Come educare i giovani a quell'habitus mentale che consente l'agire deliberato e non abitudinario? Come stimolare la creatività, l'immaginazione e la passione per la conoscenza? In questo testo classico John Dewey, il grande filosofo americano, descrive in modo puntuale il funzionamento di un certo modo di pensare - il "pensare riflessivo" - da lui ritenuto quella forma di pensiero "intelligente" che consente di liberarsi dall'abitudine e dall'agire inconsapevole, sviluppando la curiosità, l'immaginazione, l'indagine. Una lettura importante per chi crede nella formazione mentale come finalità primaria dell'educazione e pensa alla scuola come "laboratorio" del pensiero e palestra per stimolare l'osservazione, l'amore per la ricerca e l'indagine che sono propri dell'atteggiamento scientifico. Un pensiero che coltivi il dubbio e riduca il rischio di accettare inconsapevolmente idee stereotipate e dogmatiche.
La progressiva specializzazione delle nostre conoscenze rende inevitabile il ricorso a forme rappresentative e non dirette di democrazia. È solo in una democrazia rappresentativa che, attraverso libere elezioni, si possono delegare rappresentanti più competenti dei cittadini a trovare i mezzi opportuni per realizzare l’interesse generale.
Malgrado inevitabili differenze, ci sono profonde analogie con i meccanismi che regolano la crescita della conoscenza scientifica. Quanto più cresce la conoscenza scientifica, tanto più si specializza e tanto più nascono linguaggi tecnici sempre meno accessibili al grande pubblico. La delega conoscitiva tipica delle comunità scientifiche si riflette nella necessità di affidare il compito di realizzare i nostri fini a rappresentanti più competenti di noi. Preservando la nostra autonomia di scelta, tale delega politica può al contempo impedire la formazione di tecnocrazie, in cui pochi tecnici decidano per tutti.
Prefazione all'edizione italiana di Piero Vereni
Due tra i più importanti antropologi affrontano un tema centrale: da dove viene il potere? Perché anche nelle società più semplici alcuni uomini prendono il sopravvento e agiscono come se il potere spettasse loro per qualche ragione sovrannaturale?
La filosofia politica ha cercato nelle infrastrutture (il modo di produzione, tipicamente) le ragioni della stratificazione del sociale, proiettando sul piano religioso la messa in scena “simbolica” di quel potere “reale”. Gli dei sarebbero cioè la trasfigurazione del potere dei re. In questo libro rivoluzionario Graeber e Sahlins rovesciano la catena causale e fanno dei re gli imitatori di un potere sovraumano che stabilisce una gerarchia cosmologica universale: i re cercano di riprodurre con i loro mezzi il potere ultra-mondano posseduto dagli dei.
Biografia degli autori
David Graeber
David Graeber è professore di Antropologia presso la London School of Economics. Scrive regolarmente per Guardian, Strike!, New Left Review. Tra i numerosi libri pubblicati in italiano ricordiamo Bullshit Jobs (2018)
Marshall Sahlins
Marshall Sahlins è professore emerito di Antropologia all’Università di Chicago. Nelle nostre edizioni ha pubblicato Isole di storia (2016).
Alcune impressionanti innovazioni tecnologiche permettono oggi di analizzare il DNA antico, facendoci comprendere, grazie soprattutto ai contributi di David Reich, che la genomica è uno strumento importante per conoscere le popolazioni passate.
Reich spiega con chiarezza ed eleganza senza pari come il genoma umano contenga in sé la storia della nostra specie. Spiega inoltre come la rivoluzione del genoma e il DNA antico stiano trasformando la comprensione della genealogia degli esseri umani moderni e come gli studi sul DNA portino alla luce la storia remota della disuguaglianza, della diversità tra le differenti popolazioni, tra i sessi e tra i vari individui entro una popolazione. Il suo saggio smentisce il dogma in base al quale non ci sarebbero significative differenze biologiche tra le popolazioni umane, e al tempo stesso utilizza la prova definitiva fornita dalla genomica per dimostrare che molto probabilmente le differenze esistenti non si conformano agli stereotipi comuni.
Da bambini ci viene insegnato che bisogna dire sempre la verità. Ma quando diventiamo adulti, se continuiamo a dire la verità sempre e in ogni caso, la nostra vita diventa un inferno.
Nel 1796, il giovane Benjamin Constant scriveva che il dovere morale di dire la verità inteso incondizionatamente rende impossibile qualsiasi società. A prova di questa affermazione Constant riportava la tesi di un non meglio identificato filosofo tedesco, giunto ad affermare che la menzogna restava un crimine, anche se detta a un assassino che ci chiedesse se un nostro amico, da lui perseguitato, è ospitato in casa nostra. Il vecchio Kant si riconobbe nella posizione del filosofo tedesco e scrisse, a pochi mesi di distanza, la sua replica: un breve saggio dal titolo Sul presunto diritto di mentire per amore dell’umanità.
Ma il tema della veridicità assoluta, come documentano i testi raccolti qui, attraversa tutta l’opera kantiana, alla ricerca di quella trasparenza in cui la vita e la verità passano l’una nell’altra, senza zone d’ombra: il sogno della filosofia, oppure il suo più terribile incubo?
