Siamo entrati in una nuova era del dibattito pubblico caratterizzata da una crescente «disintermediazione» della politica, una proliferazione delle opportunità comunicative e una distribuzione del potere e della visibilità supportate anche dalla diffusione di internet. Il dibattito pubblico è quindi sempre più frutto di una sorta di collage nel quale confluiscono voci e posizioni autorevoli e ufficiali, voci dell'opposizione, voci minoritarie che chiedono rappresentanza, voci di cittadini scoraggiati o indispettiti, voci di troll di professione che cercano di aumentare il volume del rumore. È in questo scenario che vediamo emergere fenomeni come l'inciviltà, la disinformazione e la polarizzazione che sembrano rendere il clima sociale e politico più tossico. Gli autori mostrano, però, come si tratti di «sintomi» della trasformazione del dibattito pubblico e non di «cause» che ne determinano il deterioramento e come il dibattito pubblico sia ancora vivo e abbia un futuro, seppure con tratti profondamente diversi da quelli del passato.
La storia dell'Università di Bologna tra gli ultimi decenni del Duecento e il Trecento - se si escludono ricerche pregevoli, ma settoriali - non è stata studiata come pur meriterebbe, per responsabilità, principalmente, di Friederich Karl von Savigny, che nella sua «Geschichte des Römischen Rechts im Mittelalter» a metà Ottocento bollò quell'età come un periodo di decadenza rispetto all'altra che, da Irnerio ad Accursio, l'aveva preceduta. In realtà, la scuola dei postaccursiani e poi dei commentatori sviluppò un pensiero di alto profilo che, nel confronto con le scuole contemporanee dei logici, dei medici e filosofi bolognesi, si segnala per un'approfondita riflessione sul metodo esegetico che, sotto alcuni aspetti, già annuncia la rivoluzione scientifica del mondo moderno.
Una ricostruzione storica di insieme del tempo in cui le chiese cristiane sono passate dall'ostilità al dialogo e dalla separazione a forme di comunione. Una storia dell'ecumenismo inteso come movimento squisitamente novecentesco di genesi europea e di portata globale: una storia di personalità e gruppi, generazioni e assemblee, rapporti e programmi, teologie e azioni, nel desiderio di unità. Primo di tre volumi, questo tomo ripercorre le radici di lungo periodo e ricostruisce gli snodi storici, teologici e politici che hanno segnato l'avvio di un vero e proprio movimento che percorre il secolo XIX e arriva nel cuore del Novecento. Saggi di: Paul Avis, Bernard Barlow, Gerhard Besier, Franz Xaver Bischof, Martin Browne, Mark D. Chapman, Silvia Cristofori, Gary Dorrien, Michel Fédou, Luca Ferracci, étienne Fouilloux, Martin Friedrich, Frédéric Gugelot, André Haquin, Benedikt Kranemann, Mathijs Lamberigts, Dietz Lange, Martin Cyprian Lenz, Marie Levant, Adalberto Mainardi, Vasilios N. Makrides, Sandra Mazzolini, Alberto Melloni, Paul Metzlaff, Arie L. Molendijk, Peter Nockles, Laura Pettinaroli, Jeremy Pilch, Kenneth R. Ross, Sarah Scholl, Juan Sepúlveda, Brian Stanley, Stylianos Tsompanidis, John Zizioulas.
Gli studi sul contributo che la Chiesa ha dato alla diffusione dell'italiano sono numerosi; non sono molte, tuttavia, le indagini sull'uso che dell'italiano è stato fatto dagli inizi del Novecento a oggi. Nonostante alcune ricerche importanti sulla traduzione della liturgia dopo il Concilio Vaticano II, sulla diffusione dell'italiano nel mondo attraverso la religione o sulla lingua dei pontefici, sono rimasti estranei all'attenzione degli storici della lingua sia le vie seguite dalla Chiesa nel XX secolo e nei primi anni del XXI per tenere viva la comunicazione con credenti e non credenti, sia il contributo che le recenti innovazioni hanno dato alla lingua italiana. L'idea del volume nasce, dunque, dall'intenzione di avviare nuove ricerche e riflessioni sui tanti modi in cui la Chiesa cattolica è riuscita a mantenere vivo il suo ruolo di messaggera dell'italiano.
«Questo mettere continuamente in gioco la propria vita ha di per sé un grande fascino» Ernst Jünger «Le granate ci sorvolano fischiando. Sono di buon umore, quasi inebriato dal rombo dei cannoni» Ludwig Wittgenstein Per oltre due secoli la politica è stata una passione che ha indirizzato le scelte di vita delle persone. Un fuoco dentro. Per la politica uomini e donne hanno abbandonato affetti e interessi, si sono gettati nella mischia, hanno dato la vita: nelle lotte per l'indipendenza nazionale, nelle guerre, nelle rivoluzioni e controrivoluzioni. Paolo Macry racconta con partecipazione le storie di questi volontari, dal filoellenico Santorre di Santarosa ai mazziniani di Belfiore, dai giovani accorsi nel carnaio del '14-18, Jünger, Stuparich, Wittgenstein, Gadda, alle gesta di Orwell e Koestler nella guerra di Spagna, dalla resistenza di Marc Bloch, della Rosa Bianca, di Ada Gobetti ai repubblichini Vivarelli e Mazzantini. Fino agli anni di piombo di Moretti, Mambro, Fioravanti. Ragioni pubbliche e inquietudini esistenziali, furori ideologici e narcisismi, senso d'onnipotenza e d'impotenza s'intrecciano nella loro scelta, spesso fatale, di andare fino in fondo con le armi in pugno.
