Chi fu Walter Benjamin? A questa domanda poteva forse dare risposta solo Hannah Arendt. Lo aveva conosciuto e frequentato a Parigi, negli anni d'esilio dalla Germania nazionalsocialista, prima che ponesse fine alla sua vita in Spagna nella fuga verso gli Stati Uniti, diventando un simbolo del tragico destino dell'ebraismo tedesco nel Novecento. Quando pubblicò un celebre saggio sull'amico nel 1968 - qui per la prima volta tradotto dalla versione originale tedesca - molte pagine erano dedicate alla biografia non già per ricercare motivi all'origine del suo pensiero, bensì per risalire alle cause della sua fama postuma. Scritti su letteratura ed estetica venivano riletti alla luce della critica politica, scoprendo intenti maturati dal confronto col marxismo dietro agli aspetti filosofici e religiosi rilevati fino ad allora dagli interpreti. Un'accusa che all'epoca si trasformò in polemica sullo sfondo dell'antagonismo tra capitalismo e comunismo, che richiedeva nuove soluzioni al problema della libertà dell'uomo d'imprimere un senso alla sua storia di catastrofi e non di progresso tra politica e teologia. Quel saggio dal lapidario titolo "Walter Benjamin" contribuì come nessun altro alla fortuna di un pensiero che accoglieva impulsi dalla metafisica per affrontare questioni della politica, come abbozzato nella serie di tesi "Sul concetto di storia", tradotte qui dal manoscritto originale affidato all'amica e presto riconosciute come suo testamento spirituale. Oltre alle loro lettere (1936-1940) sono raccolti in questo volume anche i principali documenti sulle discussioni che si accompagnarono alla riscoperta di un autore che continua a rivelarsi nella sua inattualità perché guardò oltre ogni attualità.
Le letture fondamentaliste dei testi sacri proiettano sul nostro tempo un grave pericolo per la libertà. Gli studi scientifici, da parte loro, omettono il richiamo spirituale che tali testi esercitano. Questo saggio propone una lettura spirituale della Torà secondo la tradizione ebraica che si rivela altrettanto scrupolosa della lettura scientifica e che ne rende eterna la parola perché il suo senso è eternamente rinnovato. Leggere la Torà è un lavoro di interpretazione e nello stesso tempo un coinvolgimento del sé. Si tratta di elevarsi ed elevare il mondo. La Torà ci parla del nostro presente e non offre soluzioni preconfezionate: i versetti parlano al lettore qui e ora, sollecitano la sua intelligenza e il suo cuore a trovare risposte al cui centro vi sia sempre il volto dell’altro.
"Devo questa leggenda a un vecchio mendicante che si chiamava Shmaike. Era uno storpio, ma, per non so quale ragione, lo chiamavamo "Shmaike il lungo". Era davvero strano: se ne stava zitto per tutto l'anno e cominciava a parlare solo durante la settimana che precedeva la Pasqua. Allora raccontava una sola storia - sempre la stessa - che diceva di aver ereditato dalla zio, uno scapolo sfaccendato che nessuno prendeva sul serio. A questo zio la storia era stata narrata dal nonno materno, Rabbi Issachar, un vero studioso, che l'aveva attribuita al suo Maestro, il famoso Rabbi Ephraim, che si diceva avesse posseduto i poteri del Maharal, il celebre rabbino miracoloso di Praga, ma che si fosse rifiutato di usarli per paura di sbagliare...".
Il XXI secolo si deve confrontare con il costante aumento dell'estremismo religioso e della violenza nel nome di Dio. In questo libro straordinario, Jonathan Sacks ne esplora in profondità le radici e, concentrandosi su ebraismo, cristianesimo e islam, dimostra che perfino la più compassionevole delle religioni può essere corrotta dalla violenza quando la lettura dei testi si cristallizza e cessa di rinnovarsi nel tempo alla luce della verità dell'unità di Dio e del rispetto dell'altro. Questo libro è un richiamo accorato e severo per tutti coloro che hanno smarrito la via e uccidono nel nome del Dio della vita, fanno la guerra nel nome del Dio della pace e praticano la crudeltà nel nome del Dio della compassione.
Nelle sue pagine, Arendt intende offrire un volto alternativo della condizione ebraica nella modernità, attraverso le figure di Heinrich Heine, Bernard Lazare, Charlie Chaplin e Franz Kafka. Esse costituiscono, in maniera paradigmatica, la "tradizione nascosta" di quegli ebrei che avrebbero preferito restare degli emarginati, degli Aussenseiter, o, per riprendere la categoria di Max Weber che offre il titolo al saggio, dei paria - più o meno consapevoli - piuttosto che diventare dei "nuovi ricchi" integrati e conformi ai dettami della società, ovverosia dei parvenus. Paria e parvenus rappresentano, nella teorizzazione proposta da Arendt, due poli contrapposti e sovente confliggenti dell'emancipazione e dell'assimilazione ebraica - reperibili, nella fattispecie, nella storia dello Stato prussiano, e nel suo concedere (e quindi sottrarre) diritti "umani" all'ebreo, a patto che questi rinunci al proprio ebraismo. Rifiutando una simile offerta, il paria vive una libertà irriverente e paradossale. Essenzialmente "fuori luogo", posto ai margini della società, egli non accetta di abiurare e di rendersi così indistinguibile dalla medesima, testimoniando in tal modo la propria insuperabile alterità ebraica.
