
La centralità di Roma, il suo ruolo fondamentale per gli svolgimenti della cultura di età gotica in Italia, la sua funzione di melting pot tra il nord Europa e il Mediterraneo, e infine il suo peso per la "rivoluzione del 1300" e per la formazione di Giotto: sono i temi che motivano la discussione sul Duecento romano, il secolo che ha visto più novità e scoperte durante il Novecento, e che continua in questi anni ad apparire come una sorta di inesauribile vaso di Pandora, la cui abbondanza speriamo di mostrare in questo volume.
L'attenzione portata alla circolazione europea delle grandi correnti artistiche e quella dedicata alle varie espressioni delle "arti minori" costituiscono la struttura di questa sintesi dell'arte medioevale, che copre un arco temporale che va dal IV secolo alla prima metà del XV.
"La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l'ultima parola che l'intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione, ma che, come maschera strappata al suo volto, mette allo scoperto dei tratti che minacciano di riuscire incomprensibili agli uomini. Essa è la bellezza alla quale non osiamo più credere e di cui abbiamo fatto un'apparenza per potercene liberare a cuor leggero. Essa è la bellezza infine che esige (come è oggi dimostrato) per lo meno altrettanto coraggio e forza di decisione della verità e della bontà, e la quale non si lascia ostracizzare e separare da queste sue due sorelle senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa. [... ] Cos'è un uomo senza la forma che lo segna, che lo circonda come corazza inesorabile e che tuttavia lo rende malleabile, libero da qualsiasi insicurezza e dallo sgomento che inceppa, libero per se stesso e per le sue possibilità più alte: cos'è l'uomo senza tutto ciò? Cos'è l'uomo senza forma vitale, cioè senza forma che egli abbia scelto per la sua vita?..." (dall'introduzione)
Il tratto comune che innegabilmente emerge da questi scritti è quello di formare un'unica riflessione attorno alla questione della fede nei tempi moderni. Pierre Teilhard de Chardin scavalca i dibattiti tra spirito laico e spirito religioso. Il mistero dell'Incarnazione, mistero dell'amore di Dio, dà luce alla stessa evoluzione del cosmo e ogni uomo partecipa alla sua realizzazione. Il discorso paolino dell'Areopago trova in Teilhard un nuovo abbrivio dopo duemila anni di cristianesimo e di evoluzione del pensiero umano. I cinque testi qui riuniti fanno parte di un'ampia raccolta, "Ecrits du temps de la guerre", nella cui prima traduzione italiana (intitolata La Vita cosmica, Il Saggiatore, Milano 1971), era stato escluso il penultimo di essi, "Per una nuova evangelizzazione del nostro tempo". Questi Scritti presentano caratteristiche sorprendenti, data l'età relativamente ancora giovane di Teilhard e la già chiara impronta del suo pensiero: "La sostanza fondamentale in seno alla quale si modellano le anime, l'ambiente superiore in cui evolvono, il loro speciale Etere (se così si può dire), è la trascendente e tuttavia immanente Divinità nella quale viviamo, ci muoviamo e siamo. Dio è alla nascita, nella crescita e al termine di tutte le cose, senza peraltro mescolarsi né confondersi per nulla con l'essere partecipato che regge, anima, tiene insieme. Di conseguenza tutto vive e si eleva, tutto è uno in Lui e per mezzo di Lui...". Prefazione di Luciano Mazzoni Benoni.
"Non si riesce a comprendere nulla della natura del denaro e delle mirabolanti capovolte che l'uomo compie attorno ad esso se non si passa dal modo d'essere di un soggetto che desidera ciò di cui non ha bisogno e che manca di ciò rispetto a cui non ha mai un sapere chiaro e distinto". Attraverso la lettura di Kafka, Kojève, Simmel, Heidegger, Lacan, Lévinas, una folgorante analisi delle ragioni che portano il soggetto a trasformare un mero strumento in quel fantasma vorace di fronte al quale ogni identità evapora e ogni volto si sfigura. Uno strumento utile per comprendere e smascherare l'inganno per eccellenza del nostro tempo.
Due narrazioni si intrecciano in questo libro, separate dai secoli ma unite da un luogo, i Balcani, e da un tema, l'identità. La prima e più importante dispiega la grandiosa vicenda storica del pascià Mehmet Sokollu, alias Bajica Sokolovic, giovane serbo strappato alla sua terra per essere formato nelle file dell'alta burocrazia dell'Impero ottomano, fino a diventarne gran visir al servizio di Solimano il Magnifico. La seconda narrazione ha inizio in una località termale in Bosnia verso la fine degli anni Settanta del XX secolo e mette in scena lo scrittore stesso, spesso accompagnato dall'amico Orhan Pamuk, e le sue riflessioni intorno ai concetti di nazione, di confine, di fede e, soprattutto, di identità, stimolate e quasi evocate dai vapori di un bagno turco proprio al gran visir intitolato. Serbo e turco insieme quest'ultimo, cristiano ortodosso e infedele suo malgrado, protagonista di una straordinaria ascesa ai vertici dell'Impero ottomano di cui avrebbe retto le sorti per lunghi anni, e intimo amico di un altro grande straniero cristiano al servizio del sultano (questa volta greco), Sinan, il più grande architetto islamico di tutti i tempi. Così la vicenda storica rivela allo scrittore il debito iniziale di ogni identità, storica, culturale ma anche personale, la permeabilità di ogni confine - quale terra più dei Balcani può esserne testimone?
