La bruciante e tragica ascesa di Julien Sorel, giovane avventuroso, romantico e calcolatore, nella Francia della Restaurazione. Il protagonista del più celebre romanzo dello scrittore francese sfida se stesso e la società che vorrebbe conquistare: i suoi amori travolgenti e la sua arida sete di dominio, che di volta in volta gli consentono di affermarsi e lo portano alla distruzione, sono i segni distintivi di una letteratura che è riuscita a misurarsi con le più profonde e misteriose contraddizioni del cuore umano.
"I racconti hanno quasi tutti una colonna sonora inconfondibile, e a differenza di quanto si crede comunemente, non è il jazz bensì il blues. Anche in quelli apparentemente più scanzonati, riuniti nelle serie dedicate ai personaggi di Basil e Josephine, in cui Fitzgerald ha rievocato la propria adolescenza e quella di Ginevra King, il suo primo amore, lo stato d'animo prevalente è la malinconia. E non è un caso che la raccolta più suggestiva, quella che accompagnò la pubblicazione del Grande Gatsby, racchiudesse nel titolo proprio l'accenno alla tristezza dei giovani, quando essi hanno perduto ormai le loro illusioni e non sanno più sognare. In genere, quelle raccontate dallo scrittore americano sono per lo più storie di sconfitte, personali e di coppia, di malattia fisica e mentale, di individui fragili che soccombono, incapaci di sottrarsi ai vizi, alla dipendenza dall'alcol o alle lusinghe del denaro, e che per tutto ciò pagano un prezzo molto alto. L'avere comporta la sconfitta dell'essere." (Dalla Prefazione di Franca Cavagnoli)
"Il piccolo immenso gioiello lasciato da Alain-Fournier ha cristallizzato per generazioni di lettori la poesia misteriosa della giovinezza. È un romanzo che ben presto sgattaiola via dalle reti delle letture critiche, si sottrae alle analisi e diventa qualcosa di più, qualcosa d'altro, come lo sono diventati Siddharta o Il giovane Holden o Sulla strada. È uno di quei casi in cui l'esperienza stessa della lettura prolunga, amplifica, sdoppia la suggestione dell'opera: ricordiamo i pomeriggi in cui sottolineavamo paragrafi di Hesse fumando sul letto, ricordiamo il corridoio del liceo dove seduti per terra leggevamo Holden ed eravamo Holden, ricordiamo il sacco a pelo dentro al quale, sul ponte della nave, leggevamo una copia di Sulla strada incartapecorita dalla salsedine, ricordiamo l'estate gialla e immobile di calore in cui leggevamo Meaulnes e sentivamo palpitare in noi la sua irrequietezza. Questa capacità di riecheggiare forte, di trovare la muta sintonia con una sensibilità acuminata, è la vera profonda grandezza del romanzo, che non sta nell'intreccio (...), ma in una sorta di finissima eppure possente costruzione mitica di cui vogliamo cogliere tre motivi chiave: l'infanzia, l'avventura, il meraviglioso." (Dalla Postfazione di Yasmina Melaouah)
In più di centocinquant'anni, generazioni di scrittori - da Edgar Allan Poe a Herman Melville e Henry James, da Jorge Luis Borges a Eugenio Montale, passando ai più giovani Rick Moody e Suzan-Lori Parks - hanno riconosciuto in Hawthorne un impareggiabile creatore di miti e leggende del Nuovo mondo, uno sperimentatore e, più ancora, un maestro: il primo maestro del romanzo americano. Nel corso della sua febbrile attività letteraria, Hawthorne scrisse novantadue racconti, la maggior parte dei quali pubblicati su giornali e riviste statunitensi e successivamente raccolti in tre tomi dallo stesso autore. Questo volume, ripreso in collaborazione con Donzelli, presenta l'edizione integrale di tutti i racconti di Hawthorne; non solo, dunque, quelli inclusi nelle tre raccolte, ma anche i sedici che l'autore abbandonò al loro destino, scegliendo di non tornarci più sopra: né per tagliare, né per correggere e adattare in vista di una pubblicazione antologica. La trama dei racconti disegna la geografia culturale di quel New England che rappresenta il cuore della giovane nazione americana: avventurieri e donne perdute, santi laici e bambini celestiali, truffatori da quattro soldi e giovanotti di belle speranze, e poi notabili corrotti, vecchie streghe, visionari. Con tre prefazioni dell'autore, tre recensioni di Edgar Allan Poe e un saggio di Herman Melville.
