Storie di coraggio e di amore. Storie che fanno rabbrividire e, insieme, commuovono. Storie di ragazze che hanno amato l'uomo sbagliato e di famiglie che le hanno ammazzate. La giornalista turca Ayse Onal scava nei rimorsi, nell'ignoranza e nella stupidità degli assassini per capire come si possa giungere a uccidere per onore persone che si amano. Con una scrittura piena di pietà, ma così rigorosa da non tacere nulla, riesce nell'impresa di illuminare le figure delle vittime e ricostruire le vicende che le hanno condotte a morire. Tra disperati tentativi di fuga, matrimoni forzati, amori improvvisi e travolgenti. Dopo botte, umiliazioni, violenze. E così, leggendo dell'indomabile Remziye o dell'ingenua Papatya, si squarcia il velo di indifferenza che avvolge un fenomeno di proporzioni immani. Nella sola Inghilterra si stima che circa 18 mila ragazze ogni anno siano vittime di crimini legati all'onore. Una tragedia che non chiama in causa soltanto la Turchia, dove il libro è ambientato, ma l'umanità intera. Anche l'Italia, sempre più spesso, come dimostra la cronaca.
Da quattro mesi i marciapiedi di Parigi riservano una sorpresa apparentemente innocua: grandi cerchi blu tracciati con il gesso, e al centro una serie di oggetti stravaganti: un trombone, una pinzetta, un vasetto di yogurt, una candela... I giornalisti indagano per sfamare l'interesse dei lettori e gli psicologi si dividono tra chi grida al maniaco, e chi ipotizza la burla. Adamsberg, però, non trova nulla di divertente nell'escalation dei cerchi: la sua fine psicologia di conoscitore del male gli lascia intuire che dietro l'apparente stramberia si nasconde qualcosa di morboso. E ben presto i fatti gli danno ragione: un'altra alba e un altro cerchio su un marciapiede, ma stavolta, al centro esatto, un corpo di donna. Parte così una corsa contro il tempo per fermare un assassino del quale si ignora letteralmente tutto.
Una storia ottocentesca, ma modernissima: una contestazione della donna romantica attraverso l'evidenza prosaica della fatalità piccolo-borghese. E la storia della maturazione di una ragazza di provincia, figlia di un notaio, che riesce a fatica a liberarsi dell'"immensa uggia" che la soffoca per anni, abdicando all'amore, intenso ma inespresso, per un suo giovane pretendente e rassegnandosi, lei "fresca come una rosa", a sposare un quarantenne brutto e incolore. "La Colombi - osserva Natalia Ginzburg nella nota introduttiva presenta le persone e i fatti senza colorarli di rosa né sollevarli in una sfera nobile" ma in "un modo ruvido, allegro e sbadato" che conquista il lettore. Italo Calvino pubblicò questo romanzo per la prima volta da Einaudi nella collana "Centopagine".
In questo volume Asor Rosa non si limita a ripercorrere le ultime fasi di quella modernità iniziata ed esplosa nei due volumi precedenti, ma analizza ugualmente "il declino del moderno", o postmoderno che dir si voglia, caratterizzato dalla crisi dei "disegni generali", delle ideologie, della persuasione di scrivere per cambiare l'uomo e la storia. Un Novecento lungo in cui vengono ridefiniti gli statuti letterari che avevano contraddistinto l'operare degli scrittori nelle epoche precedenti. La letteratura come presa di posizione elitaria puntava tutto sulla distinzione e sull'originalità, viceversa nella società di massa il valore viene ricollocato dove ci sia il gradimento di molti se non di tutti. Questa è una delle cesure più rilevanti raccontate in questo libro. Ma se la storia letteraria del Novecento (e Duemila) è un momento di grandi trasformazioni e radicali cambiamenti, è anche un percorso di permanenze forti. Come per la poesia, che con Montale e altri autori ha rappresentato il vertice qualitativo del secolo scorso, e che ancora oggi, secondo Asor Rosa, rappresenta il più forte segnale di continuità con la tradizione.
La famiglia Manson, Mick Jagger, Keith Richards, Marianne Faithfull e tutti gli altri. L'indimenticabile ritratto collettivo di una generazione di rock star, registi e visionari che in un crescendo di violenza e follia collettiva trasformò nel'69 l'Estate dell'Amore nell'Estate dell'Orrore. Come una sequenza montata col genio e la sregolatezza di Kenneth Anger, le immagini di Sway si susseguono in un crescendo inquietante e magnetico, raccontando il sogno hippy e la sua deriva demoniaca. Dall'innocenza e il glamour dei Rolling Stones degli esordi, alla morte di Brian Jones annegato nella piscina di casa, dagli omicidi Manson al tragico concerto di Altamont.
La rockstar Bucky Wunderlick, all'apice della fama, decide di abbandonare il suo gruppo mentre è in corso una tournée. Si rifugia in un angolo nascosto di New York, in un appartamento di Great Jones Street, per sfuggire al culto della personalità di cui è oggetto e a un successo in cui non crede più. L'esilio del protagonista, però, è continuamente disturbato dalle visite più disparate: giornalisti a caccia di scoop, agenti interessati a certe sue incisioni inedite, emissari di una misteriosa comune agricola che tentano di coinvolgerlo nel commercio di una nuova e potente droga carpita ai laboratori federali.
