Negli anni compresi fra la fine dell'Ottocento e la prima guerra mondiale, dominati dalla personalità politica di Giovanni Giolitti, l'Italia acquistò i caratteri essenziali di una nazione moderna. Un progresso accompagnato da ostacoli, carenze e insidie, che esplosero dopo la prima guerra mondiale e prepararono le condizioni per la nascita e il successo del fascismo. Il giolittismo favorì la modernizzazione e la democratizzazione del paese ma lasciò anche molti problemi irrisolti e si esaurì alla vigilia della Grande Guerra senza aver conseguito il suo scopo più ambizioso: conciliare le masse con lo Stato liberale.
Emilio Gentile delinea in questo volume, divenuto un classico e aggiornato con nuovi riferimenti bibliografici, un quadro sintetico di quel complesso e ambivalente periodo storico e, con un'interpretazione originale, fornisce al lettore una guida chiara ed equilibrata alla comprensione delle origini dell'Italia contemporanea.
L'età dell'oblio è un affresco in cui le varie parti si integrano coerentemente alla luce di un obiettivo unitario: denunciare la frettolosa rimozione dell'eredità intellettuale, economica e istituzionale del Novecento.
Alberto Martinelli, "Corriere della Sera"
Un libro che indica l'incapacità di fare i conti con la storia come uno dei mali peggiori della coscienza pubblica dei nostri anni. La profondità analitica e la stessa qualità della scrittura di Tony Judt hanno fatto di lui una figura di primissimo piano negli studi sul mondo contemporaneo.
Giuseppe Berta, "Il Sole 24 Ore"
Il richiamo alla responsabilità degli intellettuali verso la società, al loro dovere di tenere vivo il ricordo del passato anche nei suoi aspetti più sgradevoli, è un filo conduttore dell'opera di Judt. A questa difficile consegna lo storico inglese è rimasto fedele con grande coerenza.
Antonio Carioti, "Corriere della Sera"
L'autore della più rivoluzionaria storia d'Europa dell'ultimo secolo, ha raccontato in questo libro le rimozioni del '900: lui, ex fervente marxista che si definiva un socialdemocratico universalista.
Angelo Aquaro, "la Repubblica"
Fino a oggi nessuno storico aveva provato mai a seguire i garibaldini, ad uno ad uno, oltre la soglia dei loro vent'anni: ritrovandone le tracce disperse, quasi pedinandoli nella vita spesso lunga e spesso travagliata che succedette alla loro formidabile giovinezza. È quanto ha voluto e saputo fare Eva Cecchinato.
Sergio Luzzatto, "Corriere della Sera"
La storia di Garibaldi, dei garibaldini trasformisti o sconfitti copre decenni della storia d'Italia, riguarda anche la 'zona grigia' del popolo e il ruolo della chiesa e, tra fascismo e antifascismo, arriva fino a noi, figli ignoranti.
Goffredo Fofi, "Internazionale"
Eva Cecchinato riesce in un'impresa che ha del miracoloso. La scommessa è quella di far convivere monarchici e repubblicani, moderati ed estremisti, conservatori e rivoluzionari: tutti l'un contro l'altro impegnati nell'improbabile assemblarsi di un'Italia unita che cambia volto e connotazione a seconda delle parti che la evocano.
Giorgio Boatti, "Tuttolibri"
«La crisi del sistema democratico è oggi il terreno della battaglia politica. La nostra buona ragione risiede in una visione umanistica, capace di tenere insieme il concetto di democrazia con quello di uguaglianza». Pier Luigi Bersani parla per la prima volta in un libro dell'Italia e del Partito Democratico nel tempo della crisi economica e dei grandi mutamenti indotti dal mercato globale. Affronta gli errori del centrosinistra, l'involuzione plebiscitaria della Seconda Repubblica e gli squilibri sociali del Paese. Per promuovere una nuova crescita e un impegno costituente propone l'«unità delle forze della ricostruzione». È il manifesto politico, culturale e civile del leader del Pd.
