"Moby Dick", pubblicato nel 1851, è considerato il capolavoro di Melville e uno dei più noti libri della letteratura americana e mondiale. Vi narra in prima persona la sua avventura Ismaele, che si imbarca come marinaio assieme a un ramponiere indiano sulla baleniera Pequod. Il capitano della nave, Achab, un personaggio cupo che incute rispetto e timore nei suoi uomini, ha perso una gamba per colpa della balena bianca Moby Dick e ora vuole vendicarsene, a qualunque costo. Inizia così una lunga caccia. La snervante attesa dell'incontro con il cetaceo che sfugge al capitano offrirà al narratore l'occasione di meditazioni scientifiche, religiose, filosofiche e artistiche, all'interno della struttura del romanzo d'avventura per mare. Intanto l'immenso oceano, con i suoi mostri e le sue profondità, si erge in tutta la propria potenza e imperscrutabilità dinanzi all'uomo, che gli può contrapporre solo una fragile esistenza, oscillante tra il bene e il male. Fino a che sopraggiunge la catastrofe finale, fatalmente presentita, quando Moby Dick distruggerà la baleniera e tutto l'equipaggio trascinando con sé Achab e il suo arpione. Solo Ismaele si salverà e potrà così raccontare la loro folle, ambiziosa quanto disperata, impresa.
Spesso gli economisti hanno visitato il campo della criminologia, allo scopo di comprendere la logica razionale che si nasconde dietro i reati. Quando gli economisti esaminano l'attività criminale danno per scontato che i rei vadano trattati come qualunque altro attore sociale che compia scelte razionali. In "I crimini dell'economia", Vincenzo Ruggiero restituisce la visita, passando in rassegna una varietà di scuole del pensiero economico classico secondo una prospettiva criminologica. Ciascuna di queste scuole, secondo lui, giustifica quando non incoraggia i delitti che sono il risultato dell'iniziativa economica. Ruggiero analizza, tra gli altri, John Locke e la sua nozione di proprietà privata, il mercantilismo, i fisiocrati e Malthus, nonché le argomentazioni di David Ricardo, Adam Smith, Alfred Marshall, John Maynard Keynes e del neoliberismo. In ciascuno di questi quadri teorici rintraccia la potenziale giustificazione di differenti forme di "crimini dell'economia". Il libro, che si rivolge a chiunque si interessi di teoria sociale, di criminologia, di economia, di filosofia e di politica, compie un vero e proprio riesame della storia del pensiero economico, considerandolo alla stregua di una disciplina che, mentre si sforza di guadagnarsi la reputazione di scienza, in realtà mira a rendere accettabile la sofferenza sociale che produce.
Nel giugno del 1938 John LaFarge, un modesto sacerdote e studioso gesuita americano, venne convocato per un'udienza privata con Pio XI. Il papa, che aveva apprezzato il libro antirazzista di LaFarge, intitolato "Interracial Justice", incaricò il sacerdote di stendere per lui un'enciclica che, esponendo il punto di vista della Chiesa cattolica, condannasse il razzismo insito nel nazismo e l'antisemitismo. Da uomo morale e devoto, Pio XI sperava che questa nuova proclamazione ufficiale avrebbe sollevato un'opposizione pubblica al Terzo Reich e costretto i leader mondiali a ricusare Hitler e i suoi alleati. In uno sbalorditivo racconto ricco di intrighi che si basa su fonti disponibili da poco, interviste con testimoni e una nuova ricerca di archivio, questo libro getta luce sulla coraggiosa, sebbene poco nota, campagna del pontefice contro Hitler, una battaglia spirituale e politica destinata a essere sviata alla morte del papa, solo pochi mesi dopo il suo incontro segreto con LaFarge. Peter Eisner rivela quanto Pio XI fosse determinato a condannare senza equivoci il nazismo, con un pronunciamento progressista che non aveva precedenti in Vaticano, e in che modo un gruppo di uomini di Chiesa conservatori, ansiosi di rappacificarsi con il Führer, abbiano tramato per prevenirlo. Per settant'anni sono emersi solo frammenti di questa incredibile vicenda. Eisner ne dà ora una nuova lettura, raccontando della crociata che avrebbe potuto cambiare il corso della guerra.
Consultate questo libro e scoprite la collaudata efficacia di quelle che chiameremo Storie per quando è troppo tardi. L'idea di fondo è semplice: il vostro bambino vuole la storia? Dategliela. Ma corta. Lui vince e voi non perdete. Tutti contenti.
Lo sapevate che esiste il basket a cavallo? Che in alcuni campi da tennis è vietato l'ingresso ai genitori durante i corsi per ragazzi, causa comportamenti inappropriati (degli adulti). Che per una selezione regionale di pattinaggio su ghiaccio tocca accendere un mutuo? Che la percentuale di risse tra parenti sulle gradinate è molto più alta di quella fra giocatori in campo, nelle squadre giovanili di calcio? Che un'ora di nuoto per bambini in una piscina comunale è più stressante di una riunione di condominio? In "Sogni di gloria" raccontiamo i tanti sport che possono praticare i bambini del terzo millennio, dai più popolari a quelli talmente insoliti che non li fa nessuno, ma anche le delusioni, la fatica, l'impegno e le frustrazioni dei genitori che accompagnano, partecipano, incitano e subiscono tutte queste attività. Sfatando il mito che l'importante sia partecipare, di fronte all'evidenza che quello che conta è invece vincere, a tutti i costi!