"Guardate come si amano", è stato detto dei cristiani nel corso dei secoli, malgrado il peccato e le infedeltà sempre presenti. Probabilmente l'unica identità costitutiva dei cristiani è quella incentrata sulla carità, intesa come atto indiviso di amore per Dio e per i propri fratelli. In che cosa consiste questo amore, come lo abbiamo manifestato, in che modo sono esistiti questo sentimento e questo comportamento nel corso del nostro lungo cammino? In che maniera possiamo esaminare e spiegare la vita della Chiesa con l'occhio e attraverso il prisma dell'amore, questo nuovo modo di accostarci alla sua storia? In questo volume si ripercorre la storia della carità lungo duemila anni di vita cristiana, a partire dalle prime comunità, passando per i grandi fondatori delle istituzioni ecclesiastiche e i martiri della carità e della giustizia, soffermandosi soprattutto sugli innumerevoli cristiani anonimi che, grazie al loro amore e alla loro generosità, hanno fatto sì che la Chiesa divenisse una comunità solidale, compassionevole, fraterna, che vive nella speranza. Sono essi, più di tutti, ad aver realizzato l'annuncio di Gesù ai discepoli: "Dai loro frutti li riconoscerete".
Nella costruzione dell'Antropologia religiosa da parte di Julien Ries, studioso delle religioni mediterranee e mediorientali, l'incontro con la preistoria è stato particolarmente proficuo. Sia con quella che oggi chiamiamo paleoantropologia, e cioè lo studio delle origini dell'uomo, riconosciute dalla metà del secolo scorso a oltre 2 milioni di anni fa, sia con l'esplosione degli studi sull'arte rupestre dell'ultimo Paleolitico e del Neolitico a partire da 40.000 anni prima di Cristo. Questo volumetto concerne anzitutto le culture e le civiltà prima della nascita delle cosiddette "grandi religioni", ma i segni dell'homo religiosus, e cioè le costanti del sacro simbolo, mito e rito -, sono già evidenti. Si tratta di una straordinaria evidenza a livello simbolico e rituale, anche se non abbiamo il racconto mitico trasmesso per iscritto. Il tema della vita dopo la morte appare da plurime tracce. L'uomo religioso di centinaia di migliaia di anni fa cura le sepolture dei suoi defunti con fiori, oggetti e segni che devono accompagnarli nella vita in un altro mondo.
L'esperienza mistica, nel suo tentativo di penetrare il mistero divino e di conformarsi ad esso, attraversa la storia del mondo ebraico e lo caratterizza profondamente. Nella prospettiva del mistico, la vita è quasi sempre allusiva. E la constatazione che la realtà fisica e, in particolare, quella metafisica non sono come appaiono implica la necessità di un codice interpretativo di accesso, che schiuda il simbolo e ne riveli il significato più intimo. È un mondo ricco e complesso quello che contraddistingue il misticismo ebraico, e non si esaurisce né è esauribile nel solo momento della Qabbalah: più propriamente, esso nasce infatti con i primi maestri della Mishnah, nel secolo precedente l'inizio dell'era volgare, e si prolunga sino ai nostri giorni. Il presente saggio tratta proprio della mistica ebraica nella sua interezza, pur ponendo un limite alla sua analisi con il movimento di Safed (XVI secolo).
Nella fitta trama di genealogie stilistiche, di analisi iconografiche e iconologiche, di rinvii alla ricezione del pubblico e alle esigenze della committenza che danno corpo allo studio della produzione artistica, la dimensione territoriale risulta spesso decisiva: viaggi di artisti e di opere, mutuazioni di modelli, scambi culturali e materiali agevolati dalle grandi vie di pellegrinaggio o dalle rotte marittime, frontiere permeabili che, al di là della percezione corrente, agevolano le reciproche relazioni. E questo lo scenario, suggestivo e in gran parte inatteso, che prospettano i saggi qui riuniti di Liana Castelfranchi - tra i maggiori studiosi di arte medievale in Italia. Facendo perno sul concetto di "gotico internazionale" e sulla de-gerarchizzazione tra arti "maggiori" e cosiddette "minori", Liana Castelfranchi propone una rivisitazione dei nodi fondamentali della cultura figurativa tra Medioevo e Rinascimento nella quale l'Italia dialoga proficuamente con l'Europa e in particolare le Fiandre nel delicato momento di passaggio fra Tre e Quattrocento. A testi che hanno segnato in profondità gli studi recenti di storia dell'arte ne sono stati affiancati di inediti e poco noti che delineano figure fondamentali come Giovannino de' Grassi, Masaccio, Beato Angelico, Jan van Eyck, Hans Memling e Antonello da Messina, con importanti puntualizzazioni filologiche e critiche.