Martin Buber (Vienna 1878 - Gerusalemme 1965) è uno dei padri dell'ebraismo contemporaneo. Molto attivo sulla scena intellettuale tedesca, in seguito alla persecuzione antisemita emigrò in Palestina nel 1938. Da lì continuò ad irradiare il suo intenso magistero spirituale, adoperandosi fra l'altro per l'opera di riconciliazione fra arabi ed ebrei.
Numerosi i suoi scritti, dedicati a temi molteplici, quali il chassidismo e la mistica giudaica, la filosofia dialogica, la Bibbia, di cui, insieme a Franz Rosenzweig, ha curato un'originale traduzione tedesca.
Presso Marietti sono state tradotte le seguenti opere: La fede dei profeti (1985), Sion. Storia di un'idea (1987), La regalità di Dio (1989).
"Gesù e Israele", pubblicato per la prima volta nel 1948 e dedicato dall'autore alla moglie e alla figlia perite in un campo di concentramento nazista, costituisce ormai un testo classico fra le opere che più hanno contribuito all'instaurazione del dialogo fra cristianesimo ed ebraismo. Quanto Isaac sosteneva già allora è stato poi ripreso nelle sue parti essenziali, proclamato e proposto come norma dalla dichiarazione "Nostra Aetate" del concilio Vaticano II a tutti i fedeli della Chiesa cattolica.
L'idea ispiratrice di questo volume è quella di assegnare ad autori diversi il commento di una singola riga del Magnificat. Il risultato di questo lavoro, che non voleva certo costruire un'opera di esegesi, bensì trasmettere l'idea di "una donna che dice Dio", è un insieme di testi di differente struttura, forma e argomento - saggi di riflessione, piccole opere letterarie, ritratti di personaggi o considerazioni autobiografiche, commenti o racconti di pura fantasia - che ripropongono l'armonia del cuore di Maria nel grido di giubilo del Magnificat.
Il linguaggio rappresenta uno dei temi privilegiati della filosofia contemporanea, forse l'unico capace di appassionare in egual misura autori e correnti che per il resto rimangono molto differenti e lontani fra loro. Si direbbe anzi che il pensiero attuale paia destinato a trovare una qualche unità all'insegna di un atteggiamento di fondo o di uno "stile" che si può chiamare in senso lato ermeneutico e di cui la corrente così propriamente denominata ha avuto il merito di offrire per prima una adeguata caratterizzazione. Tuttavia anche le posizioni culturali che sembrano essere più tipicamente contemporaneamente possono avere radici profonde e talora insospettate nell'elaborazione di autori a noi meno vicino nel tempo e, almeno apparentemente, nella sensibilità e negli interessi.
Questo lavoro si propone di mostrare come proprio attorno al tema del linguaggio e ad alcune questioni strettamente collegate si possa giungere a cogliere una sorta di concordia discors fra Hegel e l'ermeneutica contemporanea, soprattutto quella di stampo gadameriano. A dispetto di alcune ovvie ragioni di conflitto, le possibili convergenze fra le due posizioni sono meritevoli di attenta indagine e mostrano quanto possa essere utile ancora oggi lo studio di Hegel, pure in relazione a temi che sembrerebbero lontani da ogni orizzonte propriamente idealistico.
Una delle caratteristiche di questa Patrologia consiste nei numerosi passi di opere patristiche, citati in italiano, che offrono al lettore un saggio della bellezza di questi testi. Le scelte sono effettuate anche per mostrare lo sviluppo della teologia nei primi secoli e per illustrare l'accostarsi dei Padri al deposito della fede. Le singole figure dei Padri vengono inquadrate nel loro contesto politico e sociale; ampio spazio viene dato alle problematiche della ricerca patristica attuale. Per ciascun autore vengono fornite puntuali indicazioni bibliografiche riguardo alle edizioni e agli studi.