Chi muove i fili della politica italiana? Quali scambi si fanno, ogni giorno, nei ministeri? Su quali soluzioni al limite della legge si fonda la ragion di Stato? Un capo di gabinetto svela dall'interno le regole non dette e i segreti inconfessati dei palazzi del potere. "Ogni tanto qualcuno mi chiede che mestiere faccio. Non ho ancora trovato una risposta. La verità è che una risposta non esiste. Io non faccio qualcosa. Io sono qualcosa. Io sono il volto invisibile del potere. Io sono il capo di gabinetto. So, vedo, dispongo, risolvo, accelero e freno, imbroglio e sbroglio. Frequento la penombra. Della politica, delle istituzioni e di tutti i pianeti orbitanti. Industria, finanza, Chiesa. Non esterno su Twitter, non pontifico sui giornali, non battibecco nei talk show. Compaio poche volte e sempre dove non ci sono occhi indiscreti. Non mi conosce nessuno, a parte chi mi riconosce. Dal presidente della Repubblica, che mi riceve riservatamente, all'usciere del ministero, che ogni mattina mi saluta con un deferente 'Buongiorno, signor capo di gabinetto'. Signore. Che nella Roma dei dotto' è il massimo della formalità e dell'ossequio. La misura della distinzione. Noi capi di gabinetto non siamo una classe. Siamo un clero. Una cinquantina di persone che tengono in piedi l'Italia, muovendone i fili dietro le quinte. I politici passano, noi restiamo. Siamo la continuità, lo scheletro sottile e resiliente di uno Stato fragile, flaccido, storpio fin dalla nascita. Chierici di un sapere iniziatico che non è solo dottrina, ma soprattutto prassi. Che non s'insegna alla Bocconi né a Harvard. Che non si codifica nei manuali. Che si trasmette come un flusso osmotico nei nostri santuari: TAR, Consiglio di Stato, Corte dei conti, Avvocatura dello Stato. Da dove andiamo e veniamo, facendo la spola con i ministeri. Perché capi di gabinetto un po' si nasce e un po' si diventa. La legittimazione del nostro potere non sono il sangue, i voti, i ricatti, il servilismo. È l'autorevolezza. Che ci rende detestati, ma anche indispensabili. Noi non siamo rottamabili. Chi ha provato a fare a meno di noi è durato poco. E s'è fatto male. Piccoli, velleitari, patetici leader politici. Credono che la storia cominci con loro".
Un ebreo? Un portoghese? Un mercante? Un filosofo? Chiamatelo come preferite, ma è di voi stessi che parlate. Lui firmava le sue lettere come Bento, Benedictus o, semplicemente, B. Nel 1677, a pochi mesi dalla morte, uscì la prima edizione delle sue opere fondamentali. Il nome dell'autore compariva soltanto con le iniziali: B.d.S. Spinoza nacque ad Amsterdam, in una famiglia di ebrei sefarditi costretti a convertirsi al cristianesimo e fuggiti dal Portogallo. Nell'Olanda del Seicento pensare è un atto, scrivere è un atto, un gesto spettacolare e coraggioso. In questo tempo di rivoluzioni scientifiche e di guerre di religione, di epidemie e di vertiginosa espansione del commercio, i filosofi sono uomini d'azione. Modificare il corso delle verità è un compito pericoloso. Conoscere Spinoza significa entrare nelle vite che si sono intrecciate con la sua: Saul Levi Morteira, il rabbino capo della comunità ebraica di Amsterdam; Adriaen Koerbagh, enciclopedista in anticipo di un secolo; Franciscus Van den Enden, attivista fortemente contrario a Luigi XIV; Stenone, anatomista geniale; Leibniz, che si confronta con Spinoza sulla grande scacchiera metafisica degli infiniti e delle virtù, di Dio e delle certezze. Nel racconto di Maxime Rovere la vita entra prepotentemente nella storia del pensiero e getta luce su un mondo lontano nei secoli. È un ritorno alle nostre origini nella forma di un sogno storico e filosofico, completamente costruito su fatti e testi: Spinoza è il protagonista dell'avventura della ragione moderna, di cui in questa grande narrazione si può seguire giorno per giorno la nascita, guardando come si animano le idee e come il pensiero si fa strada nell'esistenza. Non un romanzo scritto a partire da una storia vera, ma una ricerca per avvicinarsi, attraverso tutti i mezzi della letteratura, alla verità di un universo perduto.
