Arabi, turchi, africani, egiziani, cinesi, giapponesi, pagani, barbari, shintoisti, musulmani: sono tante le "realtà" - culturali, geografiche, religiose, antropologiche -, diverse da quella occidentale, che hanno trovato spazio nell'opera lirica. Molte di queste realtà, peraltro, hanno consentito all'Occidente di giungere, progressivamente e in un confronto storico articolato e complesso, alla definizione (ancora mutevole) di se stesso. L'opera lirica, pertanto, oltre che come prodotto artistico, può configurarsi anche come documento, capace di restituirci frammenti dell'immagine che l'Occidente ha "inventato" delle suddette realtà: nel modo in cui le ha rappresentate a teatro; nella voce che ad esse è stata data nel canto dei protagonisti; nel confronto scenico, talvolta ironico e talaltra drammatico, fra la cultura occidentale e l'altro da sé.
Il presente studio indaga la funzione cosmologica e cosmogonica che la prassi ritualistica divinatoria ebbe nel mondo Romano. Oltrepassato il livello dello scetticismo pregiudiziale, il materiale disponibile è stato considerato, alla luce della comparazione, nel suo svolgimento storico-culturale, al fine di rilevare gli elementi di continuità e di cambiamento prodottisi all'interno del sistema di divinazione di Roma antica, nel corso di quasi mille anni di storia. Ricostruire il significato religioso e civico della prassi ritualistica del sacra facere significa comprendere uno dei meccanismi essenziali di regolazione del sistema politeistico romano, del suo continuo ristrutturarsi nella storia, del suo rispondere alle sollecitazioni politico-religiose provenienti dall'esterno, senza rinunziare ai valori del mos maiorum.