La sconfitta elettorale del 13 aprile 2008 segna la fase più drammatica per la sinistra politica nella storia repubblicana. Per la prima volta nessun rappresentante dei partiti di sinistra siede sui banchi del Parlamento italiano. Nelle stesse elezioni la destra, dopo un testa a testa prolungatesi per quasi quindici anni, ha conquistato una indiscutibile vittoria a tutto campo. Le radici di questa cocente sconfitta sono molteplici. Non si limitano agli errori, pur innegabili, compiuti dalle forze di centro-sinistra nei venti mesi del governo Prodi. A determinare questo esito sono stati ritardi ed errori di ben più lungo periodo, da parte sia della sinistra riformista, cioè il Partito democratico, che di quella radicale, in primo luogo Rifondazione comunista. La nascita di un soggetto politico che sia davvero nuovo a tutti gli effetti è oggi condizione ineludibile per la sopravvivenza stessa della sinistra politica in Italia e in Europa. Franco Giordano, ex segretario del Prc, è stato tra i protagonisti della vicenda della sinistra dopo lo scioglimento del Pci e della parabola del secondo governo Prodi e dell'Unione. In questo libro, alla luce della sua esperienza concreta, analizza, la crisi della sinistra partendo dalle sue radici più lontane e indica le condizioni necessarie per una sua rinascita. Ad arricchire l'analisi, le considerazioni introduttive di Fausto Bertinotti.
Poche dense pagine per affrontare un tema cruciale e scottante della nostra storia: la genesi della Repubblica sociale italiana e la sua breve ma intensa vicenda sotto il Reich nazista. Attraverso lo studio comparato di fonti d'archivio tedesche e italiane, l'autrice mette mano a un'onginalissima ricerca sulle reali motivazioni e le prospettive politiche che indussero Mussolini a porsi a capo del nuovo governo fascista, smentendo la tesi - cara a una certa memorialistica fascista, e poi divulgata dalla pubblicistica e da una distratta storiografia - di una scelta "sacrificale" di Mussolini, per sottrarre l'Italia alla feroce vendetta tedesca. Una tesi in realtà fondata su un vero e proprio falso storico, volto a giustificare la "repubblica necessaria", ma smentito tanto dall'analisi critica e filologica della sua genesi quanto da un rigoroso confronto con le fonti. Mussolini e i suoi seguaci, stretti fra la mera parvenza di un governo e l'assenza di una possibile alternativa, sembrano muoversi in un orizzonte politico avulso dal reale, intriso di accenti irrazionalistici. I rapporti fra Mussolini e Hitler, ma anche fra il gruppo dirigente fascista e quello tedesco, rivelano il radicale contrasto "fattuale" fra un "governo che non può governare", ma che velleitariamente ambisce a un ruolo di potenza nel Nuovo ordine europeo nazista, e la volontà della Fùhrung germanica di impiegare invece ai fini esclusivi del Reich la Repubblica di Salò.
Il muro di Padova, la scuola del Trullo e un centro antiviolenza a Roma, via Piave a Mestre, una coppia mista a Napoli, i bagni pubblici di Torino: sono questi i luoghi e le storie di "comune" immigrazione e di riuscita integrazione che Livia Turco ci racconta in questo libro. Ambienti, contesti, relazioni di quotidiana convivenza tra italiani e immigrati, alle prese con una condivisa paura da spaesamento culturale che spesso degenera nel rancore sociale, laddove ci si ritrova gomito a gomito. Questa paura sarà con noi per tanto tempo, dice Livia Turco, che smette momentaneamente i panni della politica di professione per cimentarsi con un'indagine sul campo che consente di decifrare quel disagio e aiuta il lettore ad affrontarlo senza farsene irretire. La strada da seguire è riconoscersi reciprocamente e stabilire relazioni con gli altri, non necessariamente mossi da spirito caritatevole, ma più spesso dall'interesse. È proprio questa molla, infatti, a innescare reazioni a catena, anche inaspettate, in cui italiani vecchi e nuovi si sentono motivati a cercare una convivenza positiva per avere un quartiere più sicuro, più bello, più vivibile. E scoprono così che l'obiettivo di costruire giorno per giorno una vita dignitosa riguarda tutti e travalica i confini delle lingue e delle culture.
