"Se si possiede un tesoro, bisogna andare a ritrovarlo", sostiene Leo, sette anni. È così che inizia un viaggio che nessuno dei protagonisti potrà mai dimenticare. Leo, suo padre Danny e suo nonno, tre generazioni si ritrovano in un roadmovie avventuroso e divertente su una vecchia auto, con un atlante stradale non aggiornato, una modica provvista di pane e burro, alla ricerca del tesoro del bisnonno di Leo, Hermann Isakowitz. Secondo una leggenda di famiglia, infatti, lo stesso Hermann Isakowitz avrebbe sotterrato questo tesoro prima che la Polonia venisse invasa dai tedeschi e lui fosse ucciso dai nazisti. Così i tre Wattin, nipotino, padre e nonno, si gettano a capofitto in questo viaggio che è anche la storia della loro famiglia.
"La vita non aspetta nessuno: né ordinati, né disordinati. Non fa differenze, lei. Il suono dell'ultimo gong può sorprenderci in qualunque momento e nulla importa a chi lo suona se quell'istante ci trova nudi o elegantissimi, giovani o vecchi, ricchi o poveri, pronti o impreparati. E nemmeno se siamo ordinati o no." Passiamo buona parte della nostra vita cercando di metterla in ordine: a casa, sul lavoro, persino dentro noi stessi. A cosa rinunciamo mentre impieghiamo così tanta energia nella ricerca di un ordine perfetto? E se scoprissimo troppo tardi che ciò che ci rende davvero felici non nasce dalla disciplina ma dal caos? Anne Marie Canda ci invita a ripensare tutta la nostra vita, a vedere quanti limiti imponiamo a noi stessi e quanto tempo perdiamo abbracciando un'idea dell'universo e dell'esistenza fondata sull'ordine.
"Trieste è il suo mare. Un mare diverso da qualsiasi altro, che da subito cambia nome e diventa più familiarmente 'bagno', a indicarne una prossimità domestica: molteplice e paradossale. Al bagno ci si va non solo a prendere il sole, ma a chiacchierare, correre, litigare, lasciare giuramenti, con la pelle cosparsa di olio o con la sciarpa in pile tirata fino sopra il naso. Fin dall'infanzia si assorbe 'questa (fmiliarità con il mare, con il sentimento della sua necessità; quel senso delle grandi estati e della loro apertura. Un'apertura che non è solo fisica, ma anche culturale e umana'. Ogni bagno a Trieste è rigorosamente diverso dall'altro. Ognuno sa riconoscere il proprio a istinto, così come ogni scrittore sa raccontarlo: La Diga di Claudio Grisancich e Gillo Dorfles, gli scogli di Barcola nei ricordi d'infanzia di Claudio Magris, Mauro Covacich e Boris Pahor, l'ambigua e seducente Costa dei Barbari di Mary Barbara Tolusso, il Bagno Militare di Pietro Spirito, il bagno Sticco visitato da Veit Heinichen, il popolare Pedocìn di Pino Roveredo, fino al leggendario bagno Ausonia raccontato da Alessandro Mezzena Lona. A Trieste il mare non si può sfuggire, e il mito asburgico si frantuma e si ricompone nella promessa di una felicità sempre rimandata e mai smentita, sospesa tra la malinconia che prende a guardare il mare dai Campi Elisi la sera e la nostalgia fugace per la risata di un ragazzino che chiama il tuffo, bomba americana". (Federica Manzon)
Se sei morto, o stai per diventarlo, Faenza è il buen retiro che hai sempre sognato. O almeno così pensa Piero Schivazappa, in arte Rudi Ortolani detto Rudi O' che, in fuga dal frastuono del mondo, tenta maldestramente di scrollarselo di dosso. Con risultati tragici, in ogni senso: perché anche in mezzo alle piste ciclabili e con il mare in lontananza non c'è modo di sottrarsi al molesto cicaleccio degli indispensabili opinionisti nostrani, delle trasmissioni tv a bassissimo contenuto riflessivo, del frusto discorso politico, degli speciali su Padre Pio e soprattutto delle migliaia di notizie futili vomitate a getto continuo dai mass media. Attraverso un flusso di coscienza tra la confessione personale e la satira spietata, Gene Gnocchi in queste pagine dipinge un personaggio memorabile: comico, cupo e surreale allo stesso tempo, che sbeffeggia la nostra ossessione per la celebrità, l'ansia di essere à la page e le nostre velleità intellettuali. L'orgia chiassosa dei discorsi pubblici vuoti e ampollosi, degli scandali mediatici e della passività con cui facciamo finta che tutto questo sia normale.