La storia di Franco Bernabè, che ha guidato alcuni tra i maggiori gruppi industriali del paese, è uno spaccato inedito delle vicende nazionali e internazionali degli ultimi decenni. Il racconto della sua esperienza è un documento sulle trasformazioni del capitalismo e del suo sistema di potere, ma anche sull'evoluzione del rapporto fra politica e impresa. Dopo qualche anno all'Ocse, Bernabè approda alla Fiat come capo economista e attraversa il drammatico periodo della crisi e del recupero del gruppo torinese a opera di Romiti, godendo di un osservatorio privilegiato all'interno della struttura di pianificazione e controllo. Nel 1983 entra in Eni, di cui diventa nel 1992 amministratore delegato. Dopo la trasformazione dell'ente di Stato in società per azioni, si impegna in una lunga battaglia contro lo smembramento e la liquidazione del gruppo e per la sua quotazione. È così che Bernabè si scontra con un sistema di potere corrotto e con le sue connivenze politiche e manageriali. Nel 1998 lascia Eni per assumere la guida di Telecom Italia. È l'inizio di una vicenda densa di colpi di scena, dal piano dei "capitani coraggiosi" per scalare l'azienda al suo ritorno in Telecom nel 2007. Negli ultimi quarant'anni l'Italia è stata all'altezza delle trasformazioni del mercato globale? Oggi il capitalismo ha bisogno di riforme che ne rilancino la vitalità. Avremo il coraggio di risolvere l'ambiguità e l'incompletezza del nostro apparato economico? Quello di Franco Bernabè è lo sguardo di un grande testimone dell'economia e della politica del nostro paese: "Occorre semplificare la vita delle imprese e degli imprenditori, riportando l'attività normativa ai principi essenziali. Le continue riforme creano incertezza e instabilità e mortificano lo spirito imprenditoriale". Solo se faremo i conti con la nostra storia e le nostre debolezze l'Italia potrà ripartire.
Nel vuoto della quarantena, la bora pulisce l'aria, il mondo è sfebbrato, respira. La casa miagola, geme, rimbomba come un pianoforte pieno di vento mentre la città stessa vibra come un sismografo su linee di faglia. E un mattino Rumiz sale per una botola fin sul tetto, che diventa il suo veliero. Lì il suo sguardo si fa aeronautico, gli spalanca la visione della catastrofe e allo stesso tempo del potenziale di intelligenza e solidarietà che può ancora evitarla. Gli svela un'Europa col fiato sospeso, dai villaggi irlandesi alle isole estreme delle Cicladi, dalle valli più segrete dei Carpazi al lento fluire della Neva a Pietroburgo. Milioni di persone che vegliano, incerte sul loro futuro. Gli affetti veri sono resi più vicini dalla forzata lontananza, e si scrive a chi si ama come soldati in trincea, mentre il virus accelera la presa d'atto di un processo che obbliga a riprogettare il proprio ruolo di cittadini in un mondo diverso. Della clausura Paolo Rumiz tiene un diario che entra sotto la pelle della cronaca, per restituirci il cuore di una grande mutazione, al termine della quale non saremo più gli stessi.
