«Il senso del libro è semplice da dire. Le donne e gli uomini che ci hanno lavorato e lo firmano, si sono ritrovati più volte, liberamente, per parlare di sé e del mondo nel loro linguaggio abituale ma senza escludere “Dio”, come parola e come pensiero. Perché lo hanno fatto, con quali scopi? Non trovo una risposta semplice, da mettere qui, bisogna cercarla nel libro. Il punto sul quale ci siamo trovati d’accordo (anch’io che scrivo ero una di loro), dal primo momento, è quello che ho detto: ci andava bene parlare di quello che ci capitava di essere, vivere, pensare, e di quello che succedeva tra noi, con parole di un vocabolario dove c’era anche la parola “Dio”, e con pensieri che non lo escludevano». (dalla Presentazione del libro di Luisa Muraro) Gli autori: Marco Cazzaniga, Gabriella Cimarosto, Elsa Confortin, Luisella Conti, Livio Dal Corso, Manuela Dal Soldà, Fabia Di Stasio, Gianni Ferronato, Luisa Muraro, Adriana Sbrogiò, Tilde Silvestri, Rosetta Stella, Gelindo Tonon, Marisa Trevisan, Carla Turola, Natalina Zanatta
Non un trattato sulla verità (de veritate) ma un discorso ex veritate, che raggiunge l’esistenza dalla verità, perché la verità che non può non interessare l’uomo è quella che lo interpella come esistenza. La verità che lo chiama a esistere, non semplicemente a vivere, o a essere. La valenza di queste tre parole deve essere approfondita nella loro correlazione, ciascuna rappresenta infatti un enigma per il pensiero. La chiave interpretativa è allora l’interrogazione della verità, che attraverso tali parole si esprime ma insieme non evita di farsi equivocare. Perché s’intende non come una verità maiuscola, assoluta, che domina l’essere e il tempo, bensì minuscola, perché si fa solo nei discorsi degli uomini, tuttavia capace di convocarli e tenerli a colloquio gli uni con gli altri.
Le pagine che compongono questo libro nascono da lezioni dell’autore ai seminaristi e ai preti della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo di cui è superiore generale. Le riflessioni che le alimentano vertono su un tema di cui, oggi più che mai, si avverte l’urgenza: la speranza. Nelle parole di don Camisasca la speranza emerge come esperienza di necessità vissuta, poiché «se ciò che amiamo e in cui crediamo non fiorisce prima o poi nella speranza, cioè nella certezza che la giustizia si compie, la nostra esistenza rimane irrealizzata e a poco a poco si tinge di brutti colori. Questa è l’unica vera vecchiaia: non quella degli anni, ma quella dello spirito». La speranza non è dunque una chimera né un rifugio dalla realtà, proprio perché «sperare è imparare a vedere ciò che è veramente amabile e desiderabile dentro l’apparente banalità quotidiana, persino dentro la contraddizione. Sperare è intravedere nel presente il futuro di ogni cosa». La speranza è attuale, è possibile nella vita di ognuno di noi e intorno a noi. La speranza «accade nella vita di ciascuno innanzitutto come sguardo nuovo sulle persone più vicine: essa sa riconoscere nelle persone che Dio ci mette a fianco l’opera della sua grazia». La speranza, come fu per Pietro, Giovanni e Andrea con Gesù, è qualcosa che cresce e matura con il tempo, fino a diventare un pensiero abituale, «moto del cuore reso facile da una nuova natura. Proprio vivendo con Gesù, gli apostoli hanno imparato che cosa fosse la speranza per la loro vita, chi fosse la speranza per la loro vita».
Il titolo allude a I demoni di Dostoevskij, che sono assunti a simbolo dei due grandi mali che hanno condotto alle tragedie del Novecento e hanno alimentato le ideologie totalitarie: il mito della palingenesi sociale e il mito della gestione scientifica dei processi sociali. L'idea aberrante che l'umanità debba essere ricostruita dalle fondamenta ha generato quell'"odio di sé" che ha corrotto la civiltà europea e che François Furet ha definito come la capacità di generare uomini che odiano l'aria che respirano senza averne mai conosciuta un'altra. Le manifestazioni estreme di questa malattia – lager e gulag – esprimono quei miti fondatori: i miti palingenetici (politica razziale o purificazione sociale di classe), la gestione scientifica della deportazione, del lavoro forzato e dello sterminio di massa. L'umanità europea compie azioni di penitenza ma sembra non aver compreso le radici della catastrofe che l'ha devastata. L'"odio di sé" si manifesta nelle ideologie postcomuniste e dell’estremismo pacifista; mentre l'adesione critica all'ideologia scientista assume le forme di un relativismo radicale che nega ogni spazio all'etica, alla morale e alla religione nella vita pubblica, e oltretutto nega la scienza come conoscenza, aumentando così il degrado civile.
