Nonostante in passato abbiano sconfitto il lupo cattivo, i tre porcellini, per paura di fare brutti incontri, trascorrono le loro giornate chiusi in casa, tra videogiochi, televisione, computer e divano, ingozzandosi di cibo. Quando vengono convinti dal dottor Casimiro a mettersi a dieta e a frequentare la palestra per perdere i chili in eccesso, i fratelli fanno una scoperta inquietante... Il loro istruttore è proprio lui, il lupo cattivo! Chissà se è davvero diventato vegetariano come dice o se, invece, rivedere i tre porcellini risveglerà in lui l'istinto carnivoro... Età di lettura: da 7 anni.
È strano scrivere su un foglio bianco, disconnesso. Niente commenti, niente battute come su Facebook o WhatsApp. Simona è in punizione: quindici giorni senza internet e cellulare. E allora prende carta e penna, e prova a chiarirsi la mente e il cuore. Punto uno: la famiglia. Sua madre è fortemente dedita al lavoro, quando serve c'è e per il resto la lascia in pace. Suo padre è un professore, un po' fissato con lo studio ma affettuoso. Suo fratello è un alieno, ma tanto si parlano il minimo sindacale. Punto due: i ragazzi. Mai avuto problemi, Simo va d'accordissimo con i maschi. Solo che ora le sue compagne sono fissate con i fidanzati. Nei loro discorsi c'è solo questo, trucchi e vestiti. Lei invece con i maschi gioca a calcio. Punto tre: le amiche. Per fortuna c'è Azzurra, la nuova arrivata, la migliore amica. E poi Cate, la ragazza di suo fratello, affascinante, sicura di sé. Per non perdere l'amicizia di Azzurra, per sentirsi grande come Cate, Simona prova a essere come le altre. Prova a uscire con i ragazzi, a lasciarsi baciare. Ma qualcosa in lei si inceppa. L'emozione non si accende. O forse si, ma non come per gli altri. Cosa c'è in lei che non va? Età di lettura: da 12 anni.
Scritto nel 1948 e pubblicato l'anno seguente con altri due romanzi brevi in un volume, "La bella estate", che avrebbe poi vinto il premio Strega, "Il diavolo sulle colline" resta uno dei libri più belli di Pavese. Vi si trova il suo clima morale più tipico, le tensioni e la fragilità di un'adolescenza che si protrae in una giovinezza sognatrice, più portata a fantasticare se stessa che ad agire, sempre in attesa di un evento straordinario che sembra in agguato nella placida noia di giornate sempre eguali.
Nel 1890 Conrad si recò per sei mesi in Africa: ne ritornò quasi in fin di vita, con un bagaglio di ricordi, disillusioni e "disgustosa conoscenza" da cui, nove anni dopo, sarebbe nato "Cuore di tenebra". Marlow, il protagonista, viene ingaggiato da una compagnia commerciale e mandato in Congo. Qui, viaggiando tra gli orrori del colonialismo, incontra Kurtz, enigmatico personaggio reso folle dalla solitudine e da una "volontà di potenza" nella quale la civiltà bianca rivela il suo vero volto: quel "cuore di tenebra" che non è tanto l'oscurità della wilderness africana, quanto l'identità - la colpa - dell'uomo europeo.
Il riconoscimento - l'agnizione dei latini, l'anagnorisis dei greci - è uno dei più grandi scandali della letteratura: ha luogo nell'azione drammatica, nel romanzo, nell'opera, nel cinema, e spesso scrittori maggiori e minori ne hanno fatto uso strumentale all'unico scopo di portare a conclusione la propria opera. È anche, però, un elemento centrale, come già rilevava Aristotele, della tragedia e della narrazione complessa, perché mette in scena l'affiorare della conoscenza: non in un processo teorico astratto, ma nella carne stessa, nei sentimenti, nell'intelligenza, degli esseri umani. Questo libro esplora le scene e i temi del riconoscimento dalla letteratura antica a quella medievale e moderna: da Omero e dalla sua Odissea all'Antico e al Nuovo Testamento; da Eschilo, Euripide e Sofocle a Shakespeare, da Dante a T. S. Eliot; dal "Conte di Montecristo" di Dumas al "Giobbe" di Roth, dal "Giuseppe e i suoi fratelli" di Mann all'"Ulisse" di Joyce. In ogni capitolo a un testo antico fa riscontro una serie di testi moderni, mentre la teoria del riconoscimento segue il percorso parallelo da Platone e Aristotele ai Padri della Chiesa e a Freud. Riconoscere, dice Euripide, è un dio: il deflagrare della conoscenza tra persone che si amano, o si odiano, possiede la forza, la sublimità, l'ilarità che per pochi attimi ci fa provare la vertigine del divino.
