«Sara se n'è andata via il giorno in cui è finita la scuola. L'estate si è spalancata all'improvviso: ha inghiottito i miei bambini tutti insieme, ha svuotato la mia casa e io sono rimasto lì, una macchina sul ciglio di un burrone».
Ogni sera Pietro si china sulla pancia di Sara per sapere se dentro c'è qualcosa che nasce, e ogni sera lei, toccandosi il ventre, aspetta di poter dare un nome al loro futuro insieme. Ma la speranza rimane un'attesa, e l'attesa spacca tutto come una crepa nel muro. Fino a quando ogni cosa si sfalda e sul tavolo della cucina resta soltanto un foglio, o meglio una bomba che si prepara a esplodere. «Telefonato tua madre, è morto Mario». E poco sotto una domanda scritta di fretta: «Mario?» Mario è il nonno di Pietro, ma più che un parente è lo scheletro nell'armadio di una famiglia e di un paese intero. Tornato folle dalla campagna di Russia, vissuto dentro una clinica eppure morto per tutti, per lui la guerra non è mai finita. Ora fa la sua comparsa morendo per davvero, come un fantasma molto terreno che ha lasciato troppe domande dietro di sé.
L'estate si apre quel giorno con un duplice addio, spalancata come una casa vuota e piena di strade possibili. La prima è un viaggio a ritroso, con in tasca il peso di un segreto che Pietro e Sara si sono nascosti tanto a lungo da non poterlo dimenticare.
La seconda è un viaggio sul Don, carico di tutte le storie che Mario non ha mai raccontato: un percorso lungo quasi settant'anni, alla ricerca vana di una Russia che non c'è più, come provare a tuffarsi nelle acque del 1943.
Sono i ricordi degli altri che dentro di noi non trovano appiglio, come promesse tradite dal tempo. Con una scrittura tesa e tersa fino alla poesia, Andrea Bajani ci racconta la responsabilità e la difficoltà di ricordare. La memoria è una trama forata, i fili si slacciano e si disperdono nell'ordito di una realtà vissuta al presente.
Ma è proprio lì, tra le omissioni e le mancanze, che forse si annida un senso. Lungo quelle strade deviate, dove si affacciano risposte impreviste a domande mal poste.
«La Cecenia è come il 1937, il 1938, - mi dichiara nel suo piccolo ufficio moscovita un dirigente di Memorial -. Si sta portando a termine un grande piano edilizio, si assegnano alloggi, ci sono parchi dove giocano i bambini, spettacoli, concerti, tutto sembra normale e... di notte la gente scompare».
Una mattina di settembre, poco dopo aver concluso la prima stesura di questo libro, Jonathan Littell riceve una mail: Natal'ja Estemirova, una delle principali attiviste per i diritti umani a Groznyi, è stata sequestrata.
La Estemirova è nota in tutto il mondo per le sue inchieste sui casi di sparizioni, torture ed esecuzioni extragiudiziarie che ogni giorno contribuiscono a mantenere la Cecenia in un clima di costante terrore. La sua visibilità, così si credeva, l'avrebbe tenuta al sicuro: la stessa cosa si diceva anche della sua amica Anna Politkovskaja. La sera di quello stesso giorno il cadavere di Natal'ja viene rinvenuto in un bosco alla frontiera con l'Inguscezia, crivellato di colpi.
La notizia getta una nuova luce sulle due settimane trascorse nel Caucaso da Littell, costringendolo di fatto a riscrivere il reportage del suo soggiorno alla corte del presidente Ramzan Kadyrov nell'anno terzo del suo governo.
Littell è già stato in Cecenia, durante le due guerre, in missione per alcune organizzazioni umanitarie e ha sempre mantenuto stretti contatti con il paese: ricorda bene, pertanto, i giorni in cui la vita di un ceceno non valeva un copeco. Così, se all'inizio pensava di porre l'accento sul ritorno, difficile ma percepibile, alla normalità, l'assassinio della Estemirova lo mette di fronte all'illusorietà di tale pacificazione.