Come definire una storia come questa? A prima vista potrebbe sembrare un romanzo fantastico, ma forse sfugge a ogni possibile definizione. Tabucchi l'ha sottotitolato "Un mandala", ma a ben vedere, con criteri tutti occidentali, si tratta in fin dei conti di un'inchiesta, una ricerca che sembra condotta da un Philip Marlowe metafisico. Ma con la metafisica, in questa ricerca spasmodica e pellegrina, si sposa un concetto tutto terrestre della vita: sapori, odori, luoghi, città, fotografie che sono legati al nostro immaginario, ai nostri sogni, ma anche alla nostra quotidiana esperienza. E allora? Nella sua nota Tabucchi suggerisce di pensare a un monaco vestito di rosso, a Hölderlin e a una canzone napoletana. Potranno forse sembrare degli ingredienti incongrui. Ma forse è meglio non cercare la congruenza in uno dei più stravaganti, visionari e insieme struggenti romanzi che la letteratura italiana ci abbia mai regalato.
Per sfuggire agli orizzonti ristretti entro cui sarebbe confinata la nostra esistenza ci serviamo della immaginazione, alimentata dal confronto non solo con persone reali, ma anche con figure tratte dai testi letterari e dai media. Grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione, ciascuno dispone oggi, fin dall'infanzia, di un enorme repertorio di modelli di vita e di esperienza, tratti da differenti culture, che ne modificano le maniere di fantasticare, pensare e agire. Nel passato, oltre ai genitori e alla limitata cerchia dei conoscenti, i personaggi esemplari erano relativamente pochi e circonfusi di gloria: sovrani, condottieri, fondatori di religioni, santi, poeti o filosofi. Da quando i modelli con cui identificarsi si sono inflazionati, popolandosi di celebrità, la costruzione di un io autonomo, capace di inglobare l'alterità e di arricchirsi per suo tramite, è diventata più incerta. L'identità individuale, ibrido frutto d'imitazione e d'invenzione di sé, da un lato, si indebolisce allorché i modelli, diventando effimeri, perdono d'autorità; dall'altro, quasi per compensazione, esige per il soggetto maggiore visibilità e riconoscimento. Ma, se ognuno è connesso ad altre esistenze e capace di racchiuderne molte, non corre forse il rischio di perdere la propria consistenza e di trasformare l'immaginazione, più che in un fattore di crescita, in un trastullarsi inoperoso o, peggio, in un nocivo strumento di fuga dal mondo e di paralisi della volontà?
Il libro è il ritratto della crisi religiosa e filosofica verificatasi agli albori del mondo moderno, ai tempi di Newton, Cartesio, Rembrandt e, soprattutto, di Leibniz e Spinoza, il logico e matematico inventore del Calcolo. Al centro del racconto è Dio. Lo scenario è quello di un'Europa appena uscita dalla guerra dei Trent'anni, segnata dalle difficoltà di un'altissima conflittualità religiosa, scossa da rivolgimenti politici altrettanto profondi. Le due "idee" del divino che Leibniz e Spinoza elaborano sono tutt'altro che estranee a questo sfondo, rispetto al quale emergono come conseguenze e contromisure. L'autore contribuisce a fare di questa ricostruzione del passato un'immagine ben viva per l'attuale panorama politico, diviso tra rinascite di vario segno, dai neoilluminismi ai neotradizionalismi cristianeggianti.
Siamo in Sicilia, all'epoca del tramonto borbonico: è di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzano i tempi nuovi (dall'anno dell'impresa dei Mille di Garibaldi la storia si prolunga fino ai primordi del Novecento). Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo, lirico e critico insieme, ben poco concede all'intreccio e al romanzesco tanto cari alla narrativa dell'Ottocento. L'immagine della Sicilia che invece ci offre è un'immagine viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica e politica contemporanea.
"Ripercorrere la storia delle donne nell'antichità greca e romana non è semplice curiosità erudita. I radicali mutamenti intervenuti nelle condizioni della vita femminile, il riconoscimento della piena capacità delle donne di essere titolari di diritti soggettivi e di esercitarli, la conquista della parità formale con gli uomini non hanno ancora interamente cancellato il retaggio di una plurimillenaria ideologia discriminatoria, di cui solo la storia può aiutare a comprendere le matrici e individuare le cause. Osservare la vita e seguire le vicende di organizzazioni sociali come quella greca e quella romana aiuta a svelare, se non il momento nel quale nacque la divisione dei ruoli sociali, il momento nel quale questa divisione venne codificata e teorizzata: e cominciò quindi a essere vista, invece che come un fatto culturale, come la conseguenza di una differenza biologica, automaticamente tradotta in inferiorità delle donne". (Dall'introduzione)