Poeta, filosofo e mistico del XV secolo, Kabir visse a stretto contatto prima dell'islam e poi dell'induismo, in un periodo di lotte sanguinose che li opponevano e li dilaniavano anche al loro interno. Scelse di imboccare un cammino radicalmente diverso: rigettando gli sterili formalismi, gli inutili riti e i digiuni mortificanti prescritti ai fedeli dei due credi, propose una nuova concezione unitaria e gioiosa di Dio e del mondo. È l'amore universale da cui tutto nasce quello celebrato nelle "Canzoni dell'amore infinito": in esso non c'è separazione tra vita e morte e ha finalmente termine ogni inquietudine umana, perché l'Amore non ha principio né fine, è il Senza Forma, e «per la sua misericordia» insegna a «camminare senza piedi, a vedere senza occhi, a udire senza orecchi, a bere senza labbra e a volare senza ali». Paradossalmente Kabir divenne un punto di riferimento tanto per i credenti dell'islam quanto per gli induisti e quando morì, pare alla veneranda età di 119 anni, gli uni e gli altri si disputarono il corpo del Maestro. La leggenda vuole che al suo posto sia stato trovato un enorme fascio di gladioli selvatici che i due schieramenti si divisero: così una parte di quei fiori fu bruciata e gettata nel Gange, mentre l'altra venne sepolta.
"Il club dei mestieri stravaganti" è la prima raccolta di racconti di Chesterton, scritta nel 1905, quando lo scrittore, allora trentaduenne, era ancora incerto sul suo futuro artistico, diviso tra la carriera di illustratore e quella di scrittore, e molto lontano dai travagli interiori che lo avrebbero portato, nel 1922, alla conversione al cattolicesimo. Nelle sei storie che lo compongono, Chesterton tentò per la prima volta la strada del «giallo filosofico», il genere letterario per cui ancora oggi è amato, come dimostra il successo senza tempo di Padre Brown. Qui il protagonista è Basil Grant, un detective improbabile, un ex giudice sornione e vagamente mistico, allontanato dalla carica per manifesta follia e segregatosi felicemente in una soffitta che non abbandona quasi mai. Insieme a lui opera il fratello Rupert, il suo contraltare, una sorta di parodia di Sherlock Holmes e del suo famigerato metodo deduttivo. Sullo sfondo di ogni vicenda c'è il club «fuori dagli schemi» in cui ciascun membro è tenuto, bizzarramente, a guadagnarsi da vivere attraverso attività inedite, mai praticate da nessuno in precedenza. E, più oltre, c'è Londra, descritta, a giudizio di molti critici, come poche altre volte nella storia della letteratura, un reticolo sordido di strette vie e angoli bui che lo scrittore amava profondamente. Chesterton costruisce in queste pagine alcune delle storie meglio congegnate della sua intera produzione, nelle quali la riflessione filosofica si intreccia alla trama senza appesantirla e la freschezza dell'immaginazione si combina a una scrittura come sempre densa e stimolante.
Tutto quello che la gente sa sul cosiddetto caso Moro, cioè sulla strage efferata della sua scorta in via Fani, la lunga prigionia dello statista democristiano e la sua sconvolgente morte, si basa in gran parte su una ricostruzione dei fatti frutto di un compromesso volto a formulare una «verità accettabile» sia per gli apparati dello Stato italiano, sia per gli stessi brigatisti. Tutto questo provocò un processo di rielaborazione, molto tortuoso ed ex post (durato oltre dieci anni, da quel tragico 1978 al 1990), su che cosa era veramente accaduto durante l'«Operazione Fritz», il nome in codice dell'«operazione Moro». E ancora oggi, a ben guardare, noi non sappiamo tutta la verità sulla morte di Aldo Moro. Le verità emerse dalla nuova Commissione d'inchiesta Moro 2 sono sconcertanti. Quattro anni di lavoro, migliaia di documenti desecretati degli archivi dei servizi segreti italiani, centinaia di nuove testimonianze, nuove prove della Polizia scientifica e dei RIS dei Carabinieri hanno rivelato molti nuovi, sorprendenti elementi. Qualche esempio. Moro guardò negli occhi chi gli sparava, non morì sul colpo, ma in modo atroce, dopo una lenta agonia. Il suo carceriere trovò rifugio da latitante in una palazzina dello IOR, la banca vaticana. L'omicidio ben difficilmente è potuto avvenire nel box di via Montalcini 8, così com'era nel 1978. Almeno 2 terroristi della Rote Armee Fraktion potevano essere in via Fani. Fu un imprenditore israeliano che fornì i 10 miliardi del riscatto consegnati a Paolo VI. Le fazioni palestinesi giocarono un pesante ruolo nella trattativa. Durante il sequestro passarono alle BR documenti top secret della NATO. Infine emerge uno scenario internazionale del delitto che i brigatisti hanno sempre negato. Purtroppo anche in molte rievocazioni in occasione dei quarant'anni del rapimento è stata riproposta la vecchia narrativa, messa a punto come un abito su misura. Allora, la sola «verità» dicibile, ma oggi del tutto insoddisfacente.
