Un'originale, appassionante rilettura della figura di Mosè a partire dai testi biblici e dai midrashim della tradizione orale ebraica, con attenzione ad alcune interpretazioni moderne sia di Mosè (a partire da quella di Freud), sia del Decalogo (oggi molto commentato anche fuori dai circoli religiosi), ma anche della terra promessa a Israele. Il bastone di Mosè è il simbolo del potere politico del carisma spirituale, un simbolo arrivato fino ai nostri tempi.
Le montagne di Mosè (Horeb, Sinai e Nebo), l'ira di Dio, il turbante di Aronne, il pozzo di Miriam: i protagonisti del popolo che attraversa il deserto e sullo sfondo il grande tema del monoteismo e dei suoi insospettabili significati politici.
Dopo il successo di Le tende di Abramo, esplorazione delle parentele tra le tre grandi religioni monoteistiche (ebraismo, cristianesimo e islam) accomunate dallo stesso padre, uno dei maggiori esperti italiani di ebraismo dipinge con efficacia e intensità una figura di leader che ancora oggi appassiona.
Uno dei più straordinari gruppi montuosi delle nostre Alpi, le Dolomiti di Brenta - cattedrale e sinfonia di roccia - raccontate per immagini nate da un rapporto intimo e profondo tra un fotografo di montagna e questi luoghi. Un viaggio lungo tre anni (2009-2012) dentro e fuori questo splendido e solitario gruppo dolomitico; per ferrate, boschi, cascate, nuvole, neve, sole, pioggia, in ogni stagione, per migliaia di metri di dislivello. Novanta fotografie in puro e potente bianco e nero in pellicola, medio formato, realizzate da Hasselblad e Rolleiflex. Spiega Bregani: "Sono un fotografo di montagna, cammino dentro e fuori le cime, ne respiro l'essenza. Non ho mete e non ho percorsi, seguo la luce, le nuvole che corrono, e il vento mi accompagna. Vogliano le montagne parlarmi di loro, così che io raccolga ogni storia dentro ogni mio piccolo frame". Roberta Bonazza racconta questa emozione dando parola allo sguardo dell'aquila. La guida alpina Sandro Vidi, nel vademecum escursionistico finale (che si aggiunge alle schede tecniche di ogni fotogramma) ci racconta i percorsi e le salite per rivivere la stessa emozione.
Presentazione
Nato nel 1931 a Buenos Aires, figlio di un emigrato dalla Galizia spagnola e di una madre india, l'argentino Adolfo Perez Esquivel per tutta la vita è stato un «combattente» della nonviolenza, un testimone della giustizia che ha pagato la coerenza delle idee con il carcere duro e con le torture.
Lì, nella cella stretta e buia detta "tubo", ha visto - scritto col sangue - "Dios no mata", «Dio non uccide», il cuore della sua fede disarmata. Esquivel non ha mai smesso di schierarsi con gli oppressi e i diseredati, "los de abajo", i tanti senza voce e senza volto del Sud del mondo. La sua vita, sofferta e avventurosa come un romanzo, è stata contrassegnata dagli incontri con profeti della nonviolenza come Lanza Del Vasto e Jean Goss e dalla vicinanza alla teologia della liberazione. Il suo impegno infaticabile è stato riconosciuto dal premio Nobel per la pace, nel 1980.
Nell'introduzione a questa prima biografia completa di Esquivel pubblicata in Italia, lo scrittore suo connazionale Mempo Giardinelli lo accosta a Thomas Merton, Gandhi e sant'Agostino: "Anche lui è un guerriero dello spirito, pacifista inflessibile e lottatore contro ogni ingiustizia e violenza, forse i mali più persistenti di questo tempo inquietante che ci tocca di vivere".
L'infanzia e la fanciullezza tra Cavalese e Trento, l'arrivo a Riva del Garda, nel 1933. La guerra, la fine del fascismo, la Resistenza. Al liceo, nonostante tutto, un'educazione alla libertà che non tarderà a far vedere i suoi frutti migliori. Il fratello, Eugenio, "generoso, libero e assetato di verità", si fa come tanti giovani della sua generazione "ribelle per amore" e, tradito da una soffiata, viene trucidato in casa dai nazisti alla presenza delle sorelle e del padre. "Non aveva mai conosciuto odio nei brevi anni della sua vita: il suo volto disteso e pacato mi fa pensare che non l'abbia conosciuto nemmeno davanti al suo uccisore. Non c'era segno di sangue. Nulla. Il tutto era avvenuto in pochi minuti: pochi minuti carichi di mistero che decisero della mia vita". A scrivere è una donna, Cecilia Impera. Quell'evento la accompagnerà, segnandola per tutta la vita. Fino all'incontro con un altro uomo, per lei altrettanto decisivo: Giuseppe Dossetti. Cecilia entra a far parte della "Piccola Famiglia dell'Annunziata", ispirata dal ricordo del sacrificio di Eugenio e dall'esempio e dalla guida paterna di Dossetti. La storia di una vita che è nel contempo la storia di momenti decisivi del nostro Paese, della Chiesa (soprattutto il periodo del Concilio) e dell'incontro con le altre confessioni cristiane oltre che con le grandi religioni dall'ebraismo all'islam fino all'induismo...
