Le lumache che vivono nel prato chiamato Paese del Dente di Leone, sotto la frondosa pianta del calicanto, sono abituate a condurre una vita lenta e silenziosa, a nascondersi dallo sguardo avido degli altri animali, e a chiamarsi tra loro semplicemente "lumaca". Una di loro, però, trova ingiusto non avere un nome, e soprattutto è curiosa di scoprire le ragioni della lentezza. Per questo, nonostante la disapprovazione delle compagne, intraprende un viaggio che la porterà a conoscere un gufo malinconico e una saggia tartaruga, a comprendere il valore della memoria e la vera natura del coraggio, e a guidare le compagne in un'avventura ardita verso la libertà.
Yoel Blum è un uomo realizzato. È marito, padre e nonno, nonché scrittore di fama internazionale, esponente di spicco della nuova letteratura ebraica. I suoi romanzi sono tradotti in tutto il mondo, i tour promozionali si susseguono, e lui non si risparmia, visitando ogni paese. Tutti, tranne uno. In Olanda, infatti, il luogo dove è nato, Yoel non ha più fatto ritorno da oltre sessant'anni, da quando è fuggito in Palestina sul finire della guerra, scampando alle deportazioni naziste e all'orrore della soluzione finale. Ha promesso alla madre che non sarebbe più tornato, e ha mantenuto la promessa. Almeno fino a oggi: all'interno di una sala buia del Museo Ebraico di Amsterdam, Yoel sta per incontrare il suo passato in un filmato d'archivio che mostra i volti sorridenti di suo padre Eddy, morto in un campo di concentramento, di sua madre Sonia e sua sorella Nettie... e di un bambino che non è lui. Ma allora chi può essere, e perché non l'ha mai visto prima? Comincia così un'avventura alla ricerca della verità, che porterà Yoel a mettere insieme, pezzo dopo pezzo, la sua storia e quella della sua famiglia. Ricostruendo le dinamiche interne di una delle più grandi comunità ebraiche di quei tempi, Emuna Elon offre una testimonianza autentica, ricca di profondità e tensione emotiva, e al tempo stesso sorretta da un meccanismo letterario perfetto. Un libro con una voce originale che solleva una domanda: cosa è giusto fare, quando tutto è sbagliato?
Sud Italia, un'estate sulla Costiera amalfitana. A causa di un guasto alla loro imbarcazione, un gruppo di giovani americani si ritrova a soggiornare in un hotel frequentato da attempati turisti poco inclini al divertimento. Lì conoscono Raúl, personaggio riservato e imperscrutabile, sempre seduto in disparte con il suo taccuino. Finché un giorno si avvicina al loro tavolo: accortosi che Mark soffre visibilmente a una spalla, gli posa una mano sul punto dolorante, alleviandone il fastidio. Non contento, procede rivelando dettagli personali, anzi intimi, su tutti i presenti, informazioni che nessuno avrebbe mai potuto conoscere... Per vincere la diffidenza dei giovani, spiazzati dalle sue scomode verità, decanta loro le meraviglie della zona: una zona che frequenta d'estate fin da quando era bambino, piena di risonanze legate al mondo della mitologia, come i Lugentes Campi, i campi del pianto, dove gli amanti infelici errano ricordando le loro pene d'amore. L'unica del gruppo che non sembra lasciarsi ammaliare dal suo fascino e dalla sua retorica è Margot, che Raúl inizialmente aveva chiamato con quello che secondo lui doveva essere il suo vero nome di battesimo, Maria. Ma con il passare delle ore e dei giorni, dopo un pranzo condiviso e lunghe camminate sulla spiaggia, Margot comincia a fidarsi di lui, ad aprirsi... E Raúl la condurrà in un viaggio indietro nel tempo, verso un passato che li lega molto da vicino. Prenderà corpo una storia d'amore e di mistero, nel segno di quella delicata profondità nel raccontare i sentimenti che è un marchio inconfondibile di André Aciman.