La modernità ci ha abituato a guardare alla morte come a un evento insensato, incongruo. Invece un agente patogeno sconosciuto ci ha costretto a fare ogni giorno proprio il calcolo più elementare, quello tra chi vive e chi muore. Ma ogni diagramma, ogni conteggio che sembra possa svelarci il segreto della sventura, in realtà è doppio, parla di lui e di noi, e il saldo è la quantità della nostra paura quotidiana. Per scampare al male ci siamo nascosti, mettendoci al riparo, abbandonando le relazioni sociali per imprigionarci tra le mura di casa. Intanto un secondo contagio, invisibile, stava dilagando silenziosamente, e nessuno sa ancora quante vittime farà: è un contagio che trasferisce la paura e l'emergenza dalla salute all'organizzazione sociale. Il virus sembra rendere inadeguato ciò che fino a ieri ritenevamo una conquista, arriva dritto al cuore del sistema attaccando il meccanismo democratico, con la proposta di un potere nuovo e diverso, fondato sull'anomalia come necessità. Così l'infezione sta trasformando sotto i nostri occhi non solo i rapporti sociali, affettivi, ma anche le libertà, il lavoro e i diritti: in una parola, la politica. Per questo, se nella pandemia siamo entrati tutti uguali, rischiamo di uscirne diversi. Ezio Mauro racconta il percorso del virus da quando è nato in Cina a oggi, come se fosse un soggetto sociale, studiandone la tattica, la strategia, il carattere. E intanto riflette su di noi, su come ci stiamo trasformando nel vortice dell'emergenza. Lui e noi: tutto il libro è costruito su questi due piani, in uno scambio continuo dalla prima all'ultima pagina. "Siamo vittime di un attacco universale che per la prima volta minaccia l'intero genere umano, e insieme protagonisti di un esperimento sociale senza precedenti: ne usciremo diversi, ho provato a capire come e quanto." "Mentre il potere attacca il virus, il virus ha già intaccato il potere. Non è lui che muta, come temevamo nei peggiori incubi: si sta accontentando di modificare noi, cioè il rapporto tra i cittadini e lo Stato." Un viaggio oltre la paura, per capire come questa epidemia sta cambiando le nostre libertà, i nostri diritti, la nostra democrazia.
Samia è una ragazzina di Mogadiscio. Ha la corsa nel sangue. Ogni giorno divide i suoi sogni con Alì, che è amico del cuore, confidente e primo, appassionato allenatore. Una notte parte, a piedi. Rincorrendo la libertà e il sogno di vincere le Olimpiadi. Sola, intraprende il viaggio di ottomila chilometri, l'odissea dei migranti dall'Etiopia al Sudan e, attraverso il Sahara, alla Libia, per arrivare via mare in Italia. Età di lettura: da 11 anni.
Samantha racconta in prima persona, e in modo semplice e comprensibile, la sua straordinaria esperienza nella Stazione Spaziale. Come ci si prepara a una missione così importante, come è fatta la Stazione e da chi è composto l'equipaggio delle spedizioni a cui prende parte. Il racconto diventa poi cronaca quotidiana della sua vita lassù: quali esperimenti scientifici sono stati fatti; come si riesce a dormire, lavarsi, camminare, fluttuare quando sei in orbita; che effetto fa vedere la Terra dall'alto e quali possono essere i futuri progetti per gli astronauti. Samantha di tutto questo parla con Luca e Anna, fratello e sorella che hanno vinto un concorso indetto dall'Agenzia Spaziale Europea e hanno la possibilità di incontrarla prima della partenza e di scriverle mentre l'astronauta è in missione. Tra esperimenti in orbita, quinoa e moscerini, canzoni e tecnologia iperavanzata, osservazione della Terra e delicati stati d'animo, Anna, Luca e i lettori ascolteranno dalla voce di Samantha la più incredibile delle avventure: andare nello spazio. Età di lettura: da 8 anni.