In Nord Uganda ci si saluta dicendo: «Kop ango?», che vuol dire: «C’è qualcosa?». E il sottinteso è: «C'è qualcosa che forse non va?». La risposta obbligata è «Kop pe», e cioè: «Non c’è niente» (che non va). A parte il rebus delle doppie negazioni risultanti dall’italiano, il senso è chiaro: tutto bene, possiamo andare avanti. Tra il popolo degli Acholi la giornata e le relazioni iniziano così, con un piccolo dubbio che va fugato. E così comincia il racconto di questo libro, con un saluto scambiato nell'alba di Kitgum. Il racconto di ventiquattro ore nella vita del Nord Uganda, terra squassata dalla guerra e dalle epidemie. Come tanti altri angoli dell'Africa, si dirà. C'è un dubbio, però, che vale la pena approfondire: tutti noi sappiamo come muore l'Africa, ma che ne sappiamo di come vive?
GLI AUTORI
Roberto Fontolan è nato nel 1956. Vissuti i primi infuocati anni ’70 al liceo milanese Berchet (il "liceo rosso"), fin dai tempi dell’università si è dedicato al giornalismo. Un’avventura cominciata alla radio ("Supermilano", una emittente libera milanese) e proseguita poi al settimanale "Il Sabato", al quotidiano "Avvenire", alla Rai, dove ha ricoperto diversi incarichi tra cui la direzione del Centro di Produzione di Milano e la vicedirezione del Tg1, alla televisione del gruppo "Sole 24ore", della quale è stato direttore fino al dicembre 2003. Ha realizzato numerosissimi reportage e inchieste in Italia e all’estero, ha curato e organizzato programmi televisivi, ha lavorato nelle pubbliche relazioni e nell’organizzazione culturale. Attualmente si occupa di nuovi progetti di comunicazione e svolge attività di consulenza. E’ docente presso il master di giornalismo all’Università Cattolica di Milano.
Il presente testo è frutto di molti anni di studio e della grande passione di padre Aldo per l’affascinante storia delle Riduzioni. In queste comunità il missionario italiano afferma di aver “visto e reincontrato il vero volto della Chiesa”, che è sempre stata mossa unicamente dal desiderio che Gesù Cristo sia conosciuto e amato grazie alla nuova evangelizzazione. Tant’è vero che egli stesso, nel vivere la sua missione nella capitale paraguayana, ha tentato solamente di far riaccadere un’esperienza di fede e di compagnia, facendo della parrocchia affidatagli una vera e propria "reducción". Ciò che ha spinto l’autore a scrivere queste pagine, quindi, non è solo la gratitudine verso coloro che lo hanno concretamente accompagnato nell’opera missionaria ad Asunción, appartenenti come lui alla Fraternità Sacerdotale San Carlo Borromeo, ma anche il desiderio che tutti i giovani del Paraguay, ma non solo, conoscano ed amino le radici della loro civiltà, nata dall’incontro con l’esperienza gesuitica e francescana. Il testo si presenta quindi come una breve ma intensa descrizione di tali origini, una descrizione che va da un primo accenno al contesto storico (la presenza dei padri missionari in territorio sudamericano abbraccia la fine del XVI e tutto il XVII secolo), ad una narrazione, ricca di particolari, della vita quotidiana nelle Riduzioni. Dopo un primo abbozzo di quella che era la realtà umana e sociale delle popolazioni che abitavano quelle regioni all’arrivo dei padri gesuiti, la dettagliata descrizione dell’organizzazione sociale, politica ed economica che essi furono in grado d’incentivare è una splendente testimonianza di quanto il cristianesimo possa realmente essere portatore di civiltà ed umanità.Scritto in modo semplice e scorrevole, il testo può considerarsi al tempo stesso come un libro di storia, di sociologia o di religione, ma, soprattutto, come uno splendido affresco di vita umana realmente vissuta, adatto a lettori di ogni genere ed età.
GLI AUTORI
Padre Aldo Trento (1947) entra nel seminario dei Padri Canossiani e nel 1971 è ordinato sacerdote. Nei primi anni di sacerdozio si dedica ai figli dei carcerati della città di Salerno. Viene trasferito a Feltre (BL) ed entra in C.L. dove ricopre il ruolo di responsabile provinciale per 13 anni. In seguito entra nella Fraternità Sacerdotale di San Carlo Borromeo, e viene inviato da Mons. Luigi Giussani e Mons. Massimo Camisasca in missione in Paraguay, dove vive da 14 anni.