L'Italia è un fatto, a prescindere dalle retoriche di oggi che la vorrebbero divisa o da dividere. A partire da questo dato ineludibile, Mario Isnenghi propone una storia dell'unità d'Italia attraverso la ricostruzione storica degli avvenimenti e il confronto con testi letterari e testimonianze di intellettuali, patrioti e politici che hanno partecipato alla costituzione della nazione e dibattuto sulle sue molteplici identità. Da Alessandro Manzoni a Berlusconi, dal mangiare italiano di Artusi alle inchieste di Mani Pulite, il volume unisce il rigore storico a una struttura espositiva basata sugli sguardi e le idee di chi ha vissuto i diversi momenti. Secondo Isnenghi «c'è una parola che sembra la più conveniente a definire la fase in cui viviamo e che intendo far mia per orientare alla scrittura e alla lettura. È la parola percezione. Questa parola difficile è diventata ultimamente una pacifica protagonista del lessico giornalistico e della cronaca d'ogni giorno. Nella realtà “virtuale” che ci penetra e ci avvolge, conta quello che uno “percepisce” non il fatto in se stesso, e sembra anzi grazioso far spallucce al “fatto in sé”. I fatti con cui a che fare sono - sarebbero - nostre percezioni. Viviamo come se veri fossero, quindi sono veri per noi, Se è così, allora è andata proprio in questo modo. Per “loro” - un buon numero di uomini e di donne, per diverse generazioni, fino a noi - l'Italia c'era, era vera, come spazio pubblico del loro anche individuale esserci e vivere. Racconterò questo, una storia dell'Italia via via percepita e raccontata nell'Otto e nel Novecento».
Ci sono molti libri che parlano di filosofia, questo si differenzia da parecchi di loro perché, fra l’altro, ci dice che la filosofia è un’arte che permette di negoziare con i concetti, e mostra come la nostra vita ne sia intessuta. Quest’arte si può imparare, e anzi si deve imparare, perché mille circostanze del quotidiano ci impongono di ripensare a quello che stiamo facendo per capire se farlo e come farlo meglio. Per esempio, eravamo sudditi, siamo diventati cittadini: come sono cambiati i nostri diritti e doveri? Oppure: la Terra non è più al centro dell’universo, quale posto per un’umanità periferica nel cosmo? Oppure ancora: come definiamo l’inizio e la fine della vita? Il lettore incontra dapprima alcuni esempi sorprendenti di filosofia annidata nella vita quotidiana: il processo dello scultore Brancusi contro il governo degli Stati Uniti che aiuta a definire l’arte contemporanea; le discussioni appassionate sulla famiglia all’Assemblea Costituente che lasciano ancora oggi una eco nel modo in cui si può, o non si può, metter su famiglia in Italia; l’immaginifico sogno di Keplero che aiuta a ripensare la Terra non più al centro dell’universo. Da questi esempi Roberto Casati passa a esaminare alcune grandi questioni filosofiche tradizionali, per capire come lavorano i filosofi che se ne occupano, ma soprattutto per mostrare quanto sia diffusa la filosofia e quanto sia importante l’impegno intellettuale in un’epoca in cui si chiede insistentemente di non pensare.
Storie di vita, di esperienze fondate sui legami sociali, nelle quali gruppi di persone entrano in relazione e cercano soluzioni comunitarie a problemi economici, ispirate a principi di con reciprocità, solidarietà, socialità, valori ideali, etici o religiosi: fuori dalla logica esclusiva dell'homo economicus, ma dentro il mercato; fuori dalla scena politica istituzionale, ma spesso con l'ambizione di portare una propria visione politica nel fare quotidiano; fuori dal binomio Stato/mercato, dentro lo spazio dei beni comuni. Roberta Carlini raccoglie testimonianze e dati, indaga le motivazioni e tratta che portano migliaia di persone a mettere la collaborazione centro della propria attività nella sfera del lavoro, del consumo, del risparmio, della propria impresa, della vita quotidiana. Motivazioni che hanno radici antiche nella dei rapporti tra società ed economia e che trovano nuova forza oggi, per un concorso motivi: la crisi economica che ha rimesso in discussione il modello teorico totalmente concentrato sulla logica dell'interesse individuale ed egoistico; il nuovo contesto dell'economia della conoscenza, nel quale la logica della collaborazione prevale su quella della competizione; il crescente interesse alla tutela dei beni comuni e alle forme organizzative che maggiormente la garantiscano. Emerge un pezzo di società italiana che, essendo concentrata sul fare più che sull'apparire, ha di solito poca visibilità nella narrazione pubblica. Ma che incrocia molti dei temi cruciali della politica e dell'economia: la legalità e l'ambiente, la ricostruzione in Abruzzo e la lotta al racket in Sicilia, la crisi dell'agricoltura e quella delle abitazioni. Da Palermo a Milano, il racconto dell'economia del noi è anche il racconto di un'altra Italia, fatta di persone che cercano di fare qualcosa. Insieme.