Pubblicato per la prima volta a New York nel 1943, "II Piccolo Principe" ha fatto il giro del pianeta. Da allora è stato tradotto in più di centotrenta lingue e, sessant'anni dopo la scomparsa del suo creatore Antoine de Saint-Exupéry, rimane uno dei racconti più celebri del mondo. Un'agenda con immagini e citazioni che accompagna lettori grandi e piccini lungo tutto il 2016.
"Ti riassumo la storia prima di raccontartela: un uomo che sa scrivere uccide un arabo che quel giorno non ha neppure un nome - quasi l'avesse lasciato appeso a un chiodo prima di entrare in scena -, e poi comincia a spiegare che è tutta colpa di un Dio che non esiste e di ciò che ha capito sotto il sole e per il fatto che la salsedine lo costringe a chiudere gli occhi. Perciò l'omicidio rimane un atto assolutamente impunito e non è un delitto poiché non esiste legge fra mezzogiorno e le due, fra lui e Zoudj, fra Meursault e Moussa. E in seguito, per settant'anni, tutti si sono adoperati a fare sparire in gran fretta il corpo della vittima, a trasformare i luoghi dell'omicidio in un museo immateriale e a discorrere sul significato del nome dell'assassino. Che cosa significa Meursault? "Morto solo"? "Morto sciocco"? "Non muore mai"? Per mio fratello, invece, in tutta questa storia non è stata spesa neppure una parola. E tu, come tutti quelli prima di te, hai preso una cantonata. L'assurdo lo portiamo sulle spalle o nel ventre delle nostre terre io e mio fratello, non quello là."
L'"Ipparco" è uno tra i più eleganti e ironici dialoghi giovanili di Platone. La sua autenticità è stata messa in dubbio, ma Giovanni Reale, sulla scorta dell'ermeneutica gadameriana, adduce argomenti definitivi per l'attribuzione platonica. La tesi fondamentale del dialogo è che il "guadagno" è un "bene", e, poiché tutti non vogliono altro che il bene, allora ogni uomo vuole il guadagno, quindi è amante del guadagno. Così l'Ipparco è solo in apparenza privo di conclusione, mentre esprime la verità di fondo del pensiero socratico, che qui Platone accetta pienamente, e che presenta e difende con la sua grande arte.
A partire dal giudizio negativo di Friedrich Schleiermacher, la maggior parte degli interpreti ha inteso e intende ancora oggi "Gli amanti" come l'opera non autentica. Giovanni Reale dimostra però che le idee espresse in questo agile dialogo sono tipicamente quelle che Platone nelle opere giovanili attribuisce a Socrate, quindi o si tratta di un falsario geniale, oppure lo scritto è autentico. D'altra parte, l'asse portante degli "Amanti" è proprio quel concetto di "giusta misura" che qui viene delineato nella sua prima formulazione perspicua, e che in seguito verrà coerentemente ripreso e sviluppato non solo nei dialoghi più maturi (Protagora, Politico, Filebo), ma anche nelle dottrine non scritte.
Il Carmide è uno dei dialoghi giovanili di Platone più ricchi e più interessanti, con pagine di straordinaria profondità e attualità. Vengono qui messi in luce i limiti dell'antica tesi della medicina greca secondo cui non si può curare una "parte" del corpo senza curare "tutto" il corpo, e si dimostra che il corpo umano stesso è solo una "parte", in quanto l'intero dell'uomo è insieme corpo e anima. Il messaggio centrale del dialogo resta particolarmente valido anche per l'uomo d'oggi: per liberarsi dai mali, bisogna innanzitutto curare la propria anima in modo che domini il corpo, ossia occorre raggiungere un adeguato autodominio, la temperanza, perché solo così si può acquistare la vera salute.
"In questa collana presentiamo, in volumi singoli, i primi dialoghi platonici, interpretandoli come documenti che attestano in modo assai efficace 'il pensiero storico' di Socrate. La lettura di questi Dialoghi ci farà conoscere a fondo Socrate nella grandezza del suo messaggio rivoluzionario."