Un'autobiografia suddivisa in settantasette storie. Il nome del protagonista è Esti. E così che i compagni di università chiamavano Esterházy. Esti come il personaggio inventato dal grande scrittore ungherese Dezsö Kosztolányi. Ed Esti è molte persone. È il rampollo di una stirpe di antico lignaggio, dunque vissuto in tante epoche, morto e risuscitato tante volte. Esti è il personaggio qui e ora, ma è anche tutti gli altri che l'hanno preceduto, e che seguiranno. Esti è l'insieme di frammenti di una famiglia che lui conosce già diseredata, stretta nella morsa del socialismo, consapevole che il concetto di libertà è sempre relativo. È uno sguattero che grazie a un gusto sopraffino diventa una celebrità. È il figlio ribelle che non ne vuole sapere di seguire una professione sicura. Esti è un ragazzo, e poi una ragazza, un'affascinante adolescente. Una cameriera eletta La Bella del Kentucky che per contratto deve mangiare quantità impressionanti di hamburger. Esti forse è stato scambiato in culla, perché troppo diverso dal resto della sua famiglia. Esti un'estate su una spiaggia italiana: i quattro figli che vogliono giocare a palla con il padre paralizzato. Esti che si sente come una gallina, una gallina che alza la zampa con la stessa grazia di una Pina Bausch...
Il Portogallo è poco esteso e semplice da visitare; le sue dimensioni contenute tuttavia vantano una notevole varietà culturale. Località turistiche molto eleganti e sofisticate si susseguono lungo la costa dalla capitale fino all'Estremadura, così come nell'Algarve meridionale. La stessa Lisbona, europea a tutti gli effetti e insieme un po' rétro, offre abbastanza divertimenti da accontentare tutti, come d'altronde Porto - la seconda città del paese -, cuore economico della nazione, forse più famosa per il suo vino liquoroso che per le industrie. Se invece intendete fuggire dal chiasso e dalla modernità non perdetevi le regioni rurali: l'Alentejo, la zona montuosa di Beiras e il Tras-os-Montes vi sveleranno il Portogallo più autentico.
La vita è una roulette russa e a volte fa davvero schifo. Lo sa bene Jack Laidlaw, detective della polizia di Glasgow. Nella sua carriera ne ha viste tante, ma nessuno è mai pronto quando la cattiva sorte gli si accanisce contro. Proprio mentre il lavoro vacilla, il matrimonio è ormai finito e lui ha più che mai paura di affondare, un uomo muore. Una morte immeritata, ingiusta e senza senso come tante altre, ma stavolta ancora più difficile da accettare. Perché Laidlaw conosce bene l'uomo in questione: è Scott, suo fratello. La morte viene classificata dalla polizia come un incidente: Scott è stato investito da un'auto in maniera apparentemente fortuita, ma Laidlaw ritiene che il suo precario stato mentale ? di recente aveva avuto problemi di alcol ed era molto tormentato ? possa aver giocato un ruolo rilevante. Si immerge cosi nella vita del fratello, lungo una scia di indizi che lo rimandano continuamente a un misterioso "uomo in giacca verde" e a vecchi episodi di violenza. Ben presto il viaggio si trasforma in un tuffo senza paracadute dentro il passato, dove Laidlaw scoprirà sconvolgenti verità anche su di sé.
"Utopia," dice Lewis Mumford nella prefazione del 1922 a questo libro, "può derivare dalla parola greca 'eutopia', che significa il buon posto, o dall'altra parola greca 'outopia', che significa nessun posto." Ed e lo stesso Mumford a chiarire il contesto intellettuale da cui questo suo lavoro ha tratto origine: "Poco dopo la Prima guerra mondiale, vivevo ancora nel clima di speranza della generazione passata; ma mi rendevo conto che l'entusiasmo del grande Diciannovesimo secolo era giunto alla fine. Quando ho iniziato a esaminare storicamente le utopie, intendevo chiarire che cosa in esse fosse andato perduto e definire che cosa fosse ancora valido. Fin dal principio ero conscio di una virtù che era stata inspiegabilmente trascurata: le opere classiche degli utopisti trattavano sempre la società come un tutto unico e tenevano conto dei rapporti esistenti tra funzioni, istituzioni e fini dell'uomo. La nostra civiltà ha poi diviso la vita in compartimenti. Sono giunto dunque a considerare il pensiero utopista come l'opposto dello spirito unilaterale, partigiano, specialistico". Di questo bisogno di scenari non angusti - che si ripropone oggi come un'esigenza forse troppo trascurata - discute l'introduzione di Franco Crespi, sull'inattuale attualità dell'utopia.
