La brevità e la semplicità della vita di Teresa di Lisieux è esattamente contraria alla profondità di quella che viene detta «la piccola via».
Non per nulla Teresa è Dottore della Chiesa. Non per nulla la giovane ragazza fiorì in uno specifico contesto storico e culturale di cui assorbì, per osmosi, le tensioni.
È ben noto che l’educazione scolastica della piccola normanna fu molto limitata, da dove nasce allora la sua capacità di scrivere? Da dove le viene la postura all’ascolto dei drammi della sua epoca? Non di certo dalla vastità di letture o di conoscenze: in lei operò invece lo Spirito che la dispose ad accogliere in sé le tensioni dell’ateismo e lasciarsene travagliare. Queste domande, abitate dai grandi nomi e da rinomati personaggi a lei contemporanei, la presero tanto che lei entrò in sintonia con le correnti letterarie e di pensiero, con i grovigli riflessivi e con le inquietudini artistiche, e se ne lasciò risuonare e ne divenne un’eco: ma creante. Donò cioè una risposta che, se accoglieva una lacerazione, sapeva pure porgere una sutura.
Giovane ragazza Teresa dimostra una tempra di donna, un animo che sa percepire e sa ergersi dinanzi alle donne del suo secolo, indubbiamente più colte di lei e più emancipate, ricordate dalla cultura laica come donne d’avanguardia, ma bloccate nel formulare una risposta alle tenebre distruttive, risposta che in lei fluisce spontanea e gioiosa e la rende donna costruttiva, che lascia una traccia cui in molte e in molti, anche a distanza di più di un secolo, si possono specchiare.
Prefazione di Lucetta Scaraffia
GLI AUTORI
CRISTIANA DOBNER, carmelitana, è nata a Trieste, laureata in Lettere e Filosofia e alla Scuola di Lingue Moderne, con studi teologici e biblici, e specializzazione all'estero. Traduttrice e collaboratrice di numerose riviste, testate e l'agenzia SIR. Vive nel monastero di S. Maria del Monte Carmelo a Concenedo di Barzio (Lecco). È autrice di numerosi volumi di spiritualità.
L’immagine di Cristo ha rappresentato uno dei riferimenti essenziali per la costruzione della soggettività dell’uomo occidentale. A partire dal XV secolo i caratteri della sua influenza si modificano radicalmente. Il saggio intende esplorare questa trasformazione epocale a partire dalla figura del Salvatore che i pittori veneziani elaborano tra la fine del Quattrocento e gli inizi del XV secolo e prende in esame le rappresentazioni più importanti, e a volte sconosciute, che gli hanno dedicato artisti quali Antonello da Messina, Giovanni Bellini, Tiziano e tanti altri. Questo studio cerca di applicare al suo oggetto i metodi della storia dell’arte e della cultura, parte da una prospettiva di carattere antropologico per aprirsi, infine, all’interpretazione teologica di un fenomeno non ancora compreso totalmente nella sua profondità.
GLI AUTORI
FRANCESCO SARACINO, biblista e teologo, si occupa dell'interpretazione della tradizione figurativa occidentale all'interno di un progetto ermeneutico inteso a rivendicare un accesso "figurativo" alla dimensione dello Spirito.
Il perdono non può che affiorare nelle parole e nelle forme con cui le tragedie non risolte della storia sono raccontate. Ecco perché i contributi che costituiscono il volume presentano diversi linguaggi che vanno dalla filosofia alla letteratura, dall’arte alla drammaturgia. Del resto, per quanto importanti e necessarie siano le istituzioni politiche della riconciliazione, dell'amnistia e della grazia, il perdono rimane pensabile e praticabile unicamente come gesto singolare, compiuto dinanzi al volto dell'altro.
Il testo raccoglie interventi di diversi studiosi, professori e professionisti chiamati a confrontarsi col tema della bellezza. Sono lezioni e più spesso testimonianze di personaggi come Santo Versace, Lucio Dalla, Claudia Cardinale, Pasquale Squitieri, Alessandro D’Alatri, Maurizio Schmidt, e di professori di chiara fama come Marco Bona Castellotti, Vincenzo Balzani, Marco Bersanelli, Maria Cristina Treu e Roberto Filippetti. I testi presenti nel libro sono quelli che gli autori hanno presentato ad un pubblico costituito perlopiù da giovani universitari, studenti delle residenze e dei collegi della Fondazione C.E.U.R. Il tema è quello della bellezza affrontato da diversi punti di vista: la moda, il cinema, la musica, il teatro, la chimica, l’architettura, l’astronomia e l’arte. Per il contesto in cui le lezioni hanno avuto luogo, esse si rivelano come un dialogo informale, intrattenuto con il reciproco desiderio, degli autori e del pubblico, di appressarsi al mistero della bellezza, per lasciarsene salvare.
