«Ho sovvertito l’ordine del tempo, ho messo sottosopra il mondo intero e tutto questo l’ho fatto per te. Non ti sembra abbastanza generoso?»
David Bowie ci ha appena lasciati, e sarà difficile fare a meno di lui.
Forse più di chiunque altro il «Duca Bianco» è riuscito, nei suoi quasi cinquant’anni di incredibile carriera, a incidere sul costume, sulla moda, sull’immagine, sull’arte,
sulla cultura e sulla musica dei nostri tempi. Senza mai assumere il ruolo di rockstar, spiazzando ogni volta il mondo con i suoi mutamenti, David Bowie ci ha accompagnati come uno strano fratello o come un angelo venuto da un altro mondo, e con i suoi mutamenti e i suoi esperimenti ha demolito i generi e le identità sessuali, ha ispirato almeno tre generazioni di musicisti, ha influenzato le tendenze artistiche, ha anticipato spesso di decenni tutti i successivi movimenti musicali, esplorando terreni sconosciuti, ma anche raccontando i sogni e le paure di tutti noi. Scrive Pippo Delbono nella sua introduzione a questo volume: c’è sempre l’amore nelle canzoni di David Bowie, come del resto si potrebbe dire che l’amore c’è sempre in tutte le canzoni, anche nelle canzonette. Ma in Bowie come nei «grandi» della storia l’amore è un amore che non scappa dalla trasgressione, dalla ribellione. Un amore libero. E quindi eterno. Sacro.
Appunti sparsi sui giubilei del passato e sui loro protagonisti: dai romei, capaci di camminare per mesi pur di ottenere la remissione dai propri peccati, fino ai reali che, per farsi aprire le porte del paradiso, preferivano pagare. Ci sono le storie degli uomini che hanno saputo farsi onore davanti al loro Signore, e di quelli che invece hanno capito come riempirsi le tasche. Gli anni santi hanno spesso ispirato anche gli artisti, Giotto e Michelangelo, Dante e Petrarca, e cambiato il volto di Roma. Furono costruiti per il Giubileo Ponte Sisto sul Tevere, la scalinata di Trinità dei Monti, la fontana del Borromini a Piazza Navona. Bonifacio VIII cambiò poi i sensi di marcia, Leone XII concesse l'uso della margarina alle mense dei pellegrini, San Filippo Neri instaurò il giro delle Sette Chiese. Curiosità e aneddoti dal passato per capire il Giubileo di oggi.
Romero non è stato un eretico. E' però una figura complessa, fragile e visionaria come i poeti e i profeti, capace di spingersi al limite. Il limite del ruolo e del dogma, che l'arcivescovo non ha superato, ma interrogato fortemente si: nei suoi discorsi sulla necessità della violenza per difendersi dalla sopraffazione, nel suo rapporto con le organizzazioni popolari, nelle denunce contro i responsabili della repressione, che gli sono costate la vita.
Conducendo il lettore lungo una morbida passeggiata verso l'origine del mondo, questo libro racconta la storia dell'universo. Jean d'Ormesson, che con questo suo romanzo-testamento scritto alla soglia dei novant'anni ha superato nelle vendite tutti i suoi precedenti e numerosi best-seller toccando in pochi mesi il milione di copie vendute solo in Francia, si veste dei panni di un detective metafisico e conduce un'appassionante ricerca tentando, con la sua consueta allegria e la sua ormai proverbiale leggerezza, di svelare il mistero del niente, e cioè del tutto, e proponendo ai suoi amati simili, tutti noi esseri umani, non solo una possibile interpretazione di questo insondabile mistero, ma anche una forse accettabile via d'uscita dall'abisso dell'incertezza che attanaglia tutti noi di fronte alla nostra inevitabile fine.
Un'arancia così dolce, così bionda, così succulenta scatena il desiderio di Lupo e di Lupetto. Lupo la prende per il suo amico e il piccolo, tutto contento, vuole giocarci un po', ma in uno slancio di energia la lancia troppo lontana e l'arancia rotola via verso la città! Lupetto nel vedere lo sguardo sconsolato del suo amico decide di andare a cercarla e gambe in spalla si precipita verso la città. Quando verso sera Lupetto non è ancora tornato Lupo preoccupato va a cercarlo, nel cammino ritrova anche l'arancia, ma senza il suo piccolo amico non ha più significato e non sembra neanche più così succulenta... Età di lettura: da 5 anni.
