
Un uomo aspetta la nascita del figlio. Giorno dopo giorno insieme alla sua compagna immagina il piccolo essere vivente che presto rivoluzionerà la casa, le parole, i sentimenti, che a tutto darà nuovo significato. Emozionante viaggio poetico che ha inizio prima dell'esistenza stessa, percorre le tappe essenziali dell'infanzia e conduce alla scoperta della voce immaginata del neonato, Ombelicale è la dolce dichiarazione di vero amore di un padre per il suo bambino. «Uno dei libri più personali di Neuman: il quotidiano e il lento plasmare dei sentimenti ne fanno ora una raccolta lirica, ora un diario pieno di perplessità, umorismo ed emozioni» (Karina Sainz Borgo) «Lieto, figlio mio, di cominciare insieme a essere ciò che saremo». Questa è la storia dell'autore e del suo bambino, Telmo. Padre per la prima volta, Andrés Neuman si muove in un territorio che impara a conoscere e a decifrare giorno dopo giorno: perché per raccontare una nuova vita bisogna inventare un altro linguaggio, riprodurre gesti importanti prima privi di significato, riempire il cuore di quel sentimento ancora sconosciuto che è amore incondizionato, e forse anche qualcosa di più. Con la stessa intensità, padre e figlio stringono le estremità di un cordone molto diverso da quello che lega il bambino alla madre durante la gravidanza: la loro è un'unione invisibile che le emozioni e la gioia comune per i piccoli traguardi dell'infanzia rendono solida e concreta. Un'unione fondata sulla convivenza quotidiana, e su una promessa che aspira a superare i confini terreni dello spazio e del tempo. Per Andrés Neuman diventare genitori rappresenta sempre una sfida e oggi - proprio come era stato per sua madre e suo padre nell'Argentina della dittatura militare - richiede un atto di fiducia nei confronti del futuro, e la totale adesione alla speranza di un cambiamento di rotta nella folle corsa di questo nostro mondo. Un mondo che, nonostante tutto, è ancora in grado di accogliere il miracolo della vita e gioire della sua meraviglia.
La crisi in cui si dibatte la sinistra - non solo italiana - rivela un drammatico vuoto di pensiero e di idee. Per prima cosa, bisogna ricostruire il quadro culturale di una nuova identità. La straordinaria trasformazione delle società occidentali in seguito alla rivoluzione tecnologica e alla fine di quella che si può definire l'età del lavoro e della grande industria ha mutato radicalmente la scena economica e sociale in cui ci muoviamo. La tesi del libro è che questo cambiamento ha reciso per sempre le radici di classe della sinistra, che si è trovata quasi all'improvviso senza basi su cui poggiare la propria esistenza. Ma c'è tutto lo spazio per costruire una sinistra che sappia vivere - come non ha mai fatto - al di fuori dello scontro di classe. Il libro individua così due grandi campi intorno ai quali ricostruire un pensiero e una strategia progressista: una nuova idea di eguaglianza - svincolata dalla catastrofe del socialismo - e l'impegno per un mondo globale orientato non solo sui mercati e sulla loro cultura, ma su un modello inclusivo di cittadinanza oltre la cornice degli Stati.
«Nel regime dell'informazione essere liberi non significa agire, ma cliccare, mettere like e postare». La digitalizzazione sta da tempo interessando anche la sfera politica e gli sconvolgimenti che produce nel processo democratico e nelle nostre vite sono massicci, epocali. Storditi dalla frenesia della comunicazione a ciclo continuo, ci ritroviamo impotenti di fronte a un sistema che trasforma l'essere umano in una miniera di dati da estrarre. Il nostro modo di pensare e intervenire nel mondo, il nostro rapporto con la verità stanno inesorabilmente cambiando. Siamo apparentemente liberi, ma incapaci di discutere. Immersi nell'infocrazia, nella quale libertà e sorveglianza coincidono, assistiamo al tramonto dell'epoca della verità. Con la forza che l'ha reso celebre, il filosofo tedesco che sta riscrivendo la mappa concettuale del nostro tempo traccia un ritratto argomentato ma implacabile dell'èra in cui viviamo. Perché capire davvero ciò che sta accadendo è l'unico modo di resistere.
Nel centenario della marcia su Roma che dette inizio alla dittatura fascista tocca a Liliana Segre - che nel 1938 fu espulsa da scuola a causa delle leggi razziste e nel 1944 fu deportata ad Auschwitz - presiedere la prima seduta del Senato della XIX legislatura. Ne nasce un discorso memorabile, di rilevanza storica e civile, una dichiarazione d'amore per la Costituzione repubblicana, «non un pezzo di carta, ma il testamento di centomila morti caduti nella lunga lotta per la libertà». Se il fascismo è stato «il filo nero che dalle leggi razziali ha portato alla Shoah», l'articolo 3 della nostra Costituzione è la «stella polare» che, afferma la senatrice Segre, «bandisce le discriminazioni e impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono ai cittadini il pieno sviluppo dei loro diritti, delle loro libertà, della dignità». Completano il volume una accorta introduzione di Alessia Rastelli, un breve nuovo testo di Liliana Segre e il saggio conclusivo di Daniela Padoan, che situa il discorso al Senato nella parabola di una tra le più alte testimoni della Shoah. Introduzione di Alessia Rastelli.
