"La vita è un film a lieto fine, basta restare onesti e non mollare mai" amava ripetere Paolo Farinetti, il "comandante Paolo" che, a capo della XXI brigata Matteotti "Fratelli Ambrogio", combatté i nazifascisti sulle colline delle Langhe durante la Resistenza. E infatti, lui non ha mai mollato, né allora né dopo. Perché Paolo, quella scelta di battersi per la giustizia e per la libertà l'ha fatta una volta per tutte. Nato da poverissimi contadini su quelle colline della "malora" rese celebri da Fenoglio, il ventenne Paolo, colpito da una brutta peritonite, alla fine del 1943 rifiuta di tornare sotto le armi e sceglie di diventare un "ribelle" e di "salire in montagna". Dove l'iniziale avversione per la retorica guerrafondaia del fascismo matura presto in una coscienza politica chiarissima: lui e i compagni che hanno condiviso la sua scelta sono lì perché vogliono un'Italia diversa, più libera e giusta. Dapprima inquadrato nelle formazioni autonome del comandante "azzurro" Mauri, Paolo, con un'intuizione decisiva, sposta il teatro operativo del suo gruppo dalla montagna alle più familiari colline albesi e alla bassa Langa, dove può contare non solo sulla conoscenza del territorio ma soprattutto sul sostegno della "sua" gente pronta a offrirgli collaborazione, riparo, cibo, abiti, informazioni. Diventato il carismatico "comandante Paolo" grazie alla capacità di conciliare il coraggio indomito con la prudenza e l'umanità, compie gesta spericolate ed eclatanti.
"Lettera di Policarpo ai Filippesi", "Lettera di Barnaba", "Pastore di Erma": ci si accosta con emozione, in questo secondo volume dedicato dalla Fondazione Valla alla letteratura cristiana più antica, a testi che avrebbero forse potuto entrare a far parte del Nuovo Testamento canonico. E in effetti la "Lettera di Barnaba" vi rimase sino al IV secolo e il "Pastore di Erma" fu sul punto di accedervi. Prima che tutto fosse fissato irrevocabilmente, si ascoltano in questi documenti voci antiche, autorevoli e diverse: testimoni del periodo nel quale la tradizione cristiana andava formandosi tra contrapposizioni, conflitti e ricomposizioni, eppure in costante dialogo con i Vangeli e l'opera di Paolo. Così Policarpo, tutto dedito al problema della giustizia, rievoca le Beatitudini e la missione dell'Apostolo: "né io né un altro mio simile" scrive "è in grado di emulare la sapienza del beato e glorioso Paolo, il quale, venuto in mezzo a voi, faccia a faccia con gli uomini di allora, insegnò con precisione e fermezza la parola di verità". "Barnaba", per molto tempo considerato proprio il collaboratore di Paolo che porta quel nome negli Atti degli Apostoli, vuole insegnare la "conoscenza perfetta" e distingue "due vie di insegnamento e potere, l'una della luce e l'altra delle tenebre", alle quali sono preposti rispettivamente gli angeli del Signore e quelli di Satana.
Adele Faber e Elaine Mazlish, esperte nella comunicazione intergenerazionale, sono note al pubblico di tutto il mondo per il loro manuale "Come parlare perché i bambini ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino". E quando i bambini non sono più bambini? Con ragazzi e adolescenti la comunicazione, si sa, è ancora più difficile. Ma questo manuale, con il suo stile affabile e il taglio pratico, arricchito da vignette e testimonianze, mostra come comportarsi anche durante la cosiddetta "età ingrata", tanto più complessa nel mondo digitalizzato e perennemente connesso in cui vivono i nostri figli. Una guida sicura che vi spiegherà come affrontare, tra l'altro, questioni spinose tipo: il senso delle punizioni, l'importanza di rispettare gli orari, i pericoli delle "cattive compagnie", l'uso di fumo, alcol, droghe, i sentimenti e il sesso, i pericoli di Internet.
