
Il modo in cui i cristiani consideravano il destino dell'anima nell'aldilà subí una radicale e rivoluzionaria mutazione tra la fine del mondo antico e l'inizio del Medioevo, cioè tra il 250 e il 650 d.C. Peter Brown descrive come questo cambiamento abbia trasformato il rapporto istituzionale della Chiesa con il denaro e posto le basi al suo dominio della società medievale d'Occidente. Secondo la dottrina cristiana delle origini i vivi e i morti erano ugualmente peccatori, bisognosi gli uni degli altri per ottenere «il riscatto dell'anima». Le intercessioni devote dei vivi potevano dunque determinare il diverso destino, tra paradiso o inferno, delle anime dei defunti. Nel III secolo, il denaro cominciò dunque a giocare un ruolo decisivo: i cristiani benestanti iniziarono a far uso di pratiche devozionali sempre piú raffinate per mettere in salvo la propria anima e quella dei loro cari: assicurandosi sepolture in luoghi privilegiati e facendo ricche donazioni alla Chiesa. A partire dal VII secolo, in Europa cominciarono a proliferare sontuosi monasteri e cappelle funerarie che attraverso lo splendore dei marmi rendevano visibile le qualità cristiane dei morti piú facoltosi, come se una parte del tesoro immaginato in cielo fosse ricaduto sulla terra. In relazione alla crescente influenza del denaro, la dottrina della Chiesa sulla vita dopo la morte da argomento speculativo si trasformò in qualcosa di molto piú concreto. L'uso della ricchezza personale per cercare di raggiungere la salvezza dell'anima, oltre ad alimentare sbalorditive dimostrazioni di generosità, scatenò accesi dibattiti, destinati a protrarsi per secoli, sul significato e l'uso appropriato della ricchezza come anello di congiunzione tra cielo e terra, vivi e morti.
Tutte le società possono perire, corrompendosi dal loro interno. Come gli organismi, possono degenerare. Per rigenerarsi, occorre mettere fine a qualcosa del passato, rinunciare a qualcosa cui si è fatta l'abitudine. Si dice che, per vivere, occorre saper morire: del tutto, se la degenerazione è inarrstabile; in parte, se è ancora rimediabile. Nel discernimento di ciò che è vivo e ciò che è morto dovrebbe consistere la politica. L'ideologia odierna è l'esatto contrario: la crescita e lo sviluppo che non ostacolano, ma moltiplicano i fattori della degenerazione. Così, al di là di vuoti e ipocriti discorsi a favore dei cosiddetti diritti delle generazioni future, la presente, credendo di salvare se stessa, sta lavorando contro. Come le età della vita si stanno contraendo nella sola giovinezza, così le generazioni corrono il rischio di ridursi a quella presente che opera credendo di potere disporre illimitatamente e immediatamente delle risorse che la terra, ancora per poco, è capace di offrire.
"Ciò che importa sono le relazioni, non c'è altro: come le cose e le persone si legano tra loro". A parlarsi, in questo romanzo, sono un padre e una figlia. E lo fanno come fosse la prima volta, esplorando, sospinti dall'audacia della maturità e della giovinezza, e da una familiarità prima sconosciuta, ora più intima. Si incontrano in Provenza, un luogo per entrambi lontano ma da entrambi amato. Lui, benché distratto, si guarda alle spalle per consegnare la propria storia a lei, Irène, per dirle tutto quello che non ha mai saputo o immaginato. Ma il racconto di sé, inevitabilmente, non può prescindere da lacerazioni e rotture, da divisioni dell'anima che si esprimono in continue divagazioni e dubbi, dando vita a una narrazione che obbedisce alla circolarità e che fa i conti con i difetti della memoria. A lei, quindi, il compito di raccogliere il flusso dei ricordi, di ascoltarlo e sollecitarlo con domande sempre nuove, di allargare quella trama di cui è intessuta ogni esistenza facendo però attenzione a non aprirla troppo. E così, sullo sfondo delle bianche mura di Avignone e dei paesini sferzati dal vento, si dipana un'anamnesi che è anche sentimentale e filosofica: i viaggi, i romanzi, le donne, gli autori più amati, gli affetti perduti, gli incontri fortuiti; e ancora e soprattutto le sconfitte patite nel corpo e nelle illusioni, quella dimensione liminare fra la vita e la morte a lungo indagata nel corso di una degenza in ospedale.
La vicenda del prefetto romano di Giudea raccontata in un libro di storia. Da duemila anni Pilato è una figura di intersezione fra la memoria e la storia, come Romolo o Giovanna d'Arco. Aldo Schiavone costruisce qui un ritratto del prefetto di Giudea ripercorrendo gli eventi che portarono alla morte di Gesú, culmine della narrazione cristiana e punto di contatto fra ricordo evangelico e storia imperiale. Con appassionato rigore, e in serrato dialogo con le fonti, Schiavone non si prefigge alcun intento teologico o politico, ma solo quello di risolvere un enigma, descrivendo e spiegando quel che potrebbe essere accaduto.
"Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie". Si apre cosi la lettera che Vanda scrive al marito che se n'è andato di casa, lasciandola in preda a una tempesta di rabbia impotente e domande che non trovano risposta. Si sono sposati giovani all'inizio degli anni Sessanta, per desiderio di indipendenza, ma poi attorno a loro il mondo è cambiato, e ritrovarsi a trent'anni con una famiglia a carico è diventato un segno di arretratezza più che di autonomia. Perciò adesso lui se ne sta a Roma, innamorato della grazia lieve di una sconosciuta con cui i giorni sono sempre gioiosi, e lei a Napoli con i figli, a misurare l'estensione del silenzio e il crescere dell'estraneità. Che cosa siamo disposti a sacrificare, pur di non sentirci in trappola? E che cosa perdiamo, quando scegliamo di tornare sui nostri passi? Perché niente è più radicale dell'abbandono, ma niente è più tenace di quei lacci invisibili che legano le persone le une alle altre. E a volte basta un gesto minimo per far riaffiorare quello che abbiamo provato a mettere da parte. Domenico Starnone ci regala una storia emozionante e fortissima, il racconto di una fuga, di un ritorno, di tutti i fallimenti, quelli che ci sembrano insuperabili e quelli che ci fanno compagnia per una vita intera.