Sandali ai piedi e borsa di lana a tracolla, il missionario olandese Frans van der Hoff ha fondato nel 1989 il primo marchio equo e solidale, Max Havelaar. Nel suo Manifesto dei poveri, un testo conciso, appassionato e profetico, spiega che un altro mondo è davve­ro possibile e lui l'ha sperimentato e continua a viverlo tra i contadini coltivatori di caffè dello stato messicano di Oaxaca.
L'idea è semplice e insieme rivoluzionaria: il lavoro umano ha una sua dignità e un suo prezzo. Se la logica delle multinazionali sfrutta la fatica dei produttori, bisogna metterli in contatto diretto con i consumatori, aggirando così l'idolo e il Moloch delle leggi del mercato. Con il commercio equo e solidale - spiega - si smonta la sacralità del mercato, oggi intoccabile e indiscutibile. E quando si rimette l'economia al suo posto, che non è il primo, che spetta invece alla vita delle donne e degli uomini, al loro lavoro, alla loro dignità, il mondo diventa davvero migliore. Per la nostra generazione, e soprattutto per le generazioni che verranno.
"Il capitalismo non esiste che da duecento anni e noi abbiamo potuto constatare, in modo definitivo, che le contraddizioni che gli sono proprie portano in se stesse i germi del suo superamento: il commercio equo e solidale è uno di questi".
Con la prefazione di Enrico Galavotti, biografo di Dossetti, il racconto esauriente, ma agile e "per tutti" di una vita straordinaria e irripetibile. Il ritratto avvincente e documentato di un protagonista della storia politica ed ecclesiale italiana dal dopoguerra in poi, che continua a suscitare passioni e opposte valutazioni.
In vista del centenario della nascita di Giuseppe Dossetti (Genova, 13 febbraio 1913), Fabrizio Mandreoli, teologo e storico, ne ricostruisce la vita con rigore e misura, con profondità e sobrietà. Il racconto si distende dagli anni della formazione all'insegnamento universitario, dall'esperienza partigiana al contributo per la stesura della Carta Costituzionale, dalla militanza critica nella Democrazia Cristiana al ritiro dall'attività politica per intraprendere la via del sacerdozio, la partecipazione al Concilio e, infine, la fondazione di una piccola comunità monastica aperta verso l'Oriente europeo e asiatico.
Una vita fitta di incontri, di amicizie (tra tutti, La Pira, Lazzati, il cardinale Lercaro), apparentemente caratterizzata da improvvise cesure e cambi di rotta, ma in realtà percorsa - come mostra Mandreoli - da un'incessante e "semplice" ricerca di conformità al Vangelo dentro la complessità riconosciuta della storia. In fondo, Dossetti coltivava un unico desiderio: "diffondere quella pace che è un bene universale, diffonderla non a parole, ma col silenzio e con i fatti, quelli più profondi, più duraturi e più umili, più puri da ogni clamore"
Figlio di ebrei tedeschi fuggiti dalla Germania nazista, nato nel 1942 e battezzato cattolico vicino al campo di concentramento calabrese dove i genitori erano stati internati, diventato frate nell'Ordine dei Servi di Maria, Lucio Pinkus si è laureato in psicologia e si è specializzato in età evolutiva e in analisi junghiana per poi diventare professore all'università di Roma. Da sempre vicino alle umane sofferenze e in particolare ai malati terminali - nel solco dell'agire terapeutico di Gesù - Pinkus è sempre stato un irregolare, un anticonformista, uno spirito libero dentro la Chiesa dell'obbedienza.