Dedicato al senso che ci mette in contatto con gli alimenti facendocene conoscere il sapore, il volume mette in discussione uno dei più radicati luoghi comuni della riflessione filosofica che ha considerato il gusto (al pari dell’olfatto) un senso inferiore, il più carnale e il più viscerale, il più arbitrario e perciò il più distante dalla conoscenza. Rosalia Cavalieri elegge a oggetto d’interesse filosofico il gusto materiale, e tutte le attività che lo riguardano (mangiare, bere, degustare), avvalendosi del contributo di diversi saperi (biologia, psicologia, neuroscienze, antropologia, etologia, scienze gastronomiche e scienze sensoriali), con l’obiettivo di mostrare il valore intellettuale e culturale di un senso che solo nell’animale umano ha raggiunto la sua forma più raffinata. Siamo, infatti, i soli animali capaci di cucinare, di concepire un piatto, di apprezzarlo e di condividerne il consumo, e di descrivere un vino o una vivanda. Articolato in cinque capitoli il libro offre un’ampia e informata panoramica sul gusto come sapere, come intelligenza del corpo e, nel contempo, come fonte di piacere raffinata e propriamente umana, non mancando di sottolinearne l’intrinseca attitudine conviviale e linguistica, e rivela come approfondire la conoscenza e l’uso consapevole e avvertito di un senso sopraffatto da una mentalità prevalentemente visivo-acustica possa allargare la nostra maniera di stare al mondo.
Deumanizzare significa negare l’umanità dell’altro. È un fenomeno poliedrico, multiforme, flessibile. Si adatta ai luoghi, alle relazioni, alle persone singole come a intere popolazioni e assume di volta in volta i contenuti richiesti dal clima culturale del momento. Un primo gradino, ad esempio, di questo processo sono i pregiudizi, i luoghi comuni o le espressioni razziste con cui si pongono in contrapposizione dei gruppi di persone, creando un “noi” e un “loro”: “noi” che siamo i settentrionali, i bianchi, i cattolici, gli europei e “loro” che sono i meridionali, i negri, gli zingari. Già nel porre questa divisione si crea il germe di una presunta umanità un po’ diversa, che può essere stigmatizzata ed emarginata al di fuori di quella che viene ritenuta la reale dimensione umana. Andando indietro nella storia occidentale, lo sterminio delle popolazioni americane nel ’600 è sorretto da un’ideologia che appiattisce l’immagine dei nativi su quella delle bestie. Gli esempi di deumanizzazione dei nativi pervade le cronache della conquista e la saggistica successiva: i conquistatori li definiscono creature barbare, prive di intelligenza, cannibali e i filosofi spagnoli discussero a lungo se gli indiani fossero uomini o scimmie, semplici bruti o creature capaci di pensieri razionali e se Dio li avesse creati allo scopo di fornire schiavi agli europei. Chiara Volpato propone in questo volume una rassegna degli studi sui fenomeni di deumanizzazione con una prospettiva psicosociale. Analizza le diverse espressioni che può assumere questo processo – l’animalizzazione, la demonizzazione, la biologizzazione, l’oggettivazione, la meccanizzazione – attraverso una ricognizione delle loro manifestazioni storiche. Uno sguardo particolare è riservato al ruolo che hanno oggi i media nella diffusione e nel mantenimento di immagini e concetti deumanizzanti
Che cosa ci permette di riconoscere in un oggetto un’opera d’arte? L’arte si può definire? Che intendiamo dire quando diciamo che qualcosa è bello, grazioso, sublime, terrificante, patetico? I sentimenti che proviamo quando leggiamo un romanzo o guardiamo un film sono veri o finti? Ecco alcune delle domande alle quali questo libro cerca di dare una risposta. Lo fa tenendo assieme questioni classiche dell’estetica (è possibile una classificazione delle arti? L’arte è un’esperienza conoscitiva o emotiva?) e problemi vivi nel dibattito degli ultimi anni (Che rapporto c’è tra etica ed estetica? L’arte è un prodotto esclusivamente umano?), e facendo dialogare tra di loro la tradizione analitica angloamericana con l’estetica filosofica “continentale”. Una introduzione, dunque, che si rivolge a chiunque si interessi di arte, anche se privo di una preparazione filosofica. Ma anche un libro che non rinuncia ad andare contro molti luoghi comuni e a contestare posizioni oggi largamente accettate: contro la riduzione dell’estetica a una teoria della sensibilità, la proposta di un’estetica come filosofia dell’esperienza; l’attacco alla nozione di bellezza contro le sue celebrazioni ricorrenti; la critica alla neuroestetica e alla riduzione dell’opera d’arte a cosa, prevalente nell’ontologia contemporanea. Con una convinzione di fondo: che parlare di arte in modo puramente classificatorio e asettico non è possibile, se l’esperienza estetica è sempre esperienza di una scelta e implica comunque una valutazione che ci mette in gioco.