Che cosa rende ogni essere umano unico e irripetibile? Che cosa gli appartiene così intrinsecamente che niente e nessuno potrà mai strapparglielo? Che cos'è e come può essere definita la dignità di una persona? Esiste una morte "dignitosa"? Intorno a queste e ad altre domande sulla vita umana, la modernità appare lontana dalla religione, quando non in aperto dissidio con la sua morale. Eppure, scrive Spaemann, «la dignità non è una qualità biologica dell'uomo. La dignità è il fondamento dell'uomo, spiega l'esistenza di diritti e doveri, della libertà e della responsabilità. La dignità ha in sé qualcosa di trascendente, di sacro, di religioso, perché solo "rappresentando" l'Assoluto l'essere umano possiede ciò che chiamiamo "dignità"». Dal "diritto" di morire all'esistenza dell'anima, dal legame dell'amicizia alla dimensione della felicità, dall'amore alla sessualità, Spaemann sottopone la modernità a una critica paziente, stimolante, costruttiva, andando al fondo della ricerca di senso che tocca tutti noi, con un linguaggio di encomiabile limpidezza.
È un momento drammatico per il cattolicesimo e per tutto l'Occidente. Il pontificato di Francesco scuote la Chiesa dalle fondamenta, mentre la sua parola viene spesso utilizzata dai nemici storici del cristianesimo per cancellarne ogni traccia dalla vita sociale e politica del pianeta. A ciò si aggiunge la violenza con cui l'islam tenta di accreditarsi come l'unica religione organizzata. La risposta, per i cattolici, non può arrivare che dal riconoscersi come comunità viva attorno a Cristo. Luigi Negri, teologo e vescovo, ripercorre in questo dialogo il cammino della sua esperienza di fede raccontando gli ultimi sessant'anni della società italiana e della Chiesa: in particolare la sua amicizia con don Giussani, l'associazionismo cattolico, il profondo contrasto con i modernisti dell'Università Cattolica, i pontificati di Montini e di Wojtyla, il '68 e il terrorismo. Senza timori reverenziali, con un linguaggio franco e diretto, Negri affronta i grandi temi dell'umanità e dell'esperienza cristiana: la fede, la politica, il senso della presenza della Chiesa nella nostra epoca.
"Ci stiamo avviando alla fine dell'epoca storica iniziata nella seconda metà del 700 con la Rivoluzione Industriale. La crisi economica continua a far sentire i suoi effetti negativi da quasi un decennio. Nei Paesi industrializzati i livelli della disoccupazione aumentano soprattutto tra i giovani. La corruzione politica invade tutti i gangli del potere in forme sempre più spregiudicate e sempre più spesso impunite. Allo stesso tempo tutti i fattori della crisi ambientale continuano ad aggravarsi, anche perché i partiti non sono in grado di affrontarli. Non hanno un programma politico incardinato sui valori della sostenibilità ambientale, dell'equità estesa alle generazioni future e ai viventi non umani e della solidarietà. A loro interessa soltanto conquistare la maggioranza dei voti per governare nel modo che considerano più rispondente alle esigenze dei propri elettori, disinteressandosi della sostenibilità da cui dipende la continuità della vita sulla Terra. E del resto non si può pensare che un programma politico radicalmente nuovo possa essere gestito costituendo un partito con le stesse caratteristiche di quelli esistenti. Perché, come ricordava qualcuno, non si può mettere vino nuovo in otri vecchi. Il vino nuovo va messo in otri nuovi (Luca 5,37-38)." (Maurizio Pattante)
Flambeau è stato uno dei più famosi criminali di Francia, e uno dei più famosi investigatori privati d’Inghilterra. Grande amico di padre Brown, è proprio nel castello dove vive con la sua famiglia – dopo aver lasciato entrambe le professioni – che si svolge il primo racconto. Tutto ruota intorno a una domanda precisa: come fa padre Brown a risolvere casi impossibili? Il suo non sembra un metodo, ha modi opposti a quelli di Sherlock Holmes, eppure non sbaglia mai. Il motivo fa trasalire i suoi ospiti, insieme al lettore: sa come si svolgono i delitti perché è lui stesso a compierli, uno dopo l’altro. Non credendo al metodo scientifico e non fidandosi di chi analizza l’uomo «come un insetto», il prete procede nell’unica via che conosce. Si immedesima in chi ha compiuto il delitto fino a sentire le sue emozioni, a diventare la stessa persona. A quel punto tutto diventa chiaro e lampante, perché le cose possono essere andate solo come lui le ha… ri-vissute.