Quella degli ottomani fu una storia di espansione e declino durata seicento anni. Cominciò ai piedi delle montagne dell'Anatolia, si nutrì delle energie delle zone di frontiera per poi travolgere il potere bizantino e portare alla costruzione di un impero che all'epoca del suo massimo splendore si estendeva dal Danubio al Nilo. L'impero era islamico, ma molti dei suoi sudditi non erano musulmani e nessuno cercava di convertirli. Controllava le più importanti vie commerciali tra Oriente e Occidente, ma non era particolarmente interessato al commercio. Era un impero turco, ma molti dignitari, funzionari e soldati erano slavi dei Balcani. Chi viveva fuori dai suoi confini lo temeva, i popoli che ne facevano parte lo consideravano un miracolo di dinamismo e organizzazione. Prodigioso anche nella decadenza, nonostante la crescente corruzione, l'inconcludenza di alcuni sultani e l'inettitudine dei comandanti militari, smentì per trecento anni continui pronostici di imminente collasso e riuscì comunque a sopravvivere ai suoi più acerrimi nemici: lo zar di Russia e l'imperatore asburgico. Jason Goodwin accompagna il lettore in un viaggio dilatato nel tempo e nello spazio in cui capitoli narrativi si alternano ad altri dedicati ad aspetti particolari, come il ritmo di vita all'interno dell'impero o il modo in cui gli ottomani combattevano o andavano per mare.
A proposito dell'apostolo Tommaso, tutti sanno che infilò il dito nel costato di Gesù. Ma lo fece davvero? Un'approfondita disamina del Vangelo di Giovanni rivela quanto poco comprendiamo in realtà della più enigmatica delle figure bibliche, e quanto invece potrebbero insegnare le strane metamorfosi che la sua storia ha subito nel tempo. A partire dal Nuovo Testamento, Glenn W. Most ricostruisce le trasformazioni di Tommaso nei secoli: santo gnostico, missionario in India, eroe di scetticismo ed esempio negativo di miscredenza, blasfemia e violenza. Ricche di paradossi e tensioni, queste trasformazioni creative operate da narratori, teologi e artisti rivelano il complesso intreccio di relazioni fra i testi e le loro interpretazioni e i misteriosi meccanismi della fede, dell'amore e dell'identità personale. Partendo dalla decifrazione del ventesimo capitolo del Vangelo giovanneo, messo a confronto con le conclusioni dei Sinottici, il libro termina con un'analisi dettagliata del dipinto dedicato da Caravaggio a Tommaso l'Incredulo, passando per le tradizioni pittoriche della tarda antichità, il Medioevo e il Rinascimento. Lungo questo percorso, l'autore prende in considerazione le reazioni al racconto di Giovanni da parte di interpreti di diversa matrice filosofica e religiosa, e le letture teologico-cristiane dal II secolo alla Controriforma, mostrando come la storia di Tommaso si confronti con le questioni fondamentali della religione, della filosofia, dell'ermeneutica e della vita.
Un romanzo che, tra finzione e verità storica, lega il nazismo all'estremismo islamico. A raccontare la storia di questo romanzo sono due fratelli nati da madre algerina e da padre tedesco. Parlano al lettore attraverso le intime pagine dei loro diari. Entrambi sono stati allevati nella banlieue parigina da un vecchio zio immigrato, mentre i due genitori sono rimasti in Algeria. A Parigi Rachel si è sposato con la bella Ophélie e ha fatto carriera in una multinazionale, mentre il fratello minore Malrich non è riuscito a integrarsi. Nel 1994 il Gruppo Islamico Armato massacra nel villaggio dei genitori trenta persone in nome della guerra santa. Al dolore per la perdita dei genitori si aggiunge, per i due fratelli, una scoperta ancora più atroce: loro padre - che in Algeria aveva partecipato alla guerra d'indipendenza dalla Francia, diventando poi il capo del villaggio - era stato un ufficiale delle SS e come ingegnere chimico aveva fatto esperimenti sul gas usato nei lager. Rachel è sconvolto. Decide di fare i conti col passato del padre; ma quello che scoprirà sarà insostenibile. Basato su una storia vera, il romanzo porta in primo piano tre episodi che sembrano dissimili, ma che invece hanno molti punti di contatto: la Shoah, vista attraverso gli occhi di un giovane arabo che scopre con orrore la realtà dello sterminio degli ebrei.
In un isolato villaggio di montagna, un centro terapeutico costruito verso la metà dell'Ottocento è il teatro in cui Dürrenmatt fa muovere i personaggi della sua "commedia". Durante l'estate il centro "Casa della Povertà" è usato come luogo di riposo dai milionari stanchi della loro ricchezza e desiderosi di cambiar pelle per un breve periodo, mentre d'inverno diventa ospedale e rifugio di gangster costretti dalla loro famigerata celebrità a cambiare i connotati. Il Grande Vecchio senza barba, rovescio pagano del Dio del Vecchio Testamento, manovra gli eventi e i personaggi del mondo paradossale e insensato di Dürrenmatt, in cui positivo e negativo si equivalgono e si sovvertono di continuo, i crimini più orrendi avvengono con estrema naturalezza e tutto e tutti sono intercambiabili. E questo universo non è una "valle di lacrime", bensì nient'altro che una "Valle del Caos", dominata dal principio dell'assurdo. Con il linguaggio graffiante che gli è peculiare Dürrenmatt colpisce la società con una satira amara e grottesca, condotta sul filo di una tensione sempre incalzante, che si risolve in un finale grandioso e apocalittico.