Dall'inizio della repubblica i partiti sono al centro della vita politica italiana. Alcuni sono tramontati, altri si sono trasformati, altri sono appena sorti. Come orientarsi? Solo un'analisi dettagliata dei programmi, delle alleanze, del dibattito interno, dell'elettorato, degli iscritti e dirigenti di ciascuna formazione consente di avere una visione documentata delle vicende della politica italiana. Nel libro viene ricostruito il percorso di tutti i partiti italiani dagli anni quaranta a oggi, dai partiti storici, grandi come la Democrazia cristiana o minuscoli come il Partito repubblicano, ai partiti nuovi come Forza Italia e Lega, o nuovissimi come il Movimento 5 stelle. Di ciascuno viene presentato un ritratto che ne mette in luce le caratteristiche organizzative e ideologiche, i conflitti interni e i rapporti con la società, con le istituzioni e con le altre formazioni politiche.
«Ma d'ongni chosa mi darei pace, pure che fosi chognosciuto la metà di quello ch'io fo» Margherita Datini, lettera del 28 agosto 1398 Nella società medievale, guerriera e violenta, la presenza femminile rimane in ombra: le donne, per lo più analfabete e sottomesse, offese e abusate, a volte addirittura considerate specie a parte rispetto agli uomini, come gli animali, non hanno voce. A meno di non essere obbligate al monastero, dove possono vivere in modo più dignitoso, imparando a leggere e scrivere. Da dove viene tanta misoginia? Una volta affermatosi il celibato dei preti con Gregorio VII, ogni donna è una Eva tentatrice, non compagna dell'uomo ma incarnazione del peccato da cui fuggire. Eppure, da questa folla negletta emergono alcune personalità eccezionali, capaci di rompere le barriere di un destino rigidamente segnato. Illuminate dalla finezza decifratoria di Chiara Frugoni, oltre che da un bellissimo corredo di immagini, incontriamole: sono monache e regine come Radegonda di Poitiers, scrittrici geniali come Christine de Pizan, personaggi leggendari come la papessa Giovanna, figure potenti come Matilde di Canossa, donne comuni ma talentuose come Margherita Datini. Tutte hanno scontato con la solitudine il coraggio e la determinazione con cui hanno ricercato la piena realizzazione di sé.
Per richiamare gli intellettuali a reinventarsi senza tradirsi. Chi sono gli intellettuali oggi? Com'è cambiato il loro ruolo al tempo di internet? Se tutti possono dialogare con tutti, se i media tradizionali di cui di solito gli intellettuali si valgono sono in crisi, chi potrà ancora ascoltarli? L'atteggiamento populista alimenta il rifiuto degli intellettuali, e le forze politiche che lo coltivano sono fondate su un falso egualitarismo che dichiara di poter fare a meno di loro; dobbiamo allora rassegnarci al trionfo di chi non sa? Contro l'epidemia dell'ignoranza e i suoi effetti negativi sulla società e sulla democrazia, un'analisi lucida e senza sconti a difesa del ruolo dell'intellettuale come critico essenziale nel «mercato delle idee».
In certi momenti vien voglia di mandarlo al diavolo, dal quale egli forse proviene; in altri, di tenercelo stretto come un compagno di viaggio che instilla dalla soglia della nostra coscienza il tormento e la suggestione del nulla Che cosa sono queste «vanità delle vanità» di cui ci parla il Qohelet? Un messaggio di disperazione o un appello alla libertà? Per millenni questo enigmatico libro della Bibbia è stato interpretato come un'eccezione, anzi una contraddizione o uno scandalo nel messianismo ebraico e cristiano, il quale insegna a non disperare, poiché la storia ha un senso che ci condurrà alla «pienezza dei tempi». Ma nel frattempo dobbiamo forse annichilirci, impazzire di disperazione e riempire le nostre giornate con la ricerca di vani, insensati e fuggitivi piaceri, per non farci annientare dalla consapevolezza della nullità delle nostre vite? Meglio allora per l'uomo non esser mai nati: è questo che dobbiamo concludere? Ma perché dovremmo condannare come illusoria l'azione rivolta a costruire, nella vita individuale e in quella collettiva, qualcosa che vano non sia? Una lettura controcorrente che cerca di vedere un poco più chiaro nella potente poesia di questo testo apocalittico.
Da qualche anno, nei dibattiti televisivi o in presenza, si sente l'oratore di turno che non si risolve a terminare il suo intervento e dice «Un'ultima cosa e poi mi taccio». Si tratta di una lepida formula anticheggiante restata inconsapevolmente nell'orecchio dal canto di Farinata, uno dei più famosi: «qui dentro è 'l secondo Federico / e 'l Cardinale; e degli altri mi taccio». La memorabilità di questa clausola ha probabilmente generato questo uso imperversante, senza nessuna consapevolezza da parte di chi usa questa formula. La Commedia di Dante non è soltanto un esempio insuperato di creazione poetica, ma anche un serbatoio linguistico che nel tempo ha riccamente alimentato il vocabolario dell'italiano. L'eredità dantesca è fatta di parole ed espressioni dalla storia diversa. Alcune resistono nella nostra lingua fino a oggi, a volte cambiando in tutto o in parte il significato. Altre è stato Dante stesso a coniarle, o a usarle per primo in italiano. Ma in un'opera letteraria come la sua le parole non possono essere staccate dalla poesia, e così il libro si sofferma su alcuni casi esemplari, ne tratteggia il profilo in riferimento al contesto in cui occorrono e alle implicazioni di senso di cui sono portatrici. Serianni guida il lettore ad accostarsi al genio linguistico del nostro poeta nazionale.