I circa centocinquant'anni che vanno dagli inizi del Settecento all'Unità d'Italia conobbero avvenimenti che mutarono radicalmente le condizioni politiche, sociali, istituzionali del regno meridionale, nonché la produzione artistica, specie nel campo dell'architettura. Trattando dell'arte meridionale del XVIII secolo, occorre innanzitutto registrare l'"internazionalizzazione" della propria cultura artistica; che ha come sfondo il fenomeno decisivo dell'Illuminismo. L'Ottocento si apre invece con i fatti rivoluzionari del 1799 e con la successiva dominazione francese, che segnerà un punto di svolta nella cultura artistica, influenzata fortemente dai modelli d'oltralpe. Dal classicismo di Paolo De Matteis e Francesco Solimena alla grande architettura del periodo borbonico, con il fiorire dei siti reali, primo su tutti la reggia di Caserta progettata da Luigi Vanvitelli, il volume ripercorre l'intero arco di una produzione che ha dato i suoi esiti più alti non solo nelle arti "maggiori" (le sculture di Domenico Antonio e Lorenzo Vaccaro, la prolifica stagione del vedutismo con Giovan Battista Lusieri e Antonio loli), ma anche nelle arti applicate (le grandi dinastie di argentieri, riggiolari e marmorari attivi nella capitale e nelle province del regno).
Un grande maestro del cinema italiano racconta il suo cinema. A Monicelli non interessa tanto narrare le gesta, gli aneddoti, gli incontri di una storia personale fuori dall'ordinario; nel racconto veste piuttosto i panni di un artigiano, pronto a svelare le tecniche e i segreti di quel mestiere complesso e magico a cui ha dedicato una vita intera. La testimonianza del creatore della commedia all'italiana si trasforma in una lezione di cinema, in cui vengono ripercorsi i momenti fondamentali che hanno dato vita a tanti capolavori. Una lunga scuola che coincide con gli anni d'oro del cinema italiano, con l'invenzione di una "stagione italiana" di cui Monicelli è insieme figlio e creatore. Tanti gli incontri decisivi: Rossellini, De Sica, Antonioni, Totò, i grandi sceneggiatori (Age e Scarpelli, Benvenuti, De Bernardi, Suso Cecchi D'Amico), e poi la scoperta, in ruoli inediti, di Alberto Sordi e Vittorio Gassman. Sceneggiatura, accorta preparazione delle riprese, lavoro con gli attori, montaggio, doppiaggio (il maestro infatti non è mai passato a registrare il suono in presa diretta) sono tutti momenti cruciali che Monicelli racconta chiarendo le precise ragioni di scelte tecniche e artistiche dietro a cui non è difficile scorgere una pratica di lavoro che si trasforma in un vero e proprio metodo. Una carrellata lungo settant'anni di cinema italiano, in cui affiorano la forza e il segreto del genio di Monicelli.
Da sgangherato centro geografico-burocratico di una nazione che le preferiva un'altra «capitale morale», a modello vincente nell'immaginario collettivo e meta glamour del jet set internazionale. È bastato un quindicennio per capovolgere l'immagine di Roma, che a ottobre si accinge a lanciare il suo sindaco alla leadership del Partito democratico: una trasformazione che ha amplificato l'effetto-vetrina della città che aveva già imposto sulla scena nazionale il suo predecessore, Francesco Rutelli, ma anche il suo sfidante sconfitto, Gianfranco Fini. È la forza del modello-Roma: l'effetto, su una capitale adagiata su edilizia e pubblico impiego, di una politica pronta a giocare la carta della cultura, dell'innovazione e delle grandi opere per fare del turismo l'innesco di una crescita superiore a quella del resto del paese. E dotata di una capacità di inclusione che ha garantito alla città una relativa protezione dagli squilibri della globalizzazione e dagli effetti delle nuove povertà. A fronte di queste luci, restano le ombre che uno storico ritardo infrastrutturale proietta sulla vita della Città eterna: traffico infernale, servizi pubblici spesso in affanno, diffusa illegalità sono solo alcune delle sfide che il futuro riserva anche al prossimo inquilino del Campidoglio. Ma la rivincita di Roma - capitale del cinema, centrale nel sistema dei media - ha offerto a Veltroni il palcoscenico per una straordinaria performance seduttiva.
