"I vecchi sono numeri. Numeri che ci fanno paura, come quell'uno su tre che riguarda la percentuale di anziani che abiteranno il nostro paese di qui ai prossimi anni. I vecchi non si vedono: nei piccoli paesi capita ancora di incontrarli al braccio di una badante dalle braccia larghe. Nelle città, qualora si avventurassero fuori di casa, vengono superati in corsa, con una scrollata di spalle e uno sbuffo di insofferenza. I vecchi non esistono: appaiono di rado in televisione, specie se di sesso femminile. O meglio, si vedono a volte quelle rare e preziose donne impossibili da ignorare, come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Quanto alle altre, a volte si mimetizzano fra ospiti e comparse sotto i cinquantacinque anni (la soglia di apparizione televisiva per le donne) fingendo di esserne coetanee, o accettando di recitare l'antico ruolo della megera. I vecchi non vendono, non piacciono, non hanno appeal: su quotidiani e telegiornali appaiono soltanto quando sono vittime di una truffa o di un colpo di calore. O quando, se donne, osano innamorarsi di un uomo più giovane. Se concepiscono dopo i sessant'anni, sono la vergogna del loro sesso. Dura, comunque, poco: una copertina, un articolo nelle pagine interne la settimana successiva, un trafiletto, e tutto è dimenticato. I vecchi danno fastidio. È sempre stato così: ma adesso, e soprattutto nel nostro paese, avviene qualcosa di diverso. C'è una sola generazione. Quella dei cinquanta-sessantenni." (dall'introduzione)
La nuova scommessa di Muhammad Yunus sta nel pensare un capitalismo diverso, basato su imprese che abbiano per scopo non solo il raggiungimento del profitto ma anche la ricchezza sociale: il business sociale. Yunus entra nel merito degli esperimenti di business sociale avviati in questi ultimi anni, spiegando cosa ha funzionato e cosa invece è da cambiare, grazie alla sua capacità di sminuzzare i problemi in modo non convenzionale, parlando costantemente con i protagonisti, per ripensare di continuo convinzioni e procedure. Oltre al racconto dei primi passi dell'esperienza Danone in Bangladesh, si susseguono il delizioso racconto della vicenda della Mirakle Couriers di Mumbai, un'impresa con finalità sociali di consegna a domicilio gestita da sordomuti poveri, organizzati da un giovanotto che studia a Oxford. Oppure l'incredibile vicenda dei medici dell'Ospedale dei bambini di Firenze, che dopo aver messo a punto l'unica cura contro la talassemia a livello mondiale, dal 2007 stanno cercando di esportarne le pratiche anche negli angoli più poveri dell'Asia. O ancora la collaborazione fra la multinazionale francese Veolia e il mondo Grameen per distribuire acqua potabile depurata nel bacino dell'Himalaya dove l'acqua è sì abbondante, ma contaminata da tracce di arsenico di origine naturale. I primi passi concreti che realizzano il sogno di un capitalismo dal volto umano, etico e finalizzato al benessere sociale.
Questo libro nasce dal desiderio di far conoscere ai giovani lettori i versi più belli della tradizione poetica italiana. Donatella Bisutti raccoglie centotrenta poesie scelte tra i grandi autori dell'Ottocento: Leopardi, Carducci, Pascoli per arrivare ai più contemporanei Luzi, Sereni, Caproni passando da Gozzano, Saba, Ungaretti e moltissimi altri (sono in tutto cinquanta i poeti citati). Non un'antologia ma un "laboratorio di emozioni" che vengono fatte scaturire dalla lettura delle poesie raccolte dall'autrice non in ordine cronologico ma seguendo particolari tematiche. Ecco come la poesia trasforma le sensazioni in stati d'animo (La pioggia è con noi di Salvatore Quasimodo, I fiumi di Giuseppe Ungaretti). La poesia ci insegna ad ascoltare (La quiete dopo la tempesta di Giacomo Leopardi). La poesia imita i suoni della natura (La capinera di Giovanni Pascoli, La fontana malata di Aldo Palazzeschi). La poesia ha un colore (Sera di Vincenzo Cardarelli, L'Azzurro di Sibilla Aleramo). Il ritmo nella poesia fa parte di un significato (La preda di Giorgio Caproni). Fino alla poesia che ci mostra l'invisibile al di là del visibile (L'infinito di Giacomo Leopardi). Età di lettura: da 11 anni.