Il narratore senza nome che unisce le varie tappe di questo singolare percorso di formazione è un adolescente sensibile e malmostoso che legge Rimbaud, scrive stucchevoli poesie e s'ingegna per trovare la volontaria cui affidare la sua verginità. Il viaggio che in "Tutto" intraprende verso la "città tentacolare, la città infinita" di Murska Sobota, investito della missione di acquistare un congelatore orizzontale e armato di un'unica pillola anticoncezionale da offrire alla prescelta, ha il pathos del rito di iniziazione. Spesso l'assurdo e la violenza irrompono senza preavviso nel quotidiano. È il caso di "Stairway to Heaven", dove la pittoresca figura del fanfarone Spinelli nasconde una tenebra degna dell'ambientazione conradiana con cui il racconto si apre; o di "Commando americano", in cui i giochi di guerra infantili a Sarajevo mostrano l'inconfondibile marchio dell'odio senza età. Nel caso del narratore, partito dalla Bosnia appena prima dello scoppio della guerra, un'aura di fraudolenza impregna il rapporto con il mondo letterario di cui entra a far parte negli Stati Uniti. Complessa è la relazione che instaura con il poeta bosniaco Muhamed D., detto Dedo, in "Il direttore d'orchestra", o con il Premio Pulitzer Richard Macalister. A lui la "persona" di Hemon regala l'accesso allo scantinato dei propri segreti famigliari, e a lui dona pure l'esempio più esaltante di trasfigurazione narrativa in un finale che celebra il prodigio della grande scrittura.
Periferia di Milano, anni Settanta. Gli anni del terrorismo e della droga, dei sogni di Oriente e di liberazione. Una mattina, nella classe di un Istituto Agrario, fa la sua apparizione Giulia, una giovane professoressa di lettere che parla di letteratura e di poesia con una passione sconosciuta. È quell'incontro a "salvare" Massimo Recalcati che, in questo libro dedicato alla pratica dell'insegnamento, riflette su cosa significa essere insegnanti in una società senza padri e senza maestri, svelandoci come un bravo insegnante sia colui che sa fare esistere nuovi mondi, che sa fare del sapere un oggetto del desiderio in grado di mettere in moto la vita e di allargarne l'orizzonte. È il piccolo miracolo che può avvenire nell'ora di lezione: l'oggetto del sapere si trasforma in un oggetto erotico, il libro in un corpo. Un elogio dell'insegnamento che non può accontentarsi di essere ridotto a trasmettere informazioni e competenze. Un elogio della stortura della vite che non deve essere raddrizzata ma coltivata con cura e riconquistata nella sua singolare bellezza.
Le città si aprono intorno a chi le attraversa come un paesaggio e si chiudono come una stanza, diceva Benjamin. Ed è cosi per il narratore di questo libro, un nigeriano che torna nel suo paese dopo quindici anni vissuti a New York. È fuggito da Lagos quasi di nascosto, per motivi misteriosi forse anche per lui: certo c'entrano la morte del padre e un risentimento mai elaborato per la madre. Ecco, rabbia e amore sono la coppia che definisce il rapporto con la sua città: una metropoli enorme, brulicante di vite e di storie in una quantità che stordisce, avamposto della modernizzazione globale e allo stesso tempo calviniana città invisibile. Il testo è accompagnato da diciannove fotografie dell'autore, diciannove immagini che fanno da controcanto ai capitoli come una storia parallela, diversa eppure puntata verso la stessa direzione: sia le parole sia le immagini, in fondo, si interrogano sugli ostacoli della visione. Lagos è una città difficile da vedere, nelle foto di Cole appare spesso sfocata, nascosta dalla griglia di un recinto, da una tenda, da un finestrino offuscato dalla pioggia, dalla ragnatela di un vetro rotto. Allo stesso tempo le parole del narratore (studente di medicina e aspirante scrittore come il protagonista di "Città aperta") sono, è vero, di una lucidità che confina con la spietatezza, ma anche segretamente fessurate dalla malinconia, dall'irrequietezza, dal rancore di chi è stato tradito. Un appannamento dello sguardo che è quello proprio dell'amore.
Eccentrico già agli occhi dei contemporanei, Pico è sempre stato un pensatore difficile da collocare. Ricco, esibizionista, uomo di mondo e "dilettante di genio", il Conte della Mirandola è, a più di cinque secoli, una sorta di ospite illustre e scomodo della cultura italiana. Lorenzo de' Medici, tra i pochissimi che riuscirono a confrontarsi con lui (quasi) alla pari, lo definì "istrumento di sapere fare il bene e il male" e Pico, di cui tanto si è parlato e scritto, ci appare ancora come un enigma. L'"Orazione" sulla dignità dell'uomo è considerata uno dei testi più rappresentativi del Rinascimento, ma il resto della sua opera - in tutta la sua lussureggiante erudizione - rimane quasi inaccessibile, tanto ricca da sconcertare e confondere. Con questo libro, viene per la prima volta individuata una chiave interpretativa forte, che pone al centro delle riflessioni pichiane la qabbalah e il pensiero mistico ebraico, da Pico conosciuto grazie a moltissime traduzioni latine da lui stesso commissionate. Il Millennio è organizzato come un dizionario, per lemmi, e ad ogni lemma corrisponde una selezione di brani di Pico sul tema. Un'antologia eclettica e affascinante, per esplorare il pensiero vertiginoso di un "irregolare" che, pagina dopo pagina, ha saputo creare un cocktail esplosivo di filosofia, matematica, magia e astrologia, finendo - non a caso con l'essere accusato di eresia dai tribunali vaticani.
Paesaggi lontani e luoghi della memoria, storie di ombre, incontri con gli amici di una vita, riflessioni personali, letterarie ed artistiche si intrecciano in questo libro, il cui tono diaristico e spesso confidenziale riesce ad assumere valore di metafora. L'itinerario di Lalla Romano finisce col coincidere, ora con la peculiare tradizione europea, ora con le inquietudini contemporanee. Postfazione di Giovanni Tesio.