Con lettere inedite di Nenni, Pertini, Togliatti, Terracini, Moro, La Pira, Parri, Schlesinger, Pratolini Un dialogo su socialismo e riformismo nella storia d'Italia, dalla nascita del "Partito dei lavoratori" nel 1892 a oggi, quando ogni residuo socialista sembra dover scomparire nel "Partito democratico". I due interlocutori partono da punti di vista differenti, ma intrecciano una discussione che investe tutta la storia del socialismo italiano: dalle lotte di fine Ottocento al decennio giolittiano, dal tumultuoso dopoguerra alla nascita del Pci e al fascismo. Pieraccini racconta anche la sua esperienza di giovane studente a Pisa e poi nella Firenze dei primi anni Quaranta, insieme a quella di esponente nel dopoguerra dell'autonomismo nenniano in fecondo dalogo con Morandi e Lombardi, fino agli anni Sessanta, quando fu uno dei protagonisti del centro-sinistra. Passata attraverso una valutazione della vicenda politica di Craxi, dal 1976 a "Tangentopoli", la concordia discors dei due autori trova una significativa convergenza nel giudizio sull'oggi, dopo la fine del Psi e la rinuncia ad ogni seria prospettiva socialista. Per entrambi socialismo e riformismo hanno un futuro, riprendendo la tradizione migliore della sinistra italiana, quella che coniuga progresso civile e promozione della democrazia.
FABIO VANDER (Roma, 1958), laureato in filosofia con Gennaro Sasso e in storia contemporanea con Pietro Scoppola, diplomato all'Alta scuola di studi legislativi (ISLE), lavora presso il Senato della Repubblica. Collaboratore di riviste quali "Behemoth", "Telos", "Teoria Politica", "Il Cannocchiale", ha pubblicato tra l'altro: Metafisica della guerra (Milano 1995), Aldo Moro (Marietti, Genova 1999), L’estetizzazione della politica (Bari 2001), La democrazia in Italia (Marietti, Genova-Milano 2004), Contraddizione e divenire. Filosofia e politica in prospettiva neo-dialettica (Milano 2005); con G. Pieraccini, Socialismo e riformismo (Marietti, Genova-Milano 2006).
Dopo Ho sete, per piacere, dove Vittoria Maioli Sanese trattava con suggestiva chiarezza il rapporto tra genitori e figli mettendo a disposizione la propria esperienza professionale, ora ci offre Perché ti amo, un percorso di aiuto alla vita della coppia. Non è il solito manuale, non sono le "istruzioni per l'uso": ancora una volta l'autrice ci guida con passione e capacità avvincenti, introducendoci all'esperienza dell'incontro fra un uomo e una donna. Ne risulta un lavoro che è anche un efficace sostegno, illuminante sulle problematiche della vita in due.
GLI AUTORI
Vittoria Maioli Sanese (Rimini 1943) è psicologa della copia e della famiglia, ha fondato nel 1970 il Consultorio Famigliare (associato U.C.I.P.E.M.) di Rimini di cui è tuttora direttore. Oltre al lavoro clinico con le coppie, guida da anni gruppi di riflessione e di formazione per genitori, operatori sociali, educatori, psicologi. Ha svolto e svoge un lavoro di ricerca sulla coppia e sulla famiglia dal punto di vista psicologico, esistenziale, sociale, culturale e antropologico. Numerosi i suoi interventi in convegni, congressi e seminari.
La bellissima perdita: un tale titolo è quanto di più impopolare e di meno "mercato editoriale", ma è autentico. L'autore lo sa bene, sa che questo titolo è nato, per la sua pluridecennale amicizia con la poesia, da molto tempo e irrevocabilmente. Sa che la poesia non vuole riempirsi le mani, ma le vuota affinché accolgano il dono, povero e non posseduto, di tutte le cose. La poesia avanza retrocedendo, vince perdendo, parla tacendo, dice le sue proprie parole dissimulandole in quelle che appaiono pronunciate. La società «stolta che l'util chiede / e inutile la vita / quindi più divenir non vede» (G. Leopardi, Il pensiero dominante), è convinta che la poesia non serve a nulla. Non serve, infatti, regna.
Attraverso il filo della teshuvah, del "ritorno", del cammino, Neher unisce le esperienze talune note tal altre insospettate, di diversi personaggi, ma si tratta di esperienze tutte attraversate dal "soffio" divino. Man mano, proprio a partire dagli accenni relativi al vissuto di H. Heine, di B. Fondane, di K. Wolfskehl, di F. Rosenzweig e di A. Schönberg, si delineano le molteplici componenti dell'ebraismo che illumina le esistenze di tutti i personaggi citati. Questo libro di Neher non è un trattato di teshuvah, semplicemente mostra come essa, molto spesso, si presenti in modo repentino, folgorante nella vita dell'uomo ebreo.