A soli tre anni dalla pubblicazione di "L'innocenza di Padre Brown", prima serie di storie che ruotano intorno al famoso prete, Chesterton ritornò a raccontarne le avventure in un libro che ne esalta la saggezza, la qualità che forse lo rappresenta meglio. Di aspetto poco appariscente, ma dotato di un acume straordinario, Padre Brown è di nuovo all'opera in un appassionante lavoro di analisi e decifrazione di crimini ed enigmi in apparenza insolubili, rigoroso e lucido nell'osservazione e nelle deduzioni e nel contempo profondamente umano. Personaggio molto amato anche in Italia (dalle sue avventure la Rai trasse un popolare sceneggiato negli anni '60), questo curioso prete cattolico si rivela un segugio insuperabile grazie alla capacità di riconoscere e affrontare il male, per assicurare i colpevoli alla giustizia ma soprattutto per salvarne le anime. Uno di quei personaggi capaci di conquistare per sempre il cuore dei lettori, entrando, come dichiarò Gian Dàuli all'epoca della prima traduzione, «nella piccola cerchia degli amici che rimangono tali per tutta la vita».
"Fra tutti i cammini che si possono percorrere, quello lungo il quale ti accompagna questo libro è uno dei più straordinari. Comincia nel cuore di una stella e termina in quel singolarissimo punto dove tu, adesso, stai prestando attenzione, con il tuo cervello, proprio a queste parole, scritte su questa pagina: sì, esatto, il cammino finisce lì, dentro la tua mente, nella tua coscienza. Il viaggio della luce, quello che ti consente di vedere le meraviglie e le miserie del mondo, è uno dei tanti banali miracoli che ti accompagnano per tutta la vita. E un percorso originale e affascinante, che 'Nell'occhio del fotone' ti racconta pagina dopo pagina con linguaggio chiaro e paziente, capace al contempo di rendere limpida la meccanica quantistica e di rispondere alle domande che non hai mai osato fare al tuo medico oculista. Ma ci troverai anche la poesia delle notti d'estate, l'arabesco del volo di una lucciola, la fragranza della menta in un mojito. Nulla di magico: semplicemente Gianni Amerio applica pagina dopo pagina la lezione antica del viandante, capace di stupirsi dei prodigi delle piccole cose e di apprenderne la lezione con la modestia dell'intelligenza. E poi, nei panni del divulgatore, ti svela, con delicatezza e facilità sorprendenti, realtà scientifiche di inattesa complessità. Ti affezionerai a quella piccola particella di luce, ne seguirai le peripezie tra il Sole e i begli occhi di una ragazza, ne comprenderai la natura e gli affascinanti misteri. Scoprirai quanto è complicata l'istintività di uno sguardo, quanto è sottile il confine fra la luce e il pensiero. E alla fine del libro, lette le ultime pagine, lo riporrai con la sensazione di aver davvero compiuto anche tu tutto il viaggio, fino in fondo, e di averlo fatto per una buona causa. Per portare un po' di luce a chi non ce l'ha." (Dario Corradino). Postfazione di Gianni Fossati.
Poco prima del 540 san Benedetto redasse il testo di una Regola per la comunità di monaci raccolti intorno a lui nel monastero di Montecassino. Articolata in un prologo e 73 capitoli, è ancora oggi l'elemento fondativo delle comunità benedettine. Il suo valore e la sua efficacia travalicano però l'ambito rigorosamente monastico e infatti essa è ormai frequentemente invocata come una guida valida per i laici, sia nella vita privata che in quella professionale. Proprio la "Regola" è al cuore di questo libro, in cui Dom Guillaume, forte dell'esperienza maturata come monaco e come abate, traduce in un linguaggio semplice e concreto le sue norme antiche e sempre nuove, permettendo anche a noi, uomini e donne del XXI secolo, di apprezzarne la bellezza e l'attualità. Vivere secondo la "Regola", assimilando la sapienza dei monasteri, ci permetterà di trasformare profondamente la nostra vita e di cambiare il modo in cui guardiamo il mondo, gli altri, noi stessi. Essa ci sprona a considerare l'esistenza come un itinerario di fede e un ritorno alla sorgente di tutte le cose, scendendo nel profondo, dove Dio abita, ci abita, e ci attende amorevole e fiducioso. Questo è, almeno per noi contemporanei, il grande paradosso: una "Regola" ci permette di conseguire la vera libertà e la pace di chi ha trovato la verità.