"Se il Novecento, secolo della crisi dell'io individuale e delle certezze della metafisica, a partire da Freud, è stato il secolo di Edipo, l'Ottocento, secolo del primato romantico e idealistico della libertà prometeica dell'individuo, è stato quello di Antigone. Da Hegel a Kierkegaard, da Hölderlin a Schlegel, a Goethe, in molti si sono interrogati sull'atto di insubordinazione di Antigone. Il conflitto irriducibile tra le ragioni del privato, del legame di sangue, della coscienza del singolo davanti alle ragioni del pubblico, del contratto sociale, dell'autorità è stato declinato innumerevoli volte e con infinite sfumature come conflitto tra ragioni del divino e ragioni dell'umano, tra ragioni del maschile e ragioni del femminile (ovvero del paterno e del materno, della pólis e dell'óikos), tra le istanze tassonomiche del razionale e le istanze entropiche dell'irrazionale, tra vizi e virtù dell'Occidente e vizi e virtù dell'Oriente, tra natura e cultura e via elencando. (...). La sepoltura di Polinice fa di Antigone una madre e una sposa morta e/o mancata, ma una sposa e una madre nel mondo capovolto dell'Ade. Il mondo che sopravvive, quello di Creonte (e di Ismene), è il mondo di una truce normalità riconquistata, di una cupa pace che si fa sul capro espiatorio, il mondo del potere che si nutre del sangue dei giovani, delle donne, dei deboli, talora ipocritamente impotente." (dall'introduzione di Giovanni Greco)
Étienne Lantier, figlio di Gervaise Macquart, trova impiego nelle miniere del Nord della Francia, all'epoca della Prima rivoluzione industriale. Sconvolto dalle durissime condizioni di vita dei minatori, dagli infiniti turni di lavoro, dalle paghe magre, Étienne organizza i suoi compagni di lavoro in uno sciopero lungo alcuni mesi. Accanto a lui si muove anche Suvarin, un macchinista russo fattosi operaio per amore del popolo. Il contrasto sulle modalità di azione politica che dividono i due ben rappresenta le due diverse polarità presenti all'interno del movimento operaio nell'Ottocento: da una parte quindi Etienne vicino al socialismo e all'Internazionale appena fondata da Marx, dall'altra Suvarin più prossimo al nichilismo anarchico e in particolare al pensiero di Bakunin. Alla fine, durante la repressione cruenta di un'altra sommossa operaia, Etienne finirà intrappolato in una galleria, dove morirà in una drammatica scena l'amata Catherine. L'eccidio di lavoratori con cui lo sciopero si chiude è in realtà il primo seme di quella primavera di giustizia ed eguaglianza evocata dal titolo. Nel calendario della Francia rivoluzionaria, difatti, Germinale è il mese che segna il ritorno della primavera, della rinascita della natura. Pubblicato nel 1885, "Germinale" è uno dei romanzi più celebri di Zola, se non di tutta la letteratura francese dell'Ottocento; un accurato affresco storico ma soprattutto un esempio indimenticabile della potenza narrativa dello scrittore.
Un grande giornalista traduce, rispettando finalmente la stesura originale, e commenta, mostrandone la deflagrante attualità, l'opera letteraria del suo illustre collega degli inizi dell'era moderna. L'isola dove si svolgono le avventure del naufrago Robinson rappresenta tutti i problemi e le contraddizioni di quel mondo moderno che, agli inizi del XVIII secolo, si andava delineando nel confronto tra l'Europa e le nuove terre scoperte. Il romanzo può essere quindi considerato una sorta di "Odissea semplificata" degli albori della nostra epoca, con la stessa carica simbolica, la stessa ricchezza di allegorie.
"Una grande epoca esige grandi uomini. Vi sono degli eroi ignorati e oscuri... l'esame della cui indole darebbe ombra perfino alla gloria d'Alessandro Magno. Oggigiorno si può incontrare per le vie di Praga un uomo trasandato, che non sa quanta importanza abbia avuto la propria opera nella storia di un'epoca grande e nuova come questa. Egli percorre tranquillamente la sua strada, senza che nessuno gli dia noia e senza dar noia a nessuno, e senza essere assediato da giornalisti che gli chiedano un'intervista. Se gli domandaste come si chiama, vi risponderebbe con l'aria più semplice e più naturale del mondo: 'Io son quello Sc'vèik...'" Con queste parole Jaroslav Hasek (1883-1923) presentava l'umile e grottesco eroe del suo romanzo, il bonario allevatore e mercante di cani, strappato alle sue pacifiche occupazioni e mandato a combattere in difesa dell'impero austro-ungarico nella Prima guerra mondiale. Preso nel vortice di avvenimenti che vanno molto oltre le sue capacità di comprensione, Sc'vèik si destreggia con un misto d'ingenuità e di furbizia, forte di quella sua obbedienza assoluta alla lettera degli ordini ricevuti che porta all'assurdo e dissolve nel ridicolo ogni autorità. Nel buon soldato Sc'vèik i lettori di tutto il mondo hanno riconosciuto un eroe sovrannazionale, il campione di un irriducibile pacifismo e antimilitarismo e un simbolo dell'inalienabilità dei diritti dell'individuo contro ogni tutela e usurpazione dittatoriale.
Accanto al mitico Ottavo Distretto di Budapest, tra le viuzze strette che lambiscono il vecchio quartiere ebraico, c'e ancora la piccola via Pàl che fu teatro, nella fantasia di Molnàr, della più memorabile battaglia tra ragazzini che la letteratura abbia mai raccontato. "I ragazzi di via Pàl" (1907) è infatti la lotta tra due gruppi di ragazzi per il predominio su un terreno libero per i giochi, attorno a una segheria. Due "eserciti" composti soltanto da generali e ufficiali. Un solo soldato semplice: Emo Nemecsek, biondo e mingherlino, di povera famiglia, che morirà di polmonite per i bagni nel laghetto dell'Orto Botanico, a cui è stato costretto. Una storia malinconica e poetica, avvincente, che come tutti i grandi libri rimane un classico per i lettori di ogni età. In traduzione integrale dall'ungherese e con una divertente, e allarmante introduzione di Michele Serra. Età di lettura: da 10 anni.
Questo volume comprende integralmente le prime, più celebri raccolte di Giovanni Verga, dagli esperimenti iniziali alle novelle siciliane (Vita dei campi e Novelle rusticane) e milanesi (Per le vie). Ogni racconto si regge sull'invenzione di situazioni e personaggi memorabili, scolpiti con uno stile teso e incisivo, in grado di cogliere la problematica sociale dell'ambiente contadino e cittadino, così come il fondo tragico della condizione umana. L'esauriente apparato di note mira non solo a corredare il testo delle necessarie esplicazioni storico-linguistiche, ma a porre in luce i passaggi cruciali dell'operazione narrativa, a suggerire le interpretazioni dei significati fondamentali. Va ad arricchire il volume una antologia della critica. Introduzione di Vincenzo Consolo.