"Mon cher Monsieur, vi starete chiedendo chi è che vi scrive. Non ve lo dirò. Non ancora. Rispondetemi, e provate a scoprirlo. Forse vi aspetta un'avventura che farà di voi l'uomo più felice di Parigi. La Principessa" Così comincia la lettera che stravolgerà la vita di Jean-Luc Champollion, l'affascinante proprietario di una galleria di successo in rue de Seine. Molto sensibile al fascino delle donne, che lo ricambiano volentieri, Jean-Luc vive in uno dei quartieri più alla moda di Parigi, in perfetta armonia con il suo fedele dalmata Cézanne. Tutto procede al meglio, tra vernissage, allegri ritrovi con gli amici nei café di Saint-Germain-des-Prés e romantiche passeggiate au clair de lune lungo la Senna. Finché, una mattina, Jean-Luc scorge qualcosa nella posta: una busta azzurra, scritta a mano. È una lettera d'amore, o meglio, una delle più appassionate dichiarazioni d'amore che lui abbia mai ricevuto, ma non è firmata: la misteriosa autrice, nascosta dietro uno pseudonimo, lo sfida a smascherarla dandogli una serie di indizi. Per quanto perplesso, Jean-Luc sta al gioco. Ma l'impresa non sarà affatto semplice: chi sarà mai la deliziosa impertinente che sembra conoscere così bene le sue abitudini e si diverte a stuzzicarlo? Stregato dalle sue parole, Jean-Luc cercherà di dare un nome a quella donna così intrigante e sfuggente il cui volto gli è del tutto sconosciuto. O forse no?
Sull'Appennino tosco-emiliano, non lontano dall'Abetone, c'è una valle stretta e tortuosa, e in fondo una casa, una piccola casa con il tetto coperto di plastica colorata e due comignoli che buttano fumo sempre, estate e inverno. Un industriale della seta torna ai boschi dove un tempo andava a far funghi e la vede, quella casa. Malgrado il fuoco acceso sembra disabitata. È incuriosito. Entra. E lì comincia la sua avventura, che lo strappa alla mesta quotidianità del danaro e del potere per precipitarlo dentro un vertiginoso delirio, che è prova e passaggio, alla scoperta di sé. Mauro Corona scrive una piccola grande storia che suona come un apologo ed è allegoria della condizione umana quando perde di vista la semplicità dei valori cardine.
Pubblicato per la prima volta nel 1984 e rivisto per i cinquant'anni della fondazione dei Rolling Stones questo è un libro-guida, un libro-culto non meno delle gesta dei suoi protagonisti. Stanley Booth agita fantasmi, strappa silenzi, si lascia coinvolgere e guadagna distanza critica, e così facendo evoca un'epoca rapida come un'alba tropicale, risveglia l'epica della gioventù, della ribellione, dell'anticonformismo, chiede all'ideale vinile di queste "vere avventure" il suono che è arrivato sino a ora intatto. Ma Booth ci racconta anche di qualcosa che intatto non è, che si è anzi rotto subito nella stagione in cui tutto sembrava chiedere ed essere futuro. Non è un caso che questo libro fa perno intorno a due anni crucialissimi, il 1968 e il 1969, che si concludono con la morte di Brian Jones in una piscina e il tragico concerto di Altamont Speedway in California dove gli Hell's Angels, chiamati a svolgere il servizio di sicurezza, finirono con lo scatenare l'inferno. Attraverso il taglio prospettico di quei due anni, Stanley Booth riesce a raccontare la vera storia dei Rolling Stones e a catturare lo spirito dei Sessanta, lasciandocene toccare con mano l'eccesso, la violenza e l'idealismo. Dice Booth: "Volevo scrivere un libro in cui i lettori potessero muoversi agilmente e sapere com'era vivere a Londra nel 1968 o in America nel 1969. Volevo trattare persone famose e non famose allo stesso modo - altrimenti avrei scritto pubblicità". E così ha fatto. Introduzione di Greil Markus.