"Quelle gioie da amanti che provammo insieme mi sono state tanto dolci che non possono nè dispiacermi nè sfuggirmi dalla memoria. Dovunque mi volga sono sempre presenti ai miei occhi e mi accendono di desideri. Anche quando dormo la loro suggestione mi tormenta. Perfino durante i solenni riti, quando più pura deve essere la preghiera, le immagini impudiche di quelle voluttà inchiodano tanto nel profondo l'infelicissimo mio animo che mi sento disposta più a quei turpi godimenti che alla preghiera. E cosi, mentre dovrei gemere per quel che ho commesso, piuttosto sospiro per quel che ho perduto. E non quel solo che facevamo allora, ma anche i luoghi e i momenti in cui godemmo, e tu stesso, mi siete a tal punto dentro l'animo che agisco come se fossi con te in quel tempo, e nemmeno quando dormo riesco ad avere pace da queste immagini. Talvolta anche i miei movimenti tradiscono i pensieri dell'animo e la parola mi prorompe incontrollata. Oh me infelice! come potrei ben ripetere il lamento dell'anima dolente: 'Infelice me! chi mi libererà da questo corpo di morte?'. Almeno potessi aggiungere sinceramente le parole che seguono: 'La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore'. A te, o carissimo, questa grazia porse aiuto quando con una sola piaga ti liberò dai desideri del corpo, e così insieme anche da molti peccati dell'anima. Proprio per questo, invece di esserti nemico come può sembrare, Dio ti ha favorito, a guisa di un premuroso medico che non risparmia la sofferenza pur di conseguire la salute."
Gli "Adagia" sono una sorta di monumentale enciclopedia della cultura classica organizzata intorno a motti, detti, proverbi della più diversa provenienza. Talvolta Erasmo si limita a riferire in poche righe il proverbio nelle varie attestazioni che gli sono note, altre volte lo stesso proverbio gli suggerisce lo spunto per considerazioni molto più articolate e ricche. Comunque, non c'è dubbio che gli "Adagia" furono il serbatoio di sapere a cui Erasmo continuò ad attingere nel corso della sua vita. Per presentarsi alla fine come uno specchio tra i più fedeli del suo pensiero e del suo credo. I quattro "Adagia" qui proposti sono tutti di natura politica. Il primo, "Re o matti si nasce", è una riflessione che ruota attorno alla figura del Principe e all'irrazionalità o razionalità nella sua azione politica. L'adagio che invece dà il titolo al volume è tutto dedicato agli orrori della guerra e alla trasformazione dell'uomo in bestia. Dopo avere in più occasioni fatto riferimento a Ercole, l'adagio si sofferma sul fine vero della guerra: il guadagno, o meglio il rapimento e la degradazione dei beni altrui. La guerra non deve essere l'opzione da perseguire, anche nei confronti del peggior nemico (allora erano i turchi). Bisogna invece scegliere la migliore delle virtù cristiane, la carità. La chiusa da questo punto di vista è attuale ancora oggi: è comunque da preferire un turco sincero o un ebreo in buona fede a un cristiano ipocrita.
Kataoka Noni è la figlia di Shizukuishi e ha due papà, Kaede e Kataoka. In "Another World", capitolo conclusivo della quadrilogia "Il Regno", il percorso di crescita di Noni è ormai compiuto. Kaede è morto e Kataoka è un padre, a modo suo, amorevole. Ambientata tra Mykonos, Okinawa e Tokyo, la storia di Noni è la chiusura di un cerchio: torna la forza delle piante e delle pietre, l'amore della natura e quello, complesso e ingovernabile, tra gli esseri umani, il confronto con la morte e l'abbandono. Un libro che è un invito a leggere il mondo oltre i confini e le gerarchie, a riconoscerci come parte di un unico sistema dove conta soltanto la verità delle sensazioni.