La «cecenizzazione», cioè la decisione presa da Vladimir Putin nel 2002 di insediare nel paese un forte potere filorusso, composto principalmente da ex separatisti, nell'indagine di Littell si svela essere il nome presentabile di un sistema che ha fatto della corruzione più sfrenata, dell'islamizzazione a oltranza, della cooptazione forzata dei ribelli, della tortura e dell'omicidio, gli strumenti quotidiani per il controllo del territorio.
Che cosa è stato il sacco di Roma compiuto nel 1527 dai lanzichenecchi e dalle altre truppe dell'imperatore Carlo V? La storiografia lo ha spesso descritto come un evento traumatico per la storia di Roma e della penisola italiana, ma non come una vera e propria frattura, in diversi casi un semplice riferimento cronologico utile, al piú, a scandire i tempi della periodizzazione storica. Con questo libro Chastel si contrappose polemicamente a tale orientamento e riaffermò con forza, arricchendola di nuovi contenuti, l'interpretazione del sacco come frattura, data dai grandi storici del passato: da Guicciardini a Burckhardt. Una frattura che non risparmiò gli equilibri politici e sociali di Roma, ma si ripercosse soprattutto sulle tradizioni, sui costumi, sull'immagine e sulla spiritualità della capitale del mondo cristiano, spezzando letteralmente in due il corso della vita romana.
Da dove sto chiamando, l'«autoantologia» voluta da Carver nel 1988, poco prima della morte, presenta nella versione scelta e curata dall'autore racconti appartenenti a tutto l'arco della sua produzione, da quelli del libro d'esordio Vuoi star zitta per favore? ai sette «nuovi racconti» di Elephant. Permette così al lettore di scorgere forse nel modo più compiuto possibile gli orizzonti narrativi che si richiamano da un punto all'altro dell'ormai leggendaria «Carver Country».
C'è ovviamente la coppia (o meglio, forse, gli individui che la compongono), fotografata nei suoi vari istanti, sovente nelle diverse fasi di una crisi: nell'attimo in cui qualcosa si rompe definitivamente, come in I chilometri sono effettivi; nel momento stesso di una separazione annunciata da una lettera dalla calligrafia «irriconoscibile», come in Pasticcio di merli; nel dopo della solitudine, come in Febbre, dove forse basterebbe una baby sitter come si deve per sperare di rimettere insieme i cocci di una famiglia. Le donne e gli uomini carveriani si trovano di fronte, all'improvviso e forse quasi senza accorgersene, alla resa dei conti con il sogno americano di provincia - disfattosi tra bottiglie, traslochi, debiti - e al tempo stesso solo sfiorati da quel che di rivoluzionario e avventuroso sembra accadere in posti come San Francisco o l'Alaska. Oppure a raggiungerli è un'eco di violenza: quella del reduce nero di Vitamine, che come amuleto porta con sé l'orecchio rinsecchito di un vietcong, l'esplosione di aggressività repressa di un padre mite in Biciclette, muscoli, sigarette o l'ottusità inquietante del protagonista di Con tanta di quell'acqua a due passi da casa. O ancora, è l'alcol a scandire le giornate, le ore, i minuti di molti di loro, in racconti come Un'altra cosa, Attenti, Da dove sto chiamando. Proprio un centro di recupero per alcolizzati fa da sfondo al racconto che dà il titolo alla raccolta, dove, nella storia dello spazzacamino J. P. e della moglie Roxy, con l'ombra di Jack London a fare da monito, il protagonista intravede una possibilità di cambiare qualcosa, fosse anche solo chiamare la moglie per farle gli auguri per l'anno nuovo. O telefonare alla sua ragazza per dirle, semplicemente: «Ciao tesoro, sono io».