Come prima cosa, Federico ha un corpo. Esagerato, ingestibile, deriso a scuola e compatito in famiglia. Un corpo di vent'anni e centocinquanta chili, nato con una fame ancestrale. Di cibo e di altro. Finché quell'appetito incontra lo sguardo di Giulia: ecco che Fede sarà costretto, letteralmente, a sottomettersi a una nuova forma di piacere. "Il paradosso della sopravvivenza" è un romanzo sullo spazio che occupiamo ogni giorno, quasi senza badarci. E insieme una riflessione sotterranea sul potere che lo sguardo altrui esercita sulle nostre scelte. Soprattutto, è la storia di un corpo ingombrante in un mondo ingombrante, a cui corrispondono desideri ingombranti. Lui si chiama Federico Furlan, detto Fede, ma per tutti a Pratonovo è soltanto «il ciccione». In famiglia, a scuola, e poi da adulto, sul lavoro, Fede non può mai dimenticare il peso che si porta addosso, la tenera e inseparabile corazza di carne che lui foraggia costantemente a suon di cibo. Eppure, anche se infelice, Fede si sente invincibile. Il suo medico gli ha illustrato «il paradosso della sopravvivenza», bizzarra teoria clinica secondo cui le persone obese avrebbero un tasso di mortalità inferiore rispetto a quelle normopeso, come se il grasso facesse da scudo alle minacce del mondo. Le cose cambiano quando Fede conosce Giulia, consapevole di essere bellissima e forse ignara di trovarsi pericolosamente vicina all'anoressia. È lei a proporgli un gioco dalle regole spietate. Provate a immaginarli nudi, l'uno di fronte all'altra, lei quasi invisibile e lui che riempie tutto lo spazio: durante i loro incontri Fede ha il divieto assoluto di toccarla, e l'obbligo di mangiare senza sosta tonnellate di cibo. Giulia lo domina, fredda e dispotica, e per difendersi non c'è corazza che tenga. Così, pieno di vergogna, Fede prende l'unica strada che gli resta: quella della fuga. Giorgio Falco ha scritto un romanzo che contiene moltitudini: la desolazione di un paesaggio alpino non troppo dissimile dalle periferie industriali, la reificazione delle emozioni e dei pensieri, il controllo che la pornografia esercita sulle nostre pulsioni, la lotta quotidiana per la sopravvivenza che regala improvvisi lampi di comicità. Grazie a un protagonista che arriva a fagocitare se stesso, Falco ragiona su tutti i corpi - sessualizzati, perfetti, respinti, inadeguati, storpi, desiderati, mortificati, accolti - con cui ogni giorno ciascuno di noi entra in rotta di collisione. «Il mondo è il mio peggior nemico. Io sono il mio nemico».
«Non sono né un pessimista né un ottimista, sono solo uno scienziato che prova a spiegare come funziona davvero il mondo». Su cosa si regge un sistema globale in cui per fare arrivare un pollo in tavola è necessaria una quantità di energia pari a mezza bottiglia di greggio? Tra i massimi esperti di scienze ambientali, Vaclav Smil descrive con straordinaria chiarezza i meccanismi complessi che permettono il nostro benessere e immagina, per noi, un futuro possibile. Il mondo in cui viviamo consuma 370 milioni di tonnellate di plastica l'anno, 150 milioni di ammoniaca, 1,8 miliardi di tonnellate di acciaio e 4,5 miliardi di tonnellate di cemento. Il lavoro ormai decennale di Vaclav Smil si fonda su una certezza incrollabile: per affrontare qualsiasi problema in maniera efficiente è necessario conoscere i fatti e partire dai dati. Accompagnati nell'esplorazione di principî e macrosistemi ci scopriremo di volta in volta sorpresi, indignati, fiduciosi. E, a lettura ultimata, certamente più informati e consapevoli.
«La paura finisce dove comincia la verità». Maria Cristina Palma ha una vita all'apparenza perfetta, è bella, ricca, famosa, il mondo gira intorno a lei. Poi, un giorno, riceve sul cellulare un video che cambia tutto. Nel suo passato c'è un segreto con cui non ha fatto i conti. Come un moderno alienista Niccolò Ammaniti disseziona la mente di una donna, ne esplora le paure, le ossessioni, i desideri inconfessabili in un romanzo che unisce spericolata fantasia, realismo psicologico, senso del tragico e incanto del paradosso. Niccolò Ammaniti è ritornato più cattivo, divertente e romantico che mai.