Nel 1923, a 36 anni, Jean Cocteau pubblica il suo primo libro di disegni. Il poeta ha ritratto i suoi amici Raymond Radiguet, Pablo Picasso, Erik Satie, Francis Poulenc, ma anche numerose scene di vita quotidiana parigina, i balletti russi di Nijinski, allegorie, caricature, immagini poetiche. Cocteau si rivela un bozzettista pieno di talento, ma soprattutto un artista capace di cogliere l'essenza dei volti, dei comportamenti, delle debolezze umane, con la profondità spietata di Georg Grosz e Otto Dix, ma anche con tutta la sua infinita, morbida dolcezza.
Quanti sono gli obelischi di Roma? Dove morì Michelangelo Buonarroti nel 1564? Dove si trova il centro esatto di Roma? In quale teatro i Beatles si sono esibiti nel loro primo concerto a Roma il 27 giugno 1965? Chi era il grande scrittore russo che tra il 1838 e il 1842 abitò nel palazzo in via Sistina 125 e vi scrisse il suo capolavoro? Che origine ha il nome di via del Pellegrino? Dove sono sepolti i grandi poeti romaneschi Belli, Pascarella e Trilussa? Quanti sono gli animali raffigurati nella basilica di San Pietro? Roma è la città eterna, una delle città più antiche del mondo e più ricche di storie e di misteri. Riprendendo lo schema di "Conosci Parigi?", l'"invenzione" dello scrittore francese Raymond Queneau, la giornalista del Corriere della Sera Lauretta Colonnelli ci accompagna in una passeggiata nel passato e nel presente di Roma.
Il Pinocchio di Mattioli è caratterizzato da un uso emotivo ma mai retorico del colore: azzurro carta da zucchero, arancione, rosso spento, marrone e ocra, che vengono alternati in una sorta di solo apparente monocromatismo per costituire in realtà un raffinato sovrapporsi di piani che alimenta e sottolinea le suggestioni della narrazione. Ben riconoscibile è l'ambientazione in una Toscana popolare, artigiana e contadina: dalle architetture ai paesaggi, passando per i dettagli secondari, con uno stile compositivo a cavallo tra Ottone Rosai e il cubismo di Braque e Picasso. Lo stesso burattino è sempre rappresentato nella sua geometrica silhouette di mazzantiana memoria ma l'estrema e dinamica leggerezza con cui è tratteggiato sembra sottolineare l'inafferrabilità della sua essenza tra bambino e giocattolo, di automa ribelle e dall'inarrestabile esprit vital. Il volume presenta una nuova versione in brossura realizzata dopo il ritrovamento di altre sette tavole originali del 1954 avvenuto durante la preparazione della grande mostra sul Pinocchio di Leo Mattioli alla Biblioteca Nazionale di Firenze. Età di lettura: da 10 anni.
In quale salsa Gesù intinse il boccone che offrì a Giuda? A che ora ebbe inizio l'ultima cena? Chi la cucinò? Pesce, agnello o maiale? Arrosto o bollito? Vino bianco o vino rosso? Quali inni cantarono Gesù e gli apostoli dopo aver mangiato? Seduti o sdraiati? Chi pagò il conto? Quante Ultime cene con gamberi ci sono nelle chiese del Trentino? Quante ciliegie dipinse il Ghirlandaio nei cenacoli fiorentini? È vero che Leonardo era vegetariano? E perché riempì di anguille i piatti del suo Cenacolo? Chi fu l'unico artista a raffigurare la Pasqua ebraica? Perché Giuda veste di giallo? E perché ha i capelli rossicci? Che cos'è il "gomito rinascimentale"? Da dove arrivarono i gatti che compaiono sotto la tavola dei Cenacoli? Per quanti minuti deve riposare l'impasto degli azzimi? Perché i grilli sono puri? E perché le lumache no? Di quanto sono aumentate le porzioni della sacra cena negli ultimi mille anni? Chi ha dipinto la pagnotta più grande? Perché quasi tutti gli artisti hanno riempito di coltelli la mensa di Gesù? In quale Ultima cena appare il primo tovagliolo della storia dell'arte?
La grande lezione cognitiva e metodologica di don Milani, al di là della sua testimonianza spirituale e religiosa, è stata insieme semplice e straordinaria: spostare sempre lo sguardo dal centro della scena verso le cornici e le periferie; prestare attenzione curiosa e sincera proprio alle persone più lontane dal mondo in cui viviamo e averne cura; non banalizzare mai chi ci sta davanti, evitando regole e schemi di valutazione ovvi e precostituiti; e amare la conoscenza non come patrimonio esclusivo di pochi, ma come "bene comune", da redistribuire a tutti, soprattutto da costruire collettivamente con il contributo di chiunque, anche del più inaspettato ed emarginato dei partecipanti.