A chi si deve l’edificazione del Duomo di Milano? Con quali risorse poté sostentarsi l’impresa di una costruzione così ambiziosa e imponente, avviata nel 1386 e conclusa definitivamente solo nel XX secolo? Grazie allo studio di alcuni preziosi documenti (soprattutto i Registri delle Offerte), Martina Saltamacchia analizza il campionario dei donatori che contribuirono al finanziamento della Fabbrica. Sorprendentemente, i dati numerici rivelano che la parte più cospicua delle entrate è ottenuta dalla somma di offerte modeste o minime, dal valore apparentemente trascurabile. Da quegli elenchi di cifre fanno capolino incredibili storie di uomini e donne comuni – non di rado in situazione di disagio economico o sociale – mossi da una fede sincera a un commovente e gratuito atto di carità. Facendo memoria di questi piccoli gesti, per lo più anonimi ma in qualche caso precisamente identificati, il volume rende giustizia ai veri “edificatori” della cattedrale. Commentano il testo una serie di immagini storiche del Duomo, che raffigurano le diverse fasi della sua costruzione e testimoniano nei secoli la partecipazione attiva del popolo all’opera del cantiere nel corso dei secoli.
GLI AUTORI
MARTINA SALTAMACCHIA, laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione presso l'Università Bocconi di Milano, è attualmente ricercatrice presso la Rutgers University, New Jersey (USA) con specializzazione in Storia Medievale Italiana.
Il martire è, oggi forse con più evidenza che in passato, una figura che si pone nella zona d’intersezione tra la teologia e la politica. I saggi raccolti in questo volume cercano di individuare, all’interno dello spazio delimitato da quella intersezione, le sovrapposizioni, talora manifeste, talora occulte, tra martirio e sacrificio. Attraverso il meccanismo sacrificale, infatti, la testimonianza del martire assume senso salvifico, religioso e politico, al prezzo del totale annullamento del martire nel suo gesto, della sua sublimazione in pura immagine.
Nel tentativo di assumere su di sé la pienezza di un’idea e di portarne la testimonianza oltre il limite della propria morte, il martire non può però che fallire. Ed è perciò che si rende necessario un atto di pietà: bisogna trovare la forza di seppellire il martire, di abbandonare il suo ricordo e il suo corpo. Ciò che iniziamo a chiamare qui deposizione.
Il volume comprende, tra gli altri, uno studio inedito di Adolf von Harnack. Inoltre, tre liriche shaihidiche: il testamento di un volontario della milizia iraniana votato a missioni suicide nella guerra tra Iran e Iraq, la poesia di un martire palestinese e una poesia sufi.
La poesia è sempre e comunque interrogante. Il poeta, cioè, non è l’uomo dalla risposta pronta, che allunga il braccio e indica la via, ma un delirante ricercatore. Qualcosa tra Lancillotto e Falstaff, tra Giobbe e Lord Jim. Il libro di Davide Brullo fa così, ci mette nel mezzo di un cerchio rimandandoci, quasi biblicamente, le stesse ossessive domande dacché l’uomo è uomo. Chi siamo? Dove andiamo? Da dove siamo venuti? Qual è il nostro compito su questa terra, in questo vento di vita? Dove sono posti i confini tra il bene e il male? E lo fa con una lingua che attinge dal Testo Sacro, per tratti scabra, presuntuosa e percotente, in perpetuo scavo. In cui si parla di un mondo arcaico ma anche postatomico, come se in un palmo di mano si radunassero millenni. Leopardiano in questo senso, Brullo. Ma soprattutto, inciso, sì, un libro che è come un colpo di scalpello su una roccia destinata a conservare ciò che è stato del mondo.