Il 150° anniversario della nazione non dovrebbe essere solo l'occasione per sventolare bandiere tricolori o indulgere nella retorica: richiede invece un ripensamento profondo sulla storia d'Italia e sul contributo del Paese al futuro del mondo moderno. A tal fine si rivisitano le grandi figure del Risorgimento (da Cattaneo a Cavour, da Manin a Pisacane, da Mazzini a Garibaldi) cosí che le loro riflessioni si mescolano in presa diretta alle nostre. Per «salvare» l'Italia, Paul Ginsborg fa affidamento su alcuni elementi fragili ma costanti presenti nel nostro passato: l'esperienza dell'autogoverno urbano, l'europeismo, le aspirazioni egualitarie e l'ideale della mitezza. Fondamenti dotati della carica utopica necessaria per creare una patria diversa.
La storia di Tönle Bintarn, contadino veneto, pastore, contrabbandiere ed eterno fuggiasco è l'odissea di un uomo che tra la fine dell'Ottocento e la Grande Guerra rimane coinvolto nei grandi eventi della Storia e combatte una battaglia solitaria per la sopravvivenza.
L'anno della vittoria, continuazione ideale della Storia di Tönle, è quello che va dal novembre 1918 all'inverno successivo e racconta di una famiglia e di un paese che devono risollevarsi dall'immane naufragio della guerra.
A concludere la Trilogia dell'Altipiano, Le stagioni di Giacomo: in una contrada uscita stremata dalla Grande Guerra, un giovane cerca di sopravvivere facendo tanti mestieri, per ultimo il recuperante.
Nel silenzio dei monti, alla ricerca di residuati bellici, Giacomo impara a conoscere la natura e a decifrarne il linguaggio segreto.
Con uno stile secco e incisivo, una leggerezza e un ritmo davvero unici, in questi tre romanzi composti in tempi diversi eppure legati fra loro da nessi molto forti, Rigoni Stern ci restituisce un mondo di memorie ancora integro, dando voce alle cose, alle persone, alla natura nei loro aspetti piú autentici, testimonianze di un'umanità di confine che vince nonostante la Storia.
«Su di noi avevano fatto un film», dice Clay. Un film tratto dal libro che un loro amico aveva scritto ispirandosi alla sua storia e a quella di Blair, Trent, Julian e Rip. Il problema è che il loro amico, che sarebbe poi diventato uno scrittore e che si chiamava Bret Easton Ellis, ce l'aveva con Clay e per questo l'aveva trasformato nel narratore «bello e stordito, incapace d'amore e di bontà» di quel romanzo intitolato Meno di zero: «Ecco come diventai il giovane viveur rovinato e festaiolo che si aggirava tra le macerie, il sangue grondante dal naso, ponendo domande che non avevano mai bisogno di risposta». Ma oggi, venticinque anni dopo, Clay è tornato in città - di nuovo Los Angeles, di nuovo durante le vacanze natalizie - e questa volta è pronto a raccontare la sua storia in prima persona: senonché la storia, come canta Elvis Costello, molto spesso non fa che ripetere «gli antichi vezzi, le facili risposte, le stesse sconfitte».
Diventato (dopo aver abbandonato l'idea di fare lo scrittore come Bret) sceneggiatore di mediocre successo, Clay è a Los Angeles per scegliere il cast dell'ultimo film a cui sta lavorando. Qui incontra gli amici di gioventù, solo con più anni, più soldi e più problemi: Blair, la sua ex ragazza, si è sposata con Trent che nel frattempo è diventato un potentissimo agente delle star di Hollywood, Julian ha messo in piedi una discreta agenzia di escort, mentre Rip¿ Rip ha sempre fatto storia a sé.
Quando a una festa incontra la giovane, splendida Rain e se ne innamora - se la parola ha un senso per uno come lui - Clay precipita in una dimensione in cui paranoia e terrore sono i muri di un labirinto da cui non riesce, o non vuole, uscire.