La sua vita è un'avventura che si intreccia con la storia d'Italia: dalla condivisione della vita degli immigrati in una borgata della periferia romana agli incontri con Turoldo, Balducci e La Pira, dall'amicizia con Adriano Ossicini e con gli altri indipendenti del Partito comunista al supporto psicanalitico ai terroristi rossi, dalla cura degli epilettici alla crisi con la sua famiglia religiosa e alla seconda vita che ricomincia in un piccolo monastero di Arco, vicino al lago di Garda, in un'inedita, controcorrente comunità mista composta da due frati e cinque monache. Sempre dentro una passione forte per l'uomo e per l'incontro personale, alla ricerca della vita felice.
Otto anni dopo la prima pubblicazione, ritorna - con un'appassionata prefazione di Grazia Villa, presidente della Rosa bianca - un testo fondamentale del femminismo filosofico e teologico. Un libro che "scandalizza" i custodi dei sacri poteri maschili attraverso la radicale differenza di genere e di sguardo delle donne che pensano e amano Dio. Forse solo le mistiche sanno vibrare del vento rivoluzionario del Dio che ama gli uomini e le donne. Un testo che disfa e ridisfa a ogni rilettura tutte le immagini di Dio, anzi dello "Sgrammaticato" come lo definisce Muraro, senza mai distruggerne il Volto Santo, l'Assoluto, l'Immanente, proprio perché il Dio delle donne, è Colui/Colei che è raccontato in lingua materna, è l'indicibile delle mistiche, è il non pensato della teologia favolosa delle donne, quella teologia fondata proprio sulla loro relazione unica, libera e personale con il loro Dio. Da Margherita Porete a Simone Weil, da Angela da Foligno a Etty Hillesum, da Giuliana di Norwich a Cristina Campo. Il Dio di queste donne era un Dio che conoscevano con l'esperienza diretta dell'incontro, ma anche attraverso l'accesso libero alla Scrittura Sacra (almeno finché la gerarchia ecclesiastica non intervenne a proibire questa "scuola divina" non autorizzata). Con sferzante ironia l'autrice commenta: "Ben prima della borghesia progressista fu Dio, dunque, che s'incaricò di alfabetizzare le donne, o almeno le sue amiche preferite!".
Franco Mosconi, monaco camaldolese, priore dell'Eremo di San Giorgio di Bardolino, legge e medita ad alta voce uno dei libri oggi meno frequentati della Bibbia, Tobia, che narra la storia di una famiglia ebrea (il padre Tobit, il figlio Tobia, e poi la giovane sposa del figlio, Sara) deportata in Assiria e nella quale Dio interviene per mezzo del suo angelo Raffaele; una storia segnata dalla fedeltà alla Legge, dalla disponibilità al mettersi in cammino, dalla serenità operosa e fiduciosa con cui viene affrontata la vita. Quello di Tobia è il libro della condizione terrestre dell'uomo: esule, in viaggio, che stringe continuamente rapporti umani, che se anche vive in esilio deve vivere come se fosse in patria, perché anche in esilio sono possibili e doverosi la vita di famiglia, il rapporto di fraternità con gli esuli, la compagnia degli angeli, l'invocazione a Dio. Il Libro di Tobia rende testimonianza dell'esperienza umana, e ricorda al cristiano il senso della sua vita terrestre: un cammino verso l'unità nell'amore di Dio, un cammino lungo il quale accogliere con amore il mondo, la storia e l'umanità, quelli che ci sono donati. Prefazione del vescovo di Treviso Gianfranco Agostino Gardin.
L’inizio della vita, la fine della vita, la sacralità della vita e quindi il tema attualissimo del testamento biologico hanno direttamente a che fare con il problema dell’anima. Un tema, quello della sua essenza, origine e destinazione, da sempre al centro della riflessione di filosofi e teologi, in quanto elemento imprescindibile per la comprensione della nozione della vita. Negli ultimi due secoli le scoperte della termodinamica, della biologia e delle scienze cognitive hanno offerto spunti di analisi che hanno spesso condotto a una vera e propria contrapposizione tra una visione dell’anima improntata a principi filosofico-teologici e una improntata a principi scientifici.
Per cercare di verificare se tale contrapposizione abbia o no una reale consistenza, si rende necessaria un’analisi della cornice scientifica all’interno della quale si sviluppa la riflessione sull’anima, al fine di tracciare in tal modo i limiti di indagine della scienza in un terreno che resta prettamente filosofico-teologico.
Il libretto di Giovanni Straffelini, docente di ingegneria dei metalli e appassionato lettore di meditazioni teologiche e filosofiche, vuole illustrare brevemente, con linguaggio piano, semplice e accessibile anche ai non specialisti, il problema dell’anima, tra esplorazione scientifica e fede nelle “cose ultime”
Con una postfazione di Carlo Alberto Defanti