
"Rafanelli qui manifesta la metamorfosi di una poesia che pur conservando il suo inestinguibile cuore lirico, diremmo il suo combustibile, assume contemporaneamente, in modo non vistoso ma profondo, la forma cangiante, fluente del poema, recupera insomma il racconto. Intendo non il poema in senso stretto, ma un mutamento di passo rispetto alla lirica pura, la subliminale congregazione delle parti in un lucido e visionario racconto, in un dettato drammatico e anche sottilmente drammaturgico." (Roberto Mussapi)
Il volto pittorico della Roma tardo antica e medievale, raramente è giunto a noi intatto; più spesso si mostra frammentato o nascosto o perduto. E tuttavia di questo patrimonio, moltissime sono ancora le tracce visibili sulle pareti di chiese e monumenti della città o i brani di dipinti e mosaici staccati che si conservano nei musei e nei loro depositi. Nel caso di contesti pittorici perduti talora ne sopravvive la memoria visiva, grazie a copie antiche (acquarelli, disegni, incisioni) e fotografie storiche. L'Atlante, di cui si presenta qui il I volume, ricrea i nessi, anche se perduti, fra le pitture murali e il loro originario assetto all'interno degli edifici, presentando una serie di percorsi visivi sulla base di planimetrie e modelli digitali 3D. Si tratta di ricostruzioni grafiche studiate per far emergere mosaici e pitture in contesti architettonici compromessi o meno, ricollocare virtualmente i dipinti staccati, raccontare i palinsesti pittorici "sfogliandoli", visualizzare le decorazioni ormai perdute, ma documentate.
Questo libro è dedicato alla pittura a Roma nel IV e V secolo, in un periodo che prende avvio alla fine del mondo antico e si sviluppa con il progressivo affermarsi del Cristianesimo. Nel volume la pittura è analizzata da tre punti di osservazione diversi: la pittura monumentale, che vede l'avvento dei grandi programmi figurativi all'interno delle nuove basiliche cristiane; la pittura profana, che contempla le ultime testimonianze prodotte dal contesto pagano e la pittura funeraria, straordinario serbatoio di immagini nascosto nelle viscere della città. L'opera, volume I del Corpus della "Pittura medievale a Roma", vuole scrivere una storia della pittura romana tardo antica e paleocristiana, studiando e organizzando tutte le opere, quelle esistenti e quelle testimoniate, della città di Roma, in un ordine cronologico plausibile. Nel volume sono schedate le pitture murali, i mosaici, ancora esistenti in gran numero e spesso ancora visibili sui muri degli edifici sacri della città. Ma sono anche recuperate tutte le tracce che questo stesso patrimonio pittorico ha lasciato nella memoria storica, nel corso dei secoli: acquerelli, disegni, copie, antiche fotografie, descnzioni, che contribuiscono in maniera sorprendente a integrare la nostra conoscenza della pittura di questi secoli.
Il volume è dedicato alla cultura figurativa che si manifesta a Roma, a partire dalla metà dell'XI secolo (quando ancora permangono tracce del recente passato ottoniano) fino alla chiusura del XII secolo, arco cronologico segnato dalla Riforma Gregoriana. Alla profonda riorganizzazione della Chiesa di questi decenni si accompagna un'intensa produzione di immagini e programmi figurativi che rispecchiano tale "renovatio", intesa come recupero e rilettura del proprio passato paleocristiano; il periodo si chiude, alla fine del XII secolo, con una nuova penetrazione bizantina. L'opera, volume I del Corpus della "Pittura medievale a Roma", vuole scrivere una storia della pittura romana medievale, studiando e organizzando tutte le opere, quelle esistenti e quelle testimoniate, della città di Roma, in un ordine cronologico plausibile. Nel volume sono schedate le pitture murali, i mosaici, le icone, ancora esistenti in gran numero e spesso ancora visibili sul muri degli edifici sacri della città. Ma sono anche recuperate tutte le tracce che questo stesso patrimonio pittorico ha lasciato nella memoria storica, nel corso dei secoli: acquerelli, disegni, copie, antiche fotografie, descrizioni, che contribuiscono in maniera sorprendente a integrare la nostra conoscenza della pittura di questi secoli.
Con questo volume si conclude l'Esegesi medievale di de Lubac e si giunge ad Erasmo, aprendosi così a quell'Umanesimo già insito nel Medioevo, che però l'Europa interpretò successivamente in forme riduttive. Nella "Memoria intorno alle mie opere" l'autore ricordò le circostanze in cui nacquero i quattro volumi che compongono "Esegesi medievale". A metà degli anni Cinquanta, esonerato dall'insegnamento, ebbe l'occasione per un lungo confronto con la tradizione cristiana nella gioia dell'incontro con la tradizione viva che, sgorgata dal Vangelo, prosegue senza interruzione nella vita della Chiesa. Interpretando e spiegando con rigore scientifico e entusiasmo, de Lubac ha compiuto un itinerario che i più recenti progressi filologici e storici non hanno annullato. Il testo presentato è il quarto volume della sezione quinta "Scrittura ed Eucarestia", ovvero il 20° volume dell'Opera Omnia.
