
Durante la sua permanenza a Ravenna il Sommo Poeta visitò certamente le splendide basiliche bizantine traendo ispirazione dai loro mosaici.
Fu Giovanni Pascoli a suggerire la rilevanza dell’arte di Ravenna come fonte ispiratrice dell’ultima cantica della Commedia.
Dante è un attento osservatore di ogni forma d’arte, disegnatore lui stesso e necessariamente sensibile rispetto a quel ricco repertorio di immagini fortemente evocative, che per lui ebbero la medesima influenza di una fonte scritta. A Ravenna il poeta esule non trovò soltanto un rifugio tranquillo. Nelle basiliche del V e VI secolo, che si elevavano ancora nobili e preziose, splendevano mosaici dal forte contenuto simbolico. Erano immagini concise e luminose, smaterializzate e prive di tutti quegli elementi sensuali che potevano in qualche maniera ostacolare l’espressione della trascendenza e della spiritualità.
Questa mostra aiuta a comprendere come quell’universo di simboli e trionfi, occultato dall’umile mattone dei monumenti di Ravenna, occupi un ruolo non episodico ma sostanziale nella Commedia come fonte ispiratrice di immagini sublimi dal Paradiso terrestre sino all’Empireo.
Antica capitale dell’Impero romano, Ravenna, sulla costa adriatica, possiede un’incomparabile ricchezza di mosaici del V e VI secolo. Unico nella sua grandezza, questo primo capolavoro della fede dell’era cristiana scintilla sotto la sua scorza di mattoni – tre chiese, un mausoleo, due battisteri – come una gemma imperitura fra il crepuscolo dell’impero romano e la notte dei tempi barbarici. Esso ci propone una originale visione del Vangelo (e dell’Antico Testamento), dai colori vividi, d’una freschezza repentina, che riconcilia il cielo e la terra, li fa coesistere in una serena, gioiosa e dolce armonia.
Più che una guida, più che un libro di storia, Il Vangelo secondo Ravenna è una passeggiata contemplativa attraverso le più belle illustrazioni che il Vangelo abbia mai ispirato ad artisti perfettamente padroni della propria tecnica e candidamente docili alla luce della propria fede. «Se il vostro destino eterno vi interessa, andate a Ravenna: esso sta scritto sui suoi muri» scrive André Frossard.
Ed è anche stupendamente scolpito nelle pagine del suo Vangelo secondo Ravenna.
«Un uomo che si visse fino in fondo»: in questa epigrafe, da lui stesso dettata, Andrea Chaves sentiva descritta la sua vita di giovane che in tutto era teso ad andare oltre. Molte le sue passioni: la corsa, il karate, il volo, lo studio, ma due furono i suoi grandi amori: Dante e la montagna. «Montagna e poesia sono in me inscindibili».
Imparò a memoria tutta la Divina Commedia, facendo proprio il senso di una missione per il bene degli uomini e del mondo che costituiva il motivo profondo delle sue scalate in solitaria: «La mia ricerca più grande è comprendere la ragione – l’amore – per cui scalo le montagne e farne un dono per gli altri. Condividere la vera felicità, donarla per farla più grande, vera, inalienabile: questa sarà la mia scalata più bella e grande».
Oltre ai contributi di chi lo ha conosciuto e amato, in questo libro è Andrea stesso a raccontarsi. Diari, lettere, poesie, trascrizioni dei suoi video-documentari durante le scalate, svelano una sensibilità umana e letteraria affascinante, lo sguardo limpido e poetico di un ragazzo che era già un uomo.
Il 21 settembre 2018 il Comune di Ravenna ha assegnato ad Andrea Chaves il prestigioso “Lauro Dantesco” alla memoria.
I genitori destineranno i proventi derivanti dalla vendita del libro alla creazione di borse di studio.
Due milioni di anni fa è incominciata l’avventura dell’uomo sulla terra.
La conoscenza della realtà della natura, dei suoi cambiamenti nel tempo, delle origini dell’uomo, dei suoi sviluppi mediante il pensiero e la cultura pone domande riguardanti la vita e la morte, il piacere e il dolore, il presente e il futuro da costruire.
Le conquiste della scienza e della tecnologia, specialmente nel campo della biomedicina, della cibernetica e della robotica, aprono prospettive nuove, anche imprevedibili per l’impatto che possono avere sull’uomo e sull’ambiente. L’umanità corre il rischio di affidarsi a ideologie che allontanano dal mondo reale per realizzarne uno a proprio piacimento, basato su costruzioni artificiali della mente.
Da dove ripartire? Da come siamo fatti, dalla realtà della natura, rispettando le sue leggi, i suoi ritmi, l’ambiente, nella collaborazione fra i popoli.
Il volume contiene saggi antropologici in una prospettiva evolutiva aperta agli orizzonti della fede.