Qualcosa di nuovo e straordinariamente vitale ha colonizzato i media digitali e il web negli ultimi dieci anni. Le forme che eravamo abituati a considerare cinema, televisione, giornalismo, editoria, collocandole in campi specifici, oggi non solo tendono a coesistere nello stesso ambiente mediale, ma si incrociano e ibridano in modi inediti e profondi. Dai video di YouTube, Vimeo e Facebook a Instagram, dalle web serie ai tutorial ai film in Realtà Aumentata e al "postcinema"... Si tratta di una vera e propria galassia di fenomeni ed esperienze che rifiutano di farsi catalogare in modi tradizionali e che rivelano i caratteri e le tendenze piú sorprendenti della società digitale contemporanea e futura, protagonisti di un sistema economico in tumultuosa espansione nel quale è impensabile prescindere dal software e dagli audiovisivi.
Parigi. Durante una notte di foschia un giovane viene investito da un' auto e si ritrova in ospedale insieme alla donna che era al volante, anche lei leggermente ferita, e a un uomo bruno robusto dall' aria losca che, dopo avergli consegnato una busta, si allontana. Una volta dimesso, nonostante la gamba dolorante e la mente ancora un po' confusa, il ragazzo decide di ritrovare la Fiat verde acqua e la ragazza dell'incidente, di cui conosce solo il nome, Jacqueline Beausergent. Un incidente piuttosto banale apre cosi un canale misterioso con il passato e dà vita a una serie di domande: chi è Jacqueline? Si tratta forse della stessa donna che lo aveva accompagnato da bambino in ospedale, quando aveva avuto un incidente simile uscendo da scuola? E cosa vuole da lui quell'uomo dall' aria losca? Ma prima di tutto il ragazzo conduce un'inchiesta su se stesso: nulla sappiamo di lui, neppure il suo nome di battesimo. Il suo ritratto prende forma partendo da una scarpa troppo stretta, persa durante l'incidente, da un vecchio giaccone sporco di sangue e da un passaporto con una data di nascita falsificata per diventare maggiorenne prima del tempo. In una Parigi misteriosa e notturna, fra i caffè del centro e una periferia in rovina, il giovane va alla ricerca del padre, un padre che già una volta lo ha abbandonato e che di nuovo scompare nel silenzio e nella nebbia.
L'ispettore Ding Gou'er è sulle tracce di un orrendo traffico che consente ad alcuni selezionati ristoranti di offrire ai propri clienti un cibo prelibatissimo: la carne di neonato. Inviato a Jiuguo per verificare la fondatezza delle anonime accuse ricevute in Procura, Ding è costretto a continue libagioni nei banchetti ufficiali a cui è invitato dalle autorità locali, e, obnubilato dai fumi dell'alcol, non riesce mai a capire se quanto gli viene imbandito è veramente carne umana o una presentazione ad effetto frutto della manipolazione di altri ingredienti: le braccine che gli vengono offerte come leccornia si rivelano gambi di fiori di loto abilmente modellati dal coltello del cuoco. Nelle indagini trova antagonisti e compagni, non sempre fidati, e incontra una serie di incredibili personaggi, dalla seducente autista di camion al diabolico nano imprenditore, dal boss locale alla responsabile dell'Accademia di cucina che insegna a cucinare gli ornitorinchi, dal guardiano del Cimitero dei martiri rivoluzionari al venditore ambulante di ravioli, una fantasmagoria di personaggi che spesso sfumano nel fantastico e nel demoniaco. Nei dieci capitoli dedicati all'inchiesta, sono incastonati uno scambio epistolare tra l'autore e un aspirante giovane scrittore esperto di distillazione di alcolici, e un suo racconto breve con personaggi e vicende che rimandano o echeggiano la narrazione cornice: si viene cosí a creare un gioco di specchi tra realtà e finzione.
Un romanzo vorticoso, vivace, profondamente contemporaneo, che attraversa le esperienze più belle e angoscianti della vita: il talento, l'amore, la fede e la capacità di creare.
Per molto tempo gli storici hanno dato per scontato ciò che era evidente ai testimoni dell'epoca: che la rivoluzione francese fu causata dalle idee radicali dell'Illuminismo. Negli ultimi decenni gli studiosi hanno invece cominciato a sostenere che la rivoluzione venne portata avanti dalle forze sociali, dalla politica, dall'economia o dalla cultura; da quasi tutto insomma, escludendo però i concetti astratti di libertà e uguaglianza. In questo libro, uno dei maggiori storici dell'età dell'Illuminismo restituisce alla storia intellettuale della Rivoluzione la sua legittima centralità. Attingendo copiosamente a fonti di prima mano, Jonathan Israel ricostruisce il gigantesco dibattito intellettuale che produsse e accompagnò le varie fasi della Rivoluzione francese, dimostrando come tali idee divisero i capi rivoluzionari in blocchi ideologici violentemente opposti, e come questi conflitti sfociarono infine nel terrore. Nella rivoluzione culminarono gli ideali di emancipazione e di democrazia dell'Illuminismo, se si concluse diversamente è solo perché tali idee vennero tradite.