"Anoressia" e "bulimia" sono due termini con i quali abbiamo ormai imparato a convivere e che ci sono diventati dolorosamente familiari. Indicano due opposte manifestazioni del profondo disagio psicologico vissuto da quegli adolescenti che non si piacciono, hanno un cattivo rapporto con il proprio corpo e il proprio aspetto fisico e sfogano sul cibo i problemi tipici della crescita e del passaggio all'età adulta. Finora se n'è parlato principalmente al femminile, ma nell'ultimo decennio, i cosiddetti "disturbi del comportamento alimentare" hanno interessato anche un numero non trascurabile di ragazzi e giovani uomini. Perciò, sia per i genitori, che spesso inconsapevolmente sono loro stessi corresponsabili delle difficoltà e delle insoddisfazioni dei figli, sia per gli insegnanti, che ogni giorno passano molte ore a contatto con gli adolescenti, diventa ancora più importante prendere coscienza della sempre maggiore diffusione del fenomeno e della differenza tra "comportamenti" e "disturbi" anoressici o bulimici. Se i primi, infatti, possono essere accettati come "segnali di crescita", i secondi sono vere e proprie malattie, e richiedono l'intervento di specialisti. Attraverso esempi concreti e analisi di casi clinici, Loredana Cirillo ed Elena Riva forniscono ai genitori, e più in generale agli adulti, spunti di riflessione e suggerimenti pratici su come confrontarsi con il malessere manifestato dagli adolescenti con l'alterazione del comportamento alimentare.
Adolescenti, alcol e droga. Il semplice accostamento di questi tre termini esprime tutta la drammaticità di un'emergenza sociale che coinvolge, in particolare, i tanti genitori alle prese con figli in quell'età "ingrata" in cui, ormai non più bambini, cercano faticosamente di costruirsi una propria identità ma, nel farlo, scelgono strade sbagliate. Federico Tonioni, esperto di dipendenze, ci guida in un percorso che ha un duplice obiettivo: farci conoscere meglio la natura e gli effetti delle sostanze di cui i nostri figli potrebbero abusare (cannabinoidi, cocaina, ecstasy, ma anche alcol, troppo spesso sottovalutato nella nostra cultura perché "legale"), spiegando quale sia il loro ruolo nella vita degli adolescenti, e sdrammatizzare paure che talvolta si rivelano eccessive, ridimensionando la gravità di alcuni fenomeni come lo spinello "occasionale" o la "prima volta". Affrontando gli interrogativi che tutti i genitori si pongono, l'autore ci insegna a riconoscere i segnali che devono allarmare e, nel contempo, a riflettere sul nostro compito di genitori, che dovrebbe continuamente rinnovarsi: i nostri ragazzi crescono, e anche noi siamo chiamati a crescere insieme a loro, concedendo sempre maggiori spazi di autonomia e di privacy senza però smettere mai di amare e di vigilare. La conclusione è un rassicurante ma fermo invito rivolto a tutti: quando si parla di droga, è giusto porsi tante domande, è invece sbagliato voler trovare a ogni costo delle risposte.
