordinaria ricerca. Per decenni le differenze di temperamento sono state attribuite a fattori esclusivamente ambientali. Quando le teorie di Freud imperavano, le differenze nella risposta emotiva e comportamentale delle persone venivano tutte legate a esperienze vissute, alla condizione familiare, a traumi subiti nella prima infanzia. Kagan rovescia qui la prospettiva e mette in risalto la base biologica del temperamento, mostrando come una parte importante del carattere sia invece direttamente influenzata dalla struttura genetica. Ma se è vero che c'è una base ereditaria è anche vero che le esperienze sono in grado di modellare una buona parte del nostro carattere. Il temperamento è come un blocco di pietra nello studio di uno scultore: le caratteristiche della pietra restringono la gamma di forme che lo scultore può ricavare, ma lasciano ampio margine alla creatività.
Gli scritti religiosi di Newton sono databili tra il 1660 e il 1680. Tenuti nascosti per secoli, ora tornano finalmente alla luce. Considerati come opera senile, se non minore, il reale motivo di tale colpevole dimenticanza è certamente il fatto "sconcertante" che Newton assegnasse alle Scritture un valore conoscitivo non dissimile da quello scientifico e che applicasse in questa lettura dell'Apocalisse e dei libri profetici lo stesso metodo deduttivo che ha trionfato nella sua opera fondamentale, i Principia Mathematica. Le Scritture diventano così strumento di dimostrazione e di conoscenza razionale delle verità ultime. Trascritta direttamente dai manoscritti originali, corredata da un'ampia introduzione e dal testo inglese a fronte, quest'opera si propone come un importante contributo alla conoscenza del grande Newton.
Oggi, più che del declino dei valori, forse occorrerebbe parlare della pericolosa incertezza in cui versano i discorsi. Il dibattito pubblico deraglia anche per la profonda confusione che riguarda certe parole-cardine della vita associata, come appunto "verità". La filosofia contemporanea ha riflettuto a lungo sulla nozione di verità, ma se poco o nulla è trapelato nella sfera pubblica, la mancata comunicazione va imputata ai filosofi stessi, troppo chiusi in ambiti di ricerca non dialoganti, innanzitutto, tra loro. Finalmente una delle filosofe italiane più lette crea il ponte di cui c'era bisogno, trattando la verità come un concetto "speciale", ossia fondamentale e trasversale, che va chiarito preliminarmente per non incorrere in abusi e fraintendimenti. Franca D'Agostini ci spiega in che cosa consiste la straordinarietà di questa parola, ne precisa significato e uso e ne discute la legittimità. A scettici e nichilisti raccomanda: rendete duttile la vostra logica, e non avrete più molte ragioni di scetticismo riguardo alla verità. Se infatti scienza, cultura, politica, religione si avvalessero di logiche più duttili e metafisiche più permissive, è probabile che molte difficoltà a discriminare il vero dal falso verrebbero meno.
La notte di san Valentino del 1982, una "tempesta perfetta" provoca l'affondamento di una piattaforma petrolifera al largo di Terranova. A bordo ci sono 84 membri dell'equipaggio, reclutati nelle cittadine della costa, giovani, poveri e inconsapevoli o incuranti del rischio. La storia narrata da Lisa Moore è quella di chi rimane. Helen O'Mara è una delle vedove, ha tre figli piccolissimi e ne aspetta un quarto. Helen è costretta a continuare a vivere, per essere insieme madre e padre, ma una parte di lei, quella innamorata di Cal, il marito morto, resterà congelata nella lunga notte d'inverno che ha cambiato la sua vita. Il lutto assume via via le forme del dolore, della ribellione, del rimpianto, del ricordo, del sogno, ma sembra non finire mai. Ogni pausa dall'impegno di cura, ogni sguardo che Helen alza verso la finestra dal lavoro di cucito che ha scelto per tirare avanti, le riporta alla mente un episodio della vita con Cal; ogni notte è affollata di sogni che si confondono con gli ingannevoli richiami del dormiveglia. Solo più di vent'anni dopo, quando John, l'unico figlio maschio, che non a caso ha scelto di lavorare come esperto di sistemi di sicurezza per le piattaforme petrolifere, telefona per annunciarle che diventerà padre, Helen si sveglia dal lungo, ostinato, torpore del desiderio. Il disgelo assumerà la forma concreta di Barry, un attraente quanto riservato artigiano che la saggia e attenta sorella Louise le ha mandato per sistemare la casa.
Chi è l'uomo studiato dal cognitivismo? Da diversi anni, sia in psicologia sia nelle neuroscienze, stiamo assistendo allo sforzo di indagare l'uomo come "persona", cogliendone gli specifici modi di essere che non sono riducibili a nessuna categorizzazione formale. È l'uomo incarnato e situato, quello cui deve mirare una matura scienza del soggetto. La psicoterapia cognitiva neuropsicologica, nel fare propria questa visione dell'essere umano come persona e non come "macchina/processo", utilizza la neuropsicologia per attuare una coerente traduzione tra i diversi linguaggi specialistici di area biologica e psicofenomenologica. Si tratta di una prospettiva che realizza il dialogo tra discipline specialistiche che cercano di dire, ognuna nel suo linguaggio, "quasi" la stessa cosa, ossia un fenomeno che in natura è uno: i modi di essere della persona che agisce e patisce.