In cattedra è un libro sui docenti universitari, che escono dalle aule e si presentano al lettore. Chi sono, come insegnano e perché lo fanno? Rispondono otto studiosi di scienze umane che in Italia, in Europa e negli Stati Uniti discutono ogni giorno con i loro più giovani concittadini di contesti e fonti, di identità, alterità e potere, di libertà, ricerca e istituzioni. Non saggi di pedagogia, ma autobiografie al lavoro. Otto voci italiane di una medesima generazione fanno tesoro della loro storia personale e intellettuale, e raccontano in prima persona cosa vogliono trasmettere a studentesse e studenti sempre diversi, esplicitando ambizioni e preoccupazioni, e come cambiano al cambiare delle persone cui si rivolgono, delle lingue che parlano, dei luoghi che li ospitano.Testimonianze e riflessioni sono raccolte qui senza tecnicismi e con una forte tensione ideale, muovendosi tra Dante e Netflix. Scritti di Giovanna Borradori, Gianluca Briguglia Marco Formisano, Manuele Gragnolati, Antonio Montefusco Silvia Romani, Miriam Ronzoni, Stefano Simonetta.
Il libro incrocia saperi e campi di ricerca differenti e risonanti: la pedagogia del corpo, il metodo autobiografico e le pratiche filosofiche convergono qui per aprire nuove riflessioni in coloro che si interessano di cura e di educazione. In molti contesti ci si interroga da decenni sul rapporto che intreccia la dimensione del corpo, dell'azione, dell'emozione, con quella della mente, del pensiero teorico, della concettualizzazione. Questo fermento è indiscutibile quanto il fatto che il cambiamento prospettato fatica a trovare una reale applicazione all'interno delle procedure educative e di cura. Il testo, che comprende riflessioni, esperienze e suggerimenti di pratiche, è un invito a fare e a pensare un'educazione e una cura dove "corpo e mente" si alimentino reciprocamente, in direzione di un approccio alla relazione di cui tutti abbiamo bisogno.
L’orrore del “califfato” di Daesh nel Levante tra 2014 e 2017 e il terrorismo su scala planetaria sono stati una paradossale conseguenza delle “primavere arabe” del 2011, che pure erano state celebrate in quanto “rivoluzione 2.0”.
Come ha fatto a instaurarsi il caos e sarà possibile uscirne in seguito all’eliminazione militare dello “Stato islamico”?
Questo libro ricolloca gli eventi nel loro contesto, a partire dalla guerra del “Kippur” del 1973, a cui seguirono l’esplosione dei prezzi del petrolio e la proliferazione del jihad. Viene poi proposto il racconto completo delle sei principali sollevazioni arabe, dalla Tunisia alla Siria. Si descrivono infine le linee di frattura nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, chiarendo quali scelte attendano i capi di Stato, così come i popoli di quelle regioni, ma anche i cittadini d’Europa.
Uscire dal caos è il frutto di quattro decenni di ricerche sul mondo arabo e musulmano e di esperienza sul campo da parte di Kepel e si basa anche su documentazione inedita.
Che cosa differenzia un expat da un migrante? In questo libro si parla di expat e di migranti mescolando con misura considerazioni e racconti di storie anche autobiografiche. Lo si fa dall’esterno, cioè da parte di chi osserva l’ondata di migranti infrangersi, in senso reale e in senso metaforico, sulle coste dei paesi-fortezza. E lo si fa dall’interno, ovvero a partire dalla condizione di chi ha provato l’espatrio e/o la migrazione, due aspetti di un fenomeno antico e moderno.
Anche se gli expat hanno i documenti in regola, denaro in banca e un buon posto di lavoro, la vita non è rosea neanche per loro. Ancor meno per i migranti che nessuno vuole, “povera gente! lontana da’ suoi, in un paese qui che le vuol male”. Eppure entrambi conoscono qualcosa di speciale: la libertà dei migranti.
Noi siamo il risultato di una serie di imperfezioni che hanno avuto successo. Il nostro cervello e il nostro genoma, due tra i sistemi più complessi che la natura abbia prodotto, sono pieni di imperfezioni. Sono le strutture imperfette a farci capire come funziona l’evoluzione, che non è un ingegnere che ottimizza le sue invenzioni ma un artigiano che fa quel che può e trasforma con fantasia il materiale a disposizione, arrangiandosi e rimaneggiando. Anche la storia naturale che ci ha condotto fin qui è un catalogo di imperfezioni che hanno funzionato, a partire da quella infinitesima deviazione nel vuoto quantistico primordiale da cui nacque l’universo.
Il filosofo della scienza ed evoluzionista Telmo Pievani, tra gli scrittori di scienza italiani più affermati, ritorna con un saggio sorprendente in cui Lucrezio e la scienza del XXI secolo vanno a braccetto. Ripercorrere la storia dell’imperfezione è importante perché oggi una potentissima specie imperfetta domina il pianeta: dunque, comprereste un’auto usata da Homo sapiens?