"Faccio iniziare la storia della vita di Giuseppe, il primogenito della graziosa e bella Rachele, intorno al 1400 a.C, quando in Egitto regnavano i due più famosi Amenhotep, III e IV, da cui risulta che Giuseppe non era 'realmente' il pronipote dell'uomo che da Charran in Mesopotamia emigrò per primo nelle terre occidentali, perché Abramo era vissuto seicento anni prima, al tempo di Hammurapi, il legislatore. Ciò non impedisce che il grazioso e bel Giuseppe si ritenesse suo pronipote, perché la difficoltà, fonte di grandissimo diletto, consiste nel fatto che io racconto di uomini i quali non sanno precisamente chi sono, e perciò la coscienza del loro 'Io' si fonda molto meno sulla chiara distinzione del punto in cui, tra passato e futuro, si situa la loro esistenza che sulla identità col proprio 'tipo' mitico..." (Thomas Mann)
"'Giuseppe e i suoi fratelli' non è un romanzo sugli Ebrei, ma un canto allegro e serio al tempo stesso che celebra l'uomo e fa discendere la sua benedizione non solo sul pupillo di Giacobbe, trascinato dalla vita a compiere un apprendistato tanto severo quanto splendido, ma sull'umanità stessa. Ho avuto cura di caratterizzare Giuseppe come una natura d'artista ed è certamente una benedizione quale si conviene a un artista quella che egli riceve dal padre. Il fascino umano che emana la condizione di ogni artista consiste in questa doppia benedizione: quella che discende dall'alto e quella dell'abisso; è il fascino dei sensi che si fanno spirito e dello spirito che diviene corpo; è una dote che discende dal fondamento materno della vita, dalla sfera dell'istinto, del sentimento, del sogno, della passione; ed è dote che discende dalla sfera paterna della luce dello spirito, della ragione, dell'intelletto, del giudizio ordinatore." (Thomas Mann)
"In 'Giuseppe e i suoi fratelli' si è voluto vedere un romanzo sugli Ebrei, anzi per gli Ebrei. La scelta dell'argomento veterotestamentario non fu certo un caso. Essa era senza dubbio in segreta, testarda e polemica relazione con tendenze del tempo che mi ripugnavano visceralmente, con il razzismo giunto in Germania a livelli inauditi, che costituisce una componente fondamentale del volgare mito fascista. Scrivere un romanzo che è una sorta di monumento allo spirito ebraico era attuale, proprio perché appariva inattuale. Ed è vero, il mio racconto si attiene con una fedeltà sempre per metà scherzosa ai dati della Genesi e spesso va letto come esegesi e amplificazione della Torah, come un midrash rabbinico." (Thomas Mann)
"Il terzo 'Giuseppe' per il suo contenuto erotico è la parte più romanzesca di un'opera che nella sua totalità richiedeva di fare del romanzo qualcosa di diverso rispetto a quanto s'intende comunemente. La variabilità di questa forma letteraria è sempre stata molto grande. Ma oggi sembra quasi che nell'ambito del romanzo rientri soltanto quel che non è più romanzo. Forse è sempre stato così. Per quanto riguarda 'Giuseppe in Egitto', nonostante tutta la psicologia, si troverà stilizzato in senso mitico anche l'elemento romanzesco-erotico, il che vale specialmente per la satira sessuale di invenzione fiabesca racchiusa nelle figure dei due nani. 'Giuseppe in Egitto' mi appariva senz'ombra di dubbio o quasi il culmine poetico dell'opera, anche per la riabilitazione in senso umano che mi ero proposto, l'umanizzazione della figura della moglie di Potifar, la storia dolorosa della sua passione per il maestro di palazzo cananeo al servizio del marito tale solo di nome." (Thomas Mann)
Se è vero che ogni famiglia infelice lo è a suo modo, quella di Miriam e Sebastiano appare dal di fuori normalmente infelice: tra loro qualche discussione, la frustrazione di fondo per una modesta vita borghese, a volte liti furiose seguite da silenzi devastanti (quanto possano essere devastanti i silenzi, Miriam lo impara presto a sue spese); poi, finalmente, la sospirata riappacificazione. Sebastiano la porta fuori a cena, le regala un oggetto desiderato o un viaggio. A Miriam questo basta per andare avanti senza porsi domande. Ma a poco a poco la vera natura di Sebastiano viene a galla. Se Miriam lo contraddice e cerca di farsi valere, lui risponde ignorandola, ostile, fino a che lei sente la propria volontà assottigliarsi e cede, scusandosi. Ai silenzi subentrano ben presto le parolacce, le offese, i pugni gonfi di lui che minacciano, che fanno paura, l'umiliazione di un possibile tradimento. Miriam subisce e perdona perché si sente colpevole: in fin dei conti è Sebastiano che la mantiene, che l'ha preferita a sua sorella Sara l'eterna rivale - lui che l'ha resa madre. Ma quando resta sola col piccolo Teodoro e deve lottare contro il cumulo delle incombenze quotidiane e soprattutto contro il bisogno di sonno che la tortura, ecco che i suoi fantasmi ritornano, facendola sentire ancora una volta non all'altezza. Fino a quando un avvenimento imprevisto la aiuterà a risalire dagli inferi e a riscattarsi.