GLI AUTORI
Davide Brullo (1979) legge il Vecchio Testamento, di cui ha tradotto Il libro della Sapienza (Medusa, 2006) e alcuni profeti minori in Scanni (Raffelli, 2003). Ha pubblicato due consecutivi libri in versi, Annali (Edizioni Atelier, 2004) e Annali. Lustro (Mimesis, 2006), e un’antologia di poeti moderni “fuori dai canoni”, Maledetti italiani (Il Saggiatore, 2007).
Testimonianza di una nobile e sincera amicizia, il libro è il generoso omaggio di un grande filosofo a un filosofo più giovane che da principio ne ha seguito le tracce, per imporsi poi con un’opera originale. Omaggio filosofico, ovviamente: per quanto non manchino pagine intensamente affettuose che conferiscono un caldo colorito alle ricorrenti riflessioni sull’amicizia, il volume è dedicato a una lettura del pensiero di Jean-Luc Nancy (ben noto anche in Italia), considerato sotto una particolare angolazione, la questione del tatto, in tutti i significati che la parola ha assunto nella cultura occidentale, da quello erotico a quello religioso, da quello gnoseologico a quello etico. In un serrato dialogo con una tradizione che muove dall’antichità, ma con particolare attenzione a quella che Derrida chiama una linea filosofica «franco-tedesca», il libro, pur incentrato su Nancy, ne mette a confronto la scrittura con le tesi classiche in numerose digressioni che muovono da Aristotele per toccare Descartes e S. Giovanni della Croce, il Nuovo Testamento e Kant, il problema di Molineux e Maine de Biran, Husserl e Merleau-Ponty, Lévinas e Heidegger. Derrida tuttavia non elabora un trattato, e meno che mai si preoccupa di tracciare un capitolo della storia della filosofia occidentale, ma, secondo lo stile che caratterizza la sua splendida maturità, affida a un scrittura straordinariamente affascinante, benché non facile, il compito di cercare «nel solco di Heidegger, la specificità di un pensiero che non si riduca né alla poesia, né alla filosofia né alla scienza».
Accompagnato dai lavori di Simon Hantai
GLI AUTORI
JACQUES DERRIDA nasce il 15 luglio 1930 a El Biar, nei pressi di Algeri. Ha insegnato prevalentemente a Parigi e negli Stati Uniti, e ha ottenuto lauree e dottorati honoris causa in molte Università presenti nel mondo. Riconosciuto come uno dei maggiori filosofi del nostro tempo, ha prodotto lavori che sono stati tradotti in una decina di lingue e che sono stati oggetto di convegni e incontri in Francia, Italia, Germania, Inghilterra, Canada, Stati Uniti e Giappone. Muore a Parigi il 9 ottobre 2004.
L’intento è di superare l’“impasse” tra l’universalismo etico illuminista, con le sue insolute aporie, e il relativismo post-moderno, con la sua “insostenibile leggerezza”.
Il nichilismo post-moderno nega la possibilità stessa di porre filosoficamente il problema, pertanto il primo passo consiste nella giustificazione del senso e del ruolo di questa indagine. Il contesto della globalizzazione richiede un’etica mondiale, in grado di coniugare differenze e pluralismo. Bisogna quindi esaminare le istanze relativistiche e le loro motivazioni per far emergere le ragioni che spingono ad impostare un’etica razionale e non razionalistica che consenta di rendere ragione alle istanze dell’autenticità, della diversità sociale e del riconoscimento. Dal confronto con le diverse figure di razionalità pratica attualmente più rilevanti emergeranno i tratti essenziali di una proposta di riflessione per l’etica di oggi, in cui proprio le ragioni del pluralismo etico spingano a rifiutare il relativismo e a fondare nell’umanità degli uomini i doveri reciproci di rispetto e responsabilità.
GLI AUTORI
ALDO VENDEMIATI (1961) è Professore ordinario di Filosofia morale nella Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana (Roma). Le sue ricerche vertono prevalentemente sulla fondazione dell’etica (In prima persona, Urbaniana University Press, Roma 2004), in dialogo con la tradizione tomista (La legge naturale, Edizioni Dehoniane, Roma 1995) e con la fenomenologia (Fenomenologia e realismo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1992). Si è dedicato anche all’approfondimento delle tematiche bioetiche in ordine alla loro fondazione epistemologica (La specificità bio-etica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002).