Febo ha tredici anni e vive insieme ai nonni in un piccolo borgo sull'Appennino all'ombra dei Castagni Gemelli, popolato da leggende paurose e da un'umanità bizzarra e variopinta: ci sono Bue e suo padre Chicco, Slim e i sette fratelli Carta, Pietrino detto Zanza che di Febo è il più caro amico, Celso l'indio silenzioso con il suo cavallo Strappafiori. E poi c'è Ca' Strega, dove vive Luna, muta e selvaggia, con la sua stravagante famiglia capeggiata da una nonna dotata di poteri magici. Il destino di Febo e Luna è segnato da un pomeriggio al luna park, e dalla profezia su una misteriosa mano di ferro. Le loro strade si dividono - lei finisce in un istituto di suore dove il dottor Mangiafuoco le farà recuperare la voce, mentre lui va a studiare in città dove ritrova un padre megalomane, sempre sul punto di concludere "un grande affare" e una madre amareggiata. Pur se lontani, Febo e Luna non smettono mai di pensarsi e di volersi bene. Lui tutto grandi teorie e proclami, lei concreta e battagliera. Il destino della loro vita è lasciarsi e ritrovarsi, e ogni volta il loro distacco è preceduto dalla separazione, premonitrice e crudele, di un'altra coppia di amanti. Anche quando, sullo sfondo di un'Isola cristallina, si illudono brevemente di poter restare sempre insieme, si perderanno. Gli anni passano, Febo adesso ha un figlio amato e indipendente, e della passione per la natura e l'ecologia ha fatto un mestiere; Luna aiuta i deboli e insegna la lingua dei segni a chi non ha la voce. Su di loro incombe l'ultima separazione, lei nel gelo del Nord, lui nel cuore di una foresta tropicale.
Internet ci rende stupidi? Abituati alla velocità con cui accediamo alle informazioni scivolando, come su una tavola da surf, da un sito all'altro, viene meno in noi la pazienza richiesta da un libro o da un articolo lungo e complicato. Dopo una pagina o due ci innervosiamo, perdiamo il filo, avvertiamo l'esigenza di occuparci d'altro, di cambiare attività. La concentrazione nella lettura ci è divenuta estranea. Oggi l'umanità è totalmente connessa. E quindi: che fare con la novità rappresentata dalla rete, e in generale dalla civiltà digitale? Accettarla o rifiutarla? Per rispondere a questa domanda dobbiamo compiere un viaggio di duemila anni. Ermanno Bencivenga ci accompagna lungo questo cammino nella storia del pensiero occidentale: Platone è la nostra guida, Kant la stella polare. È un tragitto di secoli e millenni di idee e scoperte straordinarie e addirittura scandalose, eppure capaci di conquistare la normalità e tradursi in visioni del mondo universali. Così scopriamo che la nostra identità è stata messa in discussione ad ogni rivoluzione tecnologica. Ciascun cambio di paradigma sconvolge e rinnova la radice delle nostre consuetudini e dei nostri desideri. Ogni giudizio di valore è subordinato a una particolare fase del tempo, del mondo e della Storia. Allora, la domanda va riformulata: la rivoluzione digitale non ci rende più stupidi o più intelligenti, ma cambia profondamente la nostra postura nei confronti di noi stessi e del mondo. E ogni cambiamento radicale è un'occasione preziosa e insostituibile per chiederci chi siamo.
Ognuno di noi è perennemente "in emergenza" perché il nostro cervello non smette mai di funzionare, di lambiccarsi, di elaborare idee e di fare programmi, anche quando dormiamo o ce ne stiamo tranquillamente seduti al tavolo di un bar. Anticipare mentalmente eventi futuri e progettare reazioni è del tutto normale, anzi, se non ci sentissimo sempre in emergenza le nostre risposte ai fatti reali sarebbero meno pronte ed efficaci. "S.O.S. Filosofia si rivolge agli adolescenti" e si focalizza su alcune specifiche emergenze che, per differenza di grado e di intensità rispetto a quelle "normali", fanno battere il cuore e seminano confusione: dai problemi di relazione a quelli scolastici, dalla timidezza alle incomprensioni in famiglia, dalle incertezze per il futuro fino a una sottovalutazione di sé. Immagine, popolarità, verità, insicurezza, cambiamento, amore, bullismo sono alcuni dei punti presi in considerazione (in tutto circa una ventina) e per ogni situazione ci sono soluzioni puntuali e concrete suggerite da uno o più filosofi: così Aristotele e Confucio mostrano come accettare l'arrivo di un fratellino (magari nella famiglia allargata) e Kierkegaard ci fa riflettere sull'importanza della personalità rispetto all'immagine, fino a Kant che ci parla di verità (e di bugie a fin di bene). Età di lettura: da 12 anni.