Bastano questi accenni per far intuire al lettore il gioco di specchi, rimandi e false piste con cui Ellis, mai così disincantato e ironico, intesse il suo inquietante racconto. Disperazione e violenza, noia e glamour, autoindulgenza e degradazione sono gli atomi costitutivi del mondo (o dell'inferno) in cui Ellis, impeccabile come suo solito, ci fa da guida.
«Ellis è un moralista che si interroga su come le persone si trasformano in mostri. A quale livello di dolore o di indifferenza l'uomo smette di essere umano?»
Financial Times
«Ellis non solo scrive bene, ma sembra che lo faccia senza sforzo. Sesso, droga e chirurgia plastica».
Tatler
L'epica eroica, torbida, idealista e ribalda dell'Italia che nasce. Dal lato oscuro del Risorgimento, un racconto sul nostro presente. Il giovane aristocratico Lorenzo, catturato nel ’44 in Calabria in una battaglia contro le forze borboniche, ha salva la vita in cambio del tradimento, da quel momento suo compito sarà spiare Mazzini. Ma per essere fino in fondo un traditore, Lorenzo deve essere anche un eroe, almeno agli occhi dei rivoluzionari. Riparato a Londra, Lorenzo ritrova Striga, la misteriosa fanciulla muta dai capelli rossi che tutti credono pazza o posseduta dal demonio. Intanto, a Palermo, un mafioso in erba capisce che la sua convenienza è assecondare il movimento nazionalista, e diventa l’ombra del giovane barone di Villagrazia, che ha in mente ambiziosi traffici internazionali. Mentre le insurrezioni e le cospirazioni si susseguono, e la storia fa il suo corso, e nella ospitale Londra si decidono i destini dei patrioti profughi e delle belle inglesi, Mazzini sfugge ad ogni attentato, anche perché, forse, un cambiamento vero si sta producendo nell’animo di Lorenzo… Quando, infine, l’Italia sarà fatta, un nuovo, inesorabile, arrogante potere sospingerà ai margini tutto ciò che era stato autentica vita. E tutti, eroi, traditori, idealisti e voltagabbana, tutti dovranno fare le proprie scelte.
Nonostante i racconti e le prose brevi siano stati uno dei maggiori impegni creativi di Beckett, restano tra le sue cose meno conosciute. Una impopolarità difficile da spiegare, anche perché Beckett scrisse prose brevi durante tutta la sua attività creativa e la loro qualità non è certo inferiore ai romanzi o alle pièce. Lo stesso Beckett considerava i suoi testi brevi degli «scritti importanti». La sua poetica del resto lo spingeva più verso la contrazione che l’espansione, e la prosa breve diventò presto la forma narrativa prediletta, il distillato di forme più lunghe. Immaginazione morta immaginate (lungo solo 1500 parole) recava nell’edizione inglese la seguente indicazione: «questo brano è stato concepito come un romanzo e, nonostante la sua brevità, rimane un romanzo, un lavoro di finzione nel quale l’autore ha rimosso tutto meno l’essenziale... È probabilmente il romanzo più breve mai pubblicato».
Benché tutti celebrino l’era dell’individuo sovrano e dell’io autosufficiente, scendendo dal piano alto delle idee per praticare la vita quotidiana, ci imbattiamo in una moltitudine di fenomeni che segnalano tutt’altro. Il rifiuto patito in una relazione amorosa, la stigmatizzazione perché fisicamente «diversi», l’ostracismo negli ambienti di lavoro, l’essere ignorati dalla propria famiglia costituiscono esperienze dolorose che quasi tutti gli esseri umani, chi più chi meno, vivono nel corso dell’esistenza. A dispetto di questa pervasività del fenomeno, la psicologia gli ha prestato poca attenzione sistematica, sopratutto nei confronti dell’ostracismo sul piano interpersonale. Proprio l’essere esclusi, respinti e ignorati è il focus di questo libro che – per la prima volta nel panorama editoriale italiano – affronta una condizione esistenziale diventata un ingrediente quasi inevitabile della nostra società contemporanea.