Nel cuore del Barrio de las Letras, il quartiere più bohémien di Madrid, tra stradine pedonali e piazzette ombreggiate, proprio dove si narra che abbiano vissuto Cervantes e Lope de Vega, esiste una piccola oasi verde ricca di fascino e profumi: il Giardino dell'angelo, il regno fiorito di Olivia. Nel suo negozio, all'ombra di un ulivo secolare, si incrociano le vite di cinque donne che comprano fiori. All'inizio nessuna lo fa per sé: una li compra per un amore segreto, un'altra per l'ufficio, la terza per la vecchia madre, la quarta per dipingerli e l'ultima, Marina, per una persona che non c'è più. Dopo la perdita del marito, infatti, Marina si sente completamente smarrita: ha occupato la poltrona del co-pilota per troppo tempo, lasciando a lui il timone della propria vita. Mentre cerca disperatamente un modo per rimettersi in piedi, si imbatte in Olivia e accetta di lavorare nel suo negozio. Lì conoscerà altre donne molto diverse tra loro, ma che, come lei, si trovano in un momento cruciale della propria esistenza per motivi lavorativi, sentimentali, familiari o di realizzazione personale...
Un filo resistente lega gli uni agli altri i racconti di questa antologia: un'agenda rossa. Si affaccia dalla pagina declinata in diversi modi, una volta ha i fogli strappati, un'altra è gonfia di biglietti di teatro, ma sempre intende ricordare quella appartenuta a Paolo Borsellino - che conteneva appunti, nomi e forse rivelazioni sulla strage di Capaci, scomparsa immediatamente dopo l'attentato mafioso del 19 luglio 1992 e mai più riapparsa. Sette autori, ciascuno con la propria storia, la propria sensibilità e la propria voce, riattualizzano con altrettanti racconti inediti, scritti appositamente per "L'agenda ritrovata", il nucleo dell'impegno di Paolo Borsellino e gli interrogativi ancora aperti a venticinque anni dalla strage di via D'Amelio - la verità negata, il bisogno di giustizia, la sottrazione indebita, il mancato ritrovamento, la resistenza della politica... Ci riescono senza il bisogno della cronaca dei fatti: ci riescono inventando storie. "Uno scrittore che fa il suo dovere," sottolinea Marco Balzano nell'introduzione, "è prima di tutto uno scrittore che scrive bene e che sa consegnare agli altri una storia. Volevamo un libro vivo, completamente calato nell'oggi, senza ulteriori mitizzazioni, senza altre ipocrite santificazioni, che sono servite soltanto a collocare in un olimpo inaccessibile chi apparteneva alla collettività e solo per questa si è sacrificato. La letteratura, invece, quando è letteratura, compie sempre un'operazione di avvicinamento". Un avvicinamento che è anche un viaggio da Nord a Sud - Helena Janeczek (Lombardia), Carlo Lucarelli (Emilia-Romagna), Vanni Santoni (Toscana), Alessandro Leogrande (Lazio), Diego De Silva (Campania), Gioacchino Criaco (Calabria) ed Evelina Santangelo (Sicilia) -, "un passaggio di testimone", scrive Gianni Biondillo ricordando com'è nato il libro, "per raccontare non tanto dov'eravamo alla morte dei due magistrati, ma dove forse siamo stati in questi anni, tutti noi: chi silente, chi indifferente, chi deluso, chi vigliacco, chi sempre e comunque, ostinatamente contrario, in prima fila".
E voi? Non ne avete abbastanza di dover rispondere all"'obbligo della felicità"? Di dover sempre puntare a trarre il meglio da voi stessi? Vorreste piuttosto riuscire a perdonarvi gli errori compiuti, non vivere di rimpianti? Impegnarvi in ciò che vi conviene davvero? Ebbene, se la risposta è sì, siete sulla buona strada, perché questo è il punto di partenza della contentezza permanente, che si oppone con un no deciso alla fugace felicità. Sulla base delle ricerche scientifiche più recenti e autorevoli, richiamando racconti di casi reali, Christina Berndt illustra ciò che distingue la contentezza dalla felicità, cosa accade a livello neurologico e fisiologico, chiarisce le dinamiche psicologiche in gioco e quali sono le influenze genetiche fin qui emerse sul nostro stato di soddisfazione. Vi porterà a scoprire da soli, con test e un programma di esercizi, su cosa vale la pena investire, come acquisire un maggiore distacco da ciò che non serve o assorbe inutili energie, fino ad arrivare a dirsi, finalmente e irrevocabilmente, contenti e soddisfatti!