Tra i tanti massacri e genocidi che tristemente si sono succeduti nel secolo appena concluso, quello del popolo armeno ha forse avuto un risvolto drammatico in più: è stato negato, cancellato, coperto dall'oblio. Negli ultimi anni, però, coloro che sono sopravvissuti, i loro figli o i loro nipoti, hanno iniziato un importante, faticoso e dolorosissimo lavoro di scavo per portare alla luce la memoria della tragedia. Janine Altounian, una delle più importanti studiose francesi di psicoanalisi e traduttrice di Freud, figlia di genitori sopravvissuti al genocidio del 1915, a questo lavoro ha dedicato un'intera vita. Uno dei primi passi nella direzione del recupero della memoria del genocidio è stato il ritrovamento del diario che il padre scrisse nel 1921, subito dopo il suo arrivo in Francia, raccontando gli avvenimenti vissuti nel momento della deportazione. Si è trattato per la Altounian di una vera e propria scoperta, perché fino ad allora, pur essendo a conoscenza dell'esistenza di quel documento, non aveva avuto il coraggio di leggerlo. Il diario, qui pubblicato per la prima volta in traduzione italiana, testimonia quanto la riflessione storica sul dramma vissuto dal popolo armeno sia in questo caso connessa in maniera strutturale con l'esperienza vissuta e con il lavoro di elaborazione su di essa svolto.
"Esprimo un disagio - scrive Vannino Chiti - che credo non sia soltanto mio: nella politica italiana, da troppo tempo, c'è un di più di conflittualità, a volte di vera e propria contrapposizione, tra gli schieramenti, e al tempo stesso di scontri prevalentemente personalistici all'interno di essi". Si tende a ricondurre questo stato di cose alla caduta delle appartenenze, alla modernità della politica. È una spiegazione che non convince, specie se si guarda ad altre democrazie dell'Occidente (basti pensare agli Stati Uniti), nelle quali il confronto, anche duro, si lega in modo esplicito a proposte programmatiche e a sistemi di valori alternativi. Una simile, schietta, aperta battaglia delle idee non sembra oggi prevalere, nella politica italiana, che elude, più che affrontare, le questioni essenziali. È la debolezza delle proposte, la non chiarezza e coerenza dei comportamenti, a produrre quell'eccesso di conflittualità che allontana le persone dalla politica, rendendo sempre più esile la partecipazione alla vita delle istituzioni democratiche. È da qui che è necessario ripartire per una nuova, forte proposta del riformismo italiano.
"La nuova frontiera di Kennedy introduce un elemento nuovo di sfida e di orgoglio: il primato americano è minacciato, bisogna riscoprire il coraggio dei pionieri che si aprirono la strada verso ovest, bisogna sacrificare il presente a vantaggio del futuro. I campi di azione della nuova frontiera disegnano non promesse, ma sfide: le aree inesplorate della scienza e dello spazio, i problemi irrisolti della pace e della guerra, le sacche di ignoranza e pregiudizio non ancora conquistate, le disugualianze, la povertà". (dall'introduzione di Giancarlo Bosetti)
Filosofa, pensatrice politica, poetessa, Hannah Arendt (1906-1975) è stata una delle più grandi personalità del XX secolo. Raramente, come nel caso di questa donna straordinaria, percorso intellettuale ed esperienza biografica presentano un intreccio così profondo. Il suo pensiero, che ha avuto e continua ad avere un'eco cosi vasta m tanti campi del sapere, non è il risultato di un'attività puramente speculativa, ma porta con sé il riflesso di un'esistenza avventurosa, a tratti drammatica, e soprattutto vissuta con costante passione. Quando negli anni venti si laurea in filosofia con Karl Jaspers, le donne all'università sono ancora un'eccezione. Ad appena ventidue anni, ha già alle spalle una storia d'amore con il più grande filosofo del secolo, Martin Heidegger; un'esperienza destinata a segnarla per tutta la vita, sia dal punto di vista personale che intellettuale. Ebrea, costretta alla fuga a causa del terrore nazista, ripara in esilio dapprima a Parigi e, dopo un lungo peregrinare, in America. La vicenda di questa donna eccezionale rispecchia la storia di un secolo e di due continenti. Può essere letta come una testimonianza di coraggio e di impegno politico, entro l'orizzonte di un pensiero filosofico che invita all'amicizia e all'amore verso il mondo.