In questa raccolta di pensieri scorrono, come un vento vivificante, tutto il fascino e tutta la saggezza del buddhismo zen. L'ozio di Kenko, uno dei più grandi scrittori giapponesi d'epoca classica, non è certo inattivo. E un otium che consente di assaporare la vita, il tempo, la natura, le cose più semplici. "Quando mi abbandono con calma ai miei pensieri, non posso impedire ch'essi siano dominati dal ricordo nostalgico di mille cose del passato. Mentre tutti dormono, io passo il tempo, nelle lunghe notti, mettendo in ordine le cose che ho a portata di mano; e quando, strappando vecchie carte inutili che non ho alcuna intenzione di conservare, scopro esercitazioni calligrafiche o pitture eseguite per diletto da qualcuno che ora non è più, mi pare di rivivere quei momenti lontani. Persino le lettere di persone ancora in vita, ma che risalgono a molto tempo addietro, m'inducono a pensare alle circostanze e all'anno in cui furono scritte, e ciò mi commuove profondamente. E anche le cose che ho avuto lungamente per le mani, sebbene non abbiano un'anima e siano rimaste per tanto tempo immutate, mi sono care."
"Al pari di tutti i grandi capolavori, Il Cid non presenta alcuna difficoltà di lettura. Al lettore (e allo spettatore) è sufficiente affidarsi alla storia che l'autore racconta, ai personaggi che la vivono, alle parole con cui si esprimono. Alla mia esperienza, le analisi e le interpretazioni (di qualsiasi natura) appaiono col tempo sempre più irrilevanti e ingombranti: quanto più acute e intelligenti e profonde, tanto più mi risultano indicative più della mentalità di chi le formula che non dell'opera che esse prendono in esame, e sempre mi portano alla conclusione che, come dice Montaigne, sia più difficile interpretare le interpretazioni che interpretare le cose. Nel suo nucleo essenziale, "Il Cid" è la storia dell'amore di un uomo e di una donna: di Rodrigo e di Chimene. Tutti e due sono preda di un dilemma che ne condiziona il comportamento: Rodrigo è preso nella morsa tra il dovere di vendicare l'affronto di cui è stato vittima suo padre e il fatto che l'offensore è il padre della donna amata. Chimene è combattuta tra l'amore per Rodrigo e l'imperativo morale di non potere e dovere amare l'uccisore di suo padre." (dal saggio di Luigi Lunari)
Pensieri improvvisi, folgoranti aforismi, squarci di racconti mai più elaborati sono raccolti in questo "Quaderno d'appunti", pubblicato postumo e limpidamente tradotto da un'altra grandissima scrittrice, Elsa Morante. La breve vita di Katherine Mansfield vi si illumina di tonalità nuove, in particolare per i suoi ultimi anni, quando la sua ricerca di una verità oltre la letteratura la porta a mettersi in discussione, a confrontarsi drammaticamente con la vita. Il paragone con la sua grande contemporanea, Virginia Woolf, è obbligato: "Strane le sorti di queste due grandi scrittrici," scrive Emilio Cecchi. "E la sorte più buia, indecifrabile, non è quella della Woolf, piena d'immagini e di sogni, benché minacciata e visitata dalla demenza; ma della Mansfield, tesa e vibrante come acciaio, nella spietata ricerca della realtà, della verità, che la induceva a cieca crudeltà verso se stessa." Uno sguardo nell'intimità di una delle maggiori autrici di narrativa breve del Novecento, troppo presto strappata alla sua arte.
Dopo "Le donne", la biografia romanzata di Frank Lloyd Wright, torna uno dei più caustici e brillanti scrittori americani contemporanei con un breve romanzo sull'inestinguibile tema del contrasto fra Natura e Civiltà. Una sera d'autunno nel 1797, alcuni cacciatori catturano un ragazzo vagabondo, nudo, sporco e irsuto, in una foresta del Sud della Francia. Sono tutti commossi, affascinati dalla scoperta di questo "prodigio" che sembra essere sprovvisto di anima e ragione come un animale. Chi è quel "ragazzo selvaggio", sfida concreta al secolo dei Lumi? Trascinato da un orfanotrofio a un salotto come un mostro da fiera, sarà presto abbandonato dai suoi tutori alla sua incurabile natura selvaggia. Solo il dottor Itard, dell'Istituto dei sordomuti di Parigi, s'intestardisce nel credere che di questo "animale" saprà fare un uomo, e per anni il ragazzo selvaggio, ribattezzato Victor, subirà l'apprendistato della civilizzazione. Un romanzo dove T.C. Boyle rivisita la storia di Victor dell'Aveyron, già resa nota dal celebre film di Truffaut.