L'"Autobiografia spirituale" di Nikolaj Berdjaev non è l'ultimo libro scritto dal grande filosofo russo; cacciato dalla propria patria per decisione diretta di Lenin e stabilitosi a Parigi dal 1924, Berdjaev ne terminò infatti la versione iniziale già nel 1940 e prima della morte vi portò alcuni ritocchi, ma quest'opera resta comunque il suo testamento spirituale per la chiarezza con la quale, ripercorrendo la propria storia personale e quella di un mondo devastato da guerre e rivoluzioni, riscopre la centralità della persona creata da Dio e definita dal rapporto con un Dio che vuole la sua creatura come essere libero e creatore. La libertà e l'infinita creatività umana, continuamente riaffermate da Berdjaev, non sono quindi un gesto di autoaffermazione nichilista, in cui l'uomo nega tutto quanto si trova al di fuori del proprio arbitrio e della propria fantasia, ma sono piuttosto la continua tensione della persona per aderire al mistero dell'esistenza, al mistero degli esseri e delle cose e alla loro infinita e sorprendente bellezza. Riflessione critica generata da questo rapporto creatore e dall'esistenza che esso genera, la filosofia è sempre religiosa, crede in Dio o lo nega, ma non può essergli indifferente: essendo amore della sapienza, essa è continuamente alla ricerca del vero e del significato della vita che il filosofo sperimenta quotidianamente.
Il volume presenta il buddismo nella sua genesi e nel suo sviluppo storico. Una serie di voci, ampie e articolate, mette in rilievo i principali aspetti della tradizione letteraria, rituale, cultuale, mitologica, giuridica e della riflessione teorica del buddismo.
Dom HÈlder C‚mara, vescovo brasiliano, Ë certamente un attore della storia e della storia della Chiesa della seconda parte del xx secolo da cui non si potr‡ prescindere. La sua presenza al Concilio Vaticano ii fu da un lato silenziosa - non volle tenere polemiche che non avrebbero portato risultati positivi -, ma lavorÚ attivissimamente per una visione della Chiesa che partecipasse a dare pienezza alla realt‡ umana anche e in specie nelle parti pi˘ povere del mondo.
Non di solo pane vive líuomo, ma la costante preoccupazione di Cristo espressa nei Vangeli per i pi˘ poveri e per le loro materiali e globali condizioni di vita Ë parte integrante e incensurabile del messaggio cristiano.
Questo libro, di lettura facile e appassionante per laici e sacerdoti, per cristiani e non, riporta le narrazioni scritte, le lettere, cioË, che ogni notte il vescovo brasiliano inviava alla sua comunit‡. In esse descriveva non solo il Concilio, ma anche la situazione e i bisogni della Chiesa e dellíuomo alla luce dello sguardo di Cristo.
Il profeta non Ë chi prevede il futuro, ma chi riafferma nel popolo la giustizia di Dio, che Ë misericordia, e la misericordia Ë giudizio in favore di chi ha sete di giustizia. C‚mara comprese da subito che il Concilio nasceva con opposizioni cosÏ forti da renderlo in seguito evacuato, dissolto. Ma non dissolto per una pura scelta conservatrice della Chiesa, troppo legata ai poteri civili internazionali e nazionali, dissolto nella sua ricerca di riproporre il proprium del messaggio cristiano di speranza per líuomo.
Líintroduzione di Laboa, storico della Chiesa spagnolo, ci restituisce tutto lo spessore di questo documento storico, che diverr‡ indispensabile nel fare storia della Chiesa e storia tout court. Nel grande monito che questíopera pone emerge, parimenti, un messaggio di fede e speranza indispensabile ad ogni agire.
Il libro è articolato in tre parti distinte ma strutturalmente collegate: il genocidio, la paura e la speranza. La prima parte tratta dei due grandi genocidi che hanno segnato il primo cinquantennio di questo secolo cosiddetto "breve", ma in realtà lunghissimo nella memoria storica. Anzitutto, quello dimenticato e disconosciuto del popolo armeno, la cui sopravvivenza in terra islamica i sultani selgiuchidi avevano per secoli assicurato e protetto. Subito dopo si tratta della Shoah degli ebrei d'Europa. Questa parte è introdotta dalla controversa questione sulla natura dell'antisemitismo e sulle ragioni storiche dell'antigiudaismo cristiano, anzi cattolico, di cui in questi decenni, e spesso in modo strumentale, si è molto discusso tra gli storici del Novecento. La seconda parte tratta della rovinosa realtà della guerra, in particolare della guerra aerea praticata durante la seconda guerra mondiale sia dai tedeschi sia dagli alleati. L'elemento che accomuna i temi trattati è la paura: paura come forma di difesa e di autoconservazione; in alcuni casi, forse, paura di sopravvivere all'orrore di una devastazione così grande, così universale. La terza parte tratta della speranza; cioè di un progetto positivo di vita per gli uomini, ormai esausti dopo cinque anni di guerra totale, e per le comunità. Il tema è quello della ricostruzione materiale e morale degli Stati, rifondazione degli ordinamenti istituzionali sia nazionali sia internazionali, del rinnovamento delle coscienze.