Incontriamo zia Camilla sulla piazza di un piccolo paese non lontano dal lago di Garda e dal corso dell'Adige. Per le borsette e i cappellini tutti la chiamano la Regina, e in effetti nel portamento assomiglia alla regina d'Inghilterra, con qualche stranezza in più. Qualcuno l'ha fatta sedere sulle pietre della fontana dove la raggiunge la nipote Andreina, e un pezzo di realtà di zia Camilla si ricompone. È l'esordio, così lo chiamano, di una malattia che si è manifestata a poco a poco, a giorni alterni, finché il mondo fuori l'ha vista e da quel momento è esistita per tutti, anche per lei. Zia Camilla è sempre vissuta in campagna tra fiori, galline e gli amati orologi, nella grande casa dove la nipote è cresciuta con lei e con zio Guidangelo. Ora Andreina, che è moglie e madre mentre la zia di figli non ne ha avuti, l'assiste affettuosamente e intanto racconta in prima persona il presente e il passato delle loro vite. Una narrazione viva ed energica, come zia Camilla è sempre stata e continua a essere. Intorno e insieme a loro, parenti, amiche, altre zie, donne venute da lontano che hanno un dono unico nel prendersi cura, tutte insieme per fronteggiare questo ospite ineludibile, il «signor Alzheimer», senza perdere mai l'allegria. Perché zia Camilla riesce a regalare a tutte loro la vita come dovrebbe essere, giorni felici, fatti di quel tempo presente che ormai nessuno ha più, e per questo ricchi di senso.
Bartfuss è immortale. Nessuno, infatti, sarebbe riuscito come lui a sopravvivere con più di cinquanta pallottole in corpo. Evaso da un campo di sterminio, rifugiatosi nella foresta vicina, è stato contrabbandiere sulla costa italiana, da dove si è poi imbarcato per Israele. Oggi, a cinquantasette anni, vive a Giaffa insieme a una famiglia da cui si sente perseguitato. Si tiene isolato nella sua stanza per non rischiare di incontrare la moglie Rosa e le due figlie. Impaziente di lasciare quella casa, per lui covo di nemici, Bartfuss passa le giornate muovendosi tra la riva del mare e i bar della città, dove a ogni angolo incrocia i volti di chi come lui ha attraversato l'esperienza dei campi e gli anni in Italia. Ma Bartfuss è davvero immortale? Ormai vera e propria leggenda vivente, ma solo e lontano da tutti, inizia a provare un bisogno di comunicare, di condividere i ricordi che si scontra con la sua radicale ricerca di solitudine... Aharon Appelfeld ritrae in queste pagine una nuova figura di sopravvissuto alla Shoah, quella dell'antieroe che, nostalgico di un passato che è stato anche la sua tragedia, è ormai incapace di costruirsi una nuova esistenza.
Pubblicato nel 1923, Il Profeta viene da subito accolto – con grande favore di critica e di pubblico – come un libro di saggezza e, ancora oggi, continua a ispirare milioni di persone in tutto il mondo. In quest’opera allegorica, che schiude al lettore il significato spirituale dell’esistenza, Gibran è stato capace di parlare a intere generazioni attraverso la voce di Almustafà l’eletto, che nel rispondere alle domande dei suoi seguaci esplora i grandi temi della vita: l’amore, l’amicizia, la bellezza, la gioia e il dolore. L’opera di Gibran è qui presentata in una nuova veste, frutto delle ricerche di Dalton Hilu Einhorn che, quando nel 2017 ha ottenuto l’accesso agli archivi Gibran/Haskell, ha ritrovato oltre centocinquanta scritti inediti tra poesie in prosa, aforismi, detti e tre capitoli degli Dei della terra non inclusi nell’edizione definitiva. Un tesoro inaspettato che possiede la stessa scrittura lirica, la stessa forza evocativa e la stessa profondità del grande classico del poeta libanese.
Con la consueta passione polemica, senza mai abdicare alla sua caratteristica soggettività tesa e vibrante, Sepúlveda offre in questo libro un'altra prova della sua passione politica e umana. Ma non è solo la denuncia sociale a dare energia alle pagine: alle riflessioni sugli argomenti più scottanti della politica internazionale, si alternano i commossi ricordi di amici scomparsi e storie, semplicemente da raccontare. E tutto, sembra dirci lo scrittore, tanto la necessità di raccontare quanto il desiderio di combattere, trovano ragione semplicemente nella capacità di sognare ancora, di non rinunciare ai nostri sogni.