Gregor, il protagonista di questo romanzo, deve affrontare quattro prove, una per stagione, come quattro sono le stagioni della vita. Il suo è un percorso concentrato in un solo tragico anno che assume i caratteri del viaggio iniziatico: l'incontro con "il maestro", il nascondimento del proprio io per guardare e comprendere l'altro, la lotta attiva per cambiare il mondo, la memoria che si tramuta in saggezza. Nel suo viaggio, Gregor deve affrontare e sconfiggere il male e la morte. La Shoah è un'esperienza estrema che non lascia vie di fuga. Gregor lo comprende subito e con coraggio e animo puro lotta per la vita e la dignità umana. In questo romanzo ritroviamo le domande fondamentali che Elie Wiesel si è posto per tutta la sua vita di testimone della Shoah. Un romanzo che fa riflettere, in un continuo alternarsi di desolazione e speranza, frustrazione e fiducia nella capacità di affermare la nostra umanità.
"Ciò che affermo è che questa testimonianza, che viene dopo tante altre e che descrive un abominio del quale potremmo credere che nulla ci è ormai sconosciuto, è tuttavia differente, singolare, unica. (...) Il ragazzo che ci racconta qui la sua storia era un eletto di Dio. Non viveva dal risveglio della sua coscienza che per Dio, nutrito di Talmud, desideroso di essere iniziato alla Cabala, consacrato all'Eterno. Abbiamo mai pensato a questa conseguenza di un orrore meno visibile, meno impressionante di altri abomini, ma tuttavia la peggiore di tutte per noi che possediamo la fede: la morte di Dio in quell'anima di bambino che scopre tutto a un tratto il male assoluto?" (dalla Prefazione di F. Mauriac)
Quando i Maestri del Talmud discutono, per convalidare la propria opinione usano logica e conoscenza delle fonti, fanno sfoggio di arguzia e di saggezza senza trascurare umorismo e psicologia. Ma, se tutte queste risorse non bastano per far prevalere il proprio punto di vista in una discussione, potrebbe essere il momento di utilizzare uno sferzante detto popolare, un proverbio o un'espressione stravagante. In questa raccolta, Amedeo Spagnoletto ha pescato nell'immenso universo talmudico alcuni detti e modi di dire particolarmente curiosi che, commentati e contestualizzati, ci danno un assaggio del sistema di pensiero che possiamo scoprire aprendo una pagina di Talmud.
È possibile esporre e comprendere l'etica ebraica 'stando su un piede solo' ossia in poche e semplici formule? Non è piuttosto il giudaismo un cammino lungo e complesso, e dunque anzitutto halakhà, un insieme di norme tese a santificare la vita quotidiana e a rafforzare un'identità di popolo? Quali sono i nessi tra la sfera etica, di sua natura universale, e la sfera delle pratiche simbolico-rituali, che caratterizzano e rendono particolare lo stile di vita ebraico? Cosa dice poi il pensiero rabbinico in merito all'etica del lavoro, o sulle attuali urgenze ecologiche, sull'esercizio del potere, sulla difesa dei diritti umani? In queste pagine la delicata questione del rapporto tra etica e halakhà viene indagata alla luce degli antichi dibattiti rabbinici fino alle discussioni contemporanee passando naturalmente attraverso la grande lezione etica di Maimonide. Uno studio affascinante e impegnativo, guidato dalla stella polare della giustizia, secondo il dettame della Torà: "La giustizia, la giustizia seguirai" (Deuteronomio 16,20).
Religioso è quel nichilismo che in particolari momenti di crisi si presenta in nome di esigenze religiose e pretende di essere una religione. Se ogni religione è una risposta al problema della morte, non ogni nichilismo è negazione della vita. Dallo gnosticismo e misticismo del cristianesimo alla tradizione mistica dell'islam fino all'ebraismo, analoghi movimenti di liberazione ed emancipazione rivendicarono un senso dell'esistenza dovendo come eresie sottrarsi alle persecuzioni religiose prima di manifestarsi in ambito profano nel passaggio dall'immaginario rivoluzionario a quello illuministico. Un fenomeno complesso e controverso, che rischia di rovesciarsi dialetticamente in una ideologia della morte oppure della vita, strappato a secoli di oblio da Gershom Scholem grazie alle sue ricerche sulle grandi correnti della cabbalà, per arrivare nel presente testo a mostrare questo fenomeno come aspetto mistico dell'illuminismo.