Il problema del male e della sofferenza innocente ha sempre interrogato l'essere umano. Ma negli ultimi tre secoli questo problema è diventato domanda sulla bontà e sull'esistenza stessa di Dio: come può un Dio buono permettere questo? Il libro biblico di Giobbe ripropone il grido di Giobbe che chiede a Dio conto delle sue azioni. Quando, verso la fine del libro, compare Dio, non fornisce nessuna risposta alle domande di Giobbe. Lo mette davanti allo spettacolo della creazione che rimanda a una presenza creatrice. Con Gesù, volto concreto della misericordia del Padre, è entrata nella storia una Presenza buona che ci permette di guardare in faccia le nostre sofferenze nell'orizzonte delle sofferenze assunte dal Figlio di Dio. Anche oggi possiamo imbatterci in persone che vivono la loro malattia con una serenità che ci interroga. «Come fanno a vivere così?».
Questo romanzo inusuale e accattivante è l’invito a un cammino del cuore, il luogo in cui cielo e terra, infinito e finito, si incontrano. Protagonista è Myriam, che compie il proprio viaggio in compagnia della sua stella e dei poeti.
«Il credente e l’artista sono fratelli. Sono entrambi in bilico tra finito e infinito, tra temporale ed eterno, tra limitato e assoluto. Si affacciano sugli abissi della vita per carpirne i segreti, per esprimere l’ineffabile. Sono divorati entrambi dalla fame di assoluto e arsi dalla sete della distanza. L’arte, come la fede, si nutre di stupore, di gratuità, di contemplazione».
Sede della più grande domus di tutta l’Etruria, la città etrusca di Gonfienti, alla periferia di Prato, nasconde sorprendenti ricchezze sotto una millenaria coltre di fango.
Il ritrovamento di un cippo con quattro parole incise sopra le teste di altrettanti leoni ruggenti convince un gruppo di archeologi angloamericani a chiedere aiuto alla ricercatrice italiana Aura Seianti.
La chiave delle misteriose incisioni orientate verso i punti cardinali sembra essere l’antica leggenda del principe Vhel e dei quattro leoni.
In un intrigante intreccio tra passato e presente, il lettore rivive così le avventure di potenti lucumoni, i viaggi sul Mediterraneo, le alleanze fra etnie diverse, gli scontri fra Etruschi e Romani, le storie di giovani intraprendenti baciati dalla sorte. Per poi tornare al presente, con le indagini dell’ispettore di polizia Sebastiano Larani sulle tracce di un ex tombarolo scomparso e di una tomba leggendaria che nasconde un favoloso tesoro.
Con uno stile a metà fra lo storico e il poliziesco già sperimentato nel romanzo I segreti della via etrusca, di cui ritroviamo qui alcuni dei protagonisti, Gianfranco Bracci e Marco Parlanti riescono a tenere il lettore con il fiato sospeso fino al colpo di scena finale che regala la soluzione degli enigmi.
Sono trascorsi ormai trent’anni dalla morte di Andrea Mandelli, eppure la memoria della sua breve esistenza è ancora viva.
Quarto di sette fratelli, cresce in un ambiente familiare e comunitario molto vivo, che desta in lui molteplici interessi e una inesauribile passione di vita. Tutto lo interessa, tranne lo studio. Per questo i genitori lo iscrivono all’Istituto Sacro Cuore di Milano. Di lì a poco emergono i sintomi di una malattia che diventa la circostanza attraverso la quale realizzare il suo più profondo desiderio: diventare santo.
Sorprendentemente la malattia lo rende ancora più intenso, teso a vivere pienamente ogni incontro e ogni istante: «Io da questa malattia ho imparato l’obbedienza a Gesù, perché non posso decidere quello che faccio nel giro di un’ora. Perché se mi viene la febbre non posso fare quello che avevo deciso. E così ho imparato ad obbedire a Gesù in ogni momento».
Fino a una totale consegna di sé, come scrive agli amici pochi giorni prima di morire: «Carissimi, a cosa serve la vita se non per essere data? Io adesso sono a completa disposizione. Non devo più decidere. Ma a questo punto è tutto nelle Sue mani. Voglio concludere ogni cosa per poter non far altro che aspettare».
Dopo settant’anni il nome di Aldo Gastaldi (Genova 17 settembre 1921 – Desenzano del Garda 21 maggio 1945) continua a risuonare nella memoria di chi ha preso parte alla lotta di liberazione.
Sottotenente del 15° Reggimento Genio, a pochi giorni dall’armistizio sale in montagna e nel giro di pochi mesi, con il nome di “Bisagno”, diventa il comandante più amato della Resistenza in Liguria.
Gastaldi interpreta il ruolo non come potere, ma come servizio: è il primo a esporsi ai pericoli e l’ultimo a mangiare, riserva a se stesso i turni di guardia più pesanti. Si conquista così l’amore e la stima degli uomini e delle popolazioni contadine, senza il cui sostegno la lotta partigiana sarebbe stata impossibile.
Cattolico, apartitico, con un carisma straordinario, si oppone con decisione a ogni tentativo di politicizzazione della Resistenza. È ricordato come “primo partigiano d’Italia”. La sua statura umana e cristiana ha segnato la vita di molti compagni.