«Non c'è un problema che un farmaco non curi, mamma lo dice sempre. A casa nostra non si parla, si prendono medicine. Così lei mi dà il Dulcolax ogni sera perché sono una bambina grassa. Due compresse, quattro, otto. E io non so che legame ci sia tra il Dulcolax e una bambina grassa, visto che non dimagrisco...». C'è un peso che non si può perdere, anche quando l'hai perso tutto. Matilde lo sa: la mamma, bulimica, passa le giornate a vomitare; lei ha cominciato a ingrassare quando aveva sei anni ed è affamata da una vita. A scuola elemosina biscotti, a casa ruba il pane, e intanto sogna che le taglino la mano. Ottanta chili a sedici anni, a diciotto quarantotto; Matilde va in America a studiare, splende, ma la fame e la paura le vengono dietro. Finché, dopo la morte della madre, il tracollo finanziario del padre e una relazione violenta, supera i centotrenta chili. E quando esce, c'è sempre qualcuno che la guarda con disprezzo. Allora Matilde si chiude in casa per tre anni, e sui social si finge normale. Ma che vuol dire normale? Un romanzo tra due lingue e due culture, tra gli anni Settanta e oggi. Un libro vorticoso tra perfezionismo, autolesionismo, menzogna e dipendenze.
La nostra società attribuisce una grande importanza all'istruzione e fornisce una preparazione adeguata agli studenti in qualsiasi ambito. Formiamo piloti e neurochirurghi, revisori contabili e igienisti dentali, ingegneri e insegnanti di greco antico. Ma tutte le nostre energie si concentrano sull'intelligenza razionale, trascurando quella emotiva. Ci preoccupiamo se i nostri figli prendono un brutto voto in matematica, ma non ci chiediamo se saranno persone gentili, se sapranno gestire la rabbia nel corso di una discussione o lo stress durante un colloquio di lavoro. Eppure, un buon grado di abilità emotiva è un requisito essenziale per migliorare la vita di tutti noi: partiamo dal presupposto che sia futile o che non si possa insegnare, che sia qualcosa di relegato all'ambito dell'istinto e dell'intuito. Niente di più sbagliato. Leggere queste pagine ci permetterà di capire come funzionano gli ingranaggi delle emozioni, di sviluppare una competenza vera e propria che, al pari di tutte le altre, richiede esercizio, ma che ci aiuterà ad accettare i nostri fallimenti, a vivere l'amore in modo sereno e appagante, a trarre profitto dal lavoro senza essere ossessionati dal denaro. Combinando saggezza pratica e profondità filosofica, Alain de Botton ci illustra con grande chiarezza e vivacità espositiva un metodo efficace per diventare individui emotivamente maturi e consapevoli.
Un crimine spaventoso sconvolge una quieta cittadina nel Sud della Catalogna: i proprietari dell'azienda più importante della zona, le Gráficas Adell, vengono trovati morti, con segni evidenti di feroci torture. Il caso è assegnato a Melchor Marín, giovane poliziotto e appassionato lettore, alle spalle un passato oscuro e un atto di eroismo quasi involontario, che lo ha fatto diventare la leggenda del corpo e lo ha costretto a lasciare Barcellona. Stabilitosi in questa piccola regione dal nome evocativo di Terra Alta, crede di aver seppellito l'odio e la voglia di riscatto sotto una vita felice, grazie all'amore di Olga, la bibliotecaria del paese, dalla quale ha avuto una figlia, Cosette. Lo stesso nome della figlia di Jean Valjean, il protagonista dei Miserabili, il suo romanzo preferito. L'indagine si dipana a ritmo serrato, coinvolgendo temi come il conflitto tra giustizia formale e giustizia sostanziale, tra rispetto della legge e legittimità della vendetta. Ma soprattutto Javier Cercas racconta l'epopea di un uomo solo che cerca il suo posto nel mondo, e per questo dovrà lottare e mettere a rischio tutto: i valori, gli affetti, la famiglia, la vita.