La migliore «lezione» è quella che insegna a controllare le emozioni con l'intelletto e a muovere l'intelletto con le emozioni. Quotidianità e culmine di una via alla conoscenza, la lezione, così come la pensa e desidera Gustavo Zagrebelsky, è insieme un tempo e un luogo di amicizia - di filìa -, creativo tanto per gli studenti quanto per il professore. «La lezione è una sorta di chiamata a raccolta intorno al sapere». La lezione mette insieme persone diverse e parole diverse: è, anzi, una «casa delle parole», parole con le quali professore e studenti creano il mondo nominandolo. «La scuola e la lezione, che si nutrono necessariamente di parole, hanno di conseguenza questo dovere primario: usarle con tutte le cautele del caso, sapendo che il veleno dell'equivoco è sempre in agguato». Lezione si fa insieme, come una passeggiata fra amici. Amici, però, soprattutto della conoscenza. Se il professore inevitabilmente deve sedurre, deve farlo non verso se stesso, bensì verso la materia che tratta. A lezione c'è «fascino» se c'è «voglia» di partecipare... «con allegria, commozione, paura, turbamento: insomma con l'intelletto e l'emozione». A lezione, nessuno può permettersi di «ripetere» e basta, se si fa sul serio. Né gli studenti né il professore. Tutti, ognuno per la parte che gli compete, devono partecipare al processo della ricerca. La lezione pensa se stessa mentre si sviluppa, con pause, digressioni, interventi di qualche studente, per poi riprendere il filo, il cammino. Per tutto il resto basterà il manuale, quello sì, per forza, fisso e ripetitivo, semplice strumento di supporto, sostituto impossibile della creatività e, di piú, della vivacità della lezione. Come voti ed esami del resto, che, con un simile tipo di lezione, diventano quello che sono da sempre: mero controllo degli «strumenti» di base per addentrarsi nella materia. L'organismo vivente della «classe» è una società in miniatura e così «la costruzione di una classe può essere vista come una prefigurazione, una promessa, un'immagine della società che vogliamo costruire, competitiva, discriminatoria, violenta oppure cooperativa, ugualitaria, amichevole». Ciò che in fondo la scuola richiede è di pensarsi in modo utopico, come qualcosa cui si lavora incessantemente ben sapendo che la perfezione è irraggiungibile. Solo allora vale la pena di essere severi. E, quando occorre, eretici.
Cinque anni possono cambiare un mondo. Una vita, tante vite. Il grande ritorno del commissario Ricciardi. È il 1939, sono trascorsi cinque anni da quando l'esistenza di Ricciardi è stata improvvisamente sconvolta. E ora il vento d'odio che soffia sull'Europa rischia di spazzare via l'idea stessa di civiltà. Sull'orlo dell'abisso, l'unico punto fermo è il delitto. Fra i cespugli di un boschetto vengono ritrovati i cadaveri di due giovani, stavano facendo l'amore e qualcuno li ha brutalmente uccisi. Le ragioni dell'omicidio appaiono subito oscure; dietro il crimine si affaccia il fantasma della politica. Con l'aiuto del fidato Maione - in ansia per una questione di famiglia - Ricciardi dovrà a un tempo risolvere il caso e proteggere un caro amico che per amore della libertà rischia grosso. Intanto la figlia Marta cresce: ormai, per il commissario, è giunto il momento di scoprire se ha ereditato la sua dannazione, quella di vedere e sentire i morti.
In questo nuovo "Museo del mondo", Melania Mazzucco crea una galleria di capolavori nei quali la donna è "soggetto due volte": perché concepisce e realizza l'opera e perché ritrae se stessa o un'altra donna. Qui il lettore incontrerà artiste straordinarie, la cui grandezza è stata ignorata, sminuita o del tutto negata, poiché spesso gli uomini insinuavano che dietro la sapienza inventiva e la perizia tecnica si nascondesse una mano maschile. Anche quando riconoscevano alle donne una certa bravura, trovavano il modo di ridimensionarla. Di Plautilla Nelli, Vasari diceva: «Avrebbe fatto cose meravigliose se, come fanno gli uomini, avesse avuto commodo di studiare et attendere al disegno e ritrarre cose vive e naturali». Mazzucco ci chiede di rovesciare la frase: «Nonostante, invece che se. Nonostante non avesse potuto studiare né conoscere il mondo e la natura, nonostante avesse dovuto lavorare su repertori e immagini di altri e creare pittura dalla pittura e non pittura dalla natura e dalla vita, nonostante avesse difficoltà ad aggiornarsi e nessuna libertà di muoversi, Plautilla Nelli possiede cognizioni geometriche, un buon disegno, il dono di combinare i colori. È una Maestra, insomma». Da Artemisia Gentileschi a Plautilla Briccia ("l'architettrice"), da Frida Kahlo a Georgia O'Keeffe, fino a Carol Rama, Louise Bourgeois e Marlene Dumas, Mazzucco ci affascina e ci coinvolge con nuovi, emozionanti racconti dall'universo della pittura e della scultura. Un percorso collettivo, tutto femminile, nel quale le donne rivendicano il diritto di realizzarsi nell'arte, superando i ruoli che la società e la cultura del tempo hanno sempre assegnato loro.