II Meridiano propone un'ampia scelta di narrativa breve e lunga, a partire da "Itinerario di Paolina" del 1937, "ricordi di una donna che rievocava, in terza persona, la sua infanzia e la sua adolescenza". Tra i romanzi, il più famoso è "Artemisia" (1947), che ripercorre la vita della pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi, "una delle prime donne che sostennero colle parole e colle opere il diritto al lavoro congeniale". Anche gli altri romanzi presentati sono ciascuno una perla: "Il bastardo" (1953), una "storia di famiglia", espressione di una società "intimamente logorata"; "Noi credevamo" (1967), ispirato alle vicende del nonno rivoluzionario calabrese; "La camicia bruciata" (1973), in cui la Banti colloquia con Marguerite d'Orléans; "Un grido lacerante" (1981), pagine scritte a dieci anni dalla scomparsa di Longhi, compagno di una vita. Inframmezzati ai romanzi, in ordine cronologico, sono collocati i racconti, tratti da raccolte che spesso già nel titolo dicono l'appartenenza alla "rivoluzione" femminile e il profondo interesse dell'autrice per le "epoche di profonda crisi".
Figlio di un idraulico scozzese, Rod Stewart nasce a Londra nel 1945. Dopo aver tentato diversi lavori, dal becchino al giocatore di calcio professionista, è la musica che cattura definitivamente il suo cuore. Rod esordisce all'inizio degli anni Sessanta, suonando nei club della scena R&B di Londra, fino a quando la sua voce roca e particolare giunge all'orecchio del mitico cantante Long John Baldry, che lo avvicina una notte mentre sta suonando alla stazione. A questo incontro fanno seguito periodi di collaborazione con gruppi pionieristici come gli Hoochie Coochie Man, gli Steampacket e i Jeff Beck Group, fino ai cinque anni turbolenti con i Faces, i cui eccessi a base di alcol, stanze d'albergo distrutte e groupies sono ormai entrati nella leggenda. In questa vita intensa e sregolata, Rod ha trovato il tempo di scrivere moltissime canzoni, tra cui capolavori come Maggie May, nel 1971, che lo impone come star, di iniziare una carriera da solista di grande successo, di vendere circa duecento milioni di dischi, di essere ammesso per ben due volte alla Hall of Fame e di tenere il più grande concerto di tutti i tempi. Non male, come dice lui, per uno con una rana in gola. E poi c'è la vita privata: matrimoni, divorzi e relazioni con alcune delle donne più belle del mondo - Bond girls, star del cinema e top model - e la terribile esperienza di un cancro alle corde vocali che ha rischiato di fargli perdere tutto.
"La buona cucina è un agente morale. Per buona cucina intendo la preparazione coscienziosa del semplice cibo quotidiano, non la più o meno talentuosa elaborazione di oziosi banchetti e piatti eccentrici. Il proposito di un libro di cucina è uno e inequivocabile. Il suo unico obiettivo concepibile non può essere che accrescere la felicità degli esseri umani." È sorprendente scoprire che l'autore di queste righe è Joseph Conrad, nella prefazione al libro di ricette pubblicato nel 1923 da sua moglie Jessie. "A capotavola" è intessuto di sorprese simili a questa: perché scruta attraverso la lente della passione gastronomica le vite di una galleria di personaggi straordinari - dalla A del copista arabo Muhammad Al-Baghdadi alla Y dello scrittore cinese Yuan Mei, passando per Pellegrino Artusi, André Michelin, Agatha Christie, Georges Simenon, fino ad Ave Ninchi, Elena di Sparta e Margherita di Savoia. Entrare a far parte del firmamento dell'alta cucina è oggi il sogno di tanti aspiranti "master chef". Ma le storie golose raccolte da Laura Grandi e Stefano Tettamanti ci rivelano come spesso a battezzare ricette, metodi di preparazione e "filosofie" gastronomiche siano stati personaggi che dietro ai fornelli non ci sono mai stati. "A capotavola" è una piccola enciclopedia illustrata - del tutto personale e cosparsa di quei buchi che rendono ottima una buona fetta di groviera - della storia della cucina e, insieme, del mutamento del gusto e del costume, non solo alimentare, attraverso il tempo.
"Ottima è l'acqua e l'oro come fuoco che avvampa rifulge nella notte più di ogni superba ricchezza." È l'apertura dell'"Olimpica I" "il più bello fra tutti i canti", come di essa scriveva Luciano sei secoli dopo la sua composizione. Un inizio solenne, nel quale regnano la trasparenza e il bagliore: quelli che più tardi si sarebbero riassunti nella parola claritas. E che subito riverberano nei versi successivi, nei quali splende l'astro fulgido del sole che arde "nell'etere deserto". A voler cantare gli agoni, sostiene Pindaro, si deve per forza scegliere i migliori, le Olimpiadi: che sono come l'acqua, l'oro, il fuoco, il sole, e che ebbero luogo in Grecia per oltre mille anni, dal 776 a.C. a quel 393 d.C. nel quale l'imperatore Teodosio e il vescovo Ambrogio li proibirono. Pindaro, oltreché delle "Pitiche", delle "Istmiche" e delle "Nemee", è anche - nell'immaginazione dei lettori e dei poeti dei due millenni e mezzo che da lui ci separano - il grande poeta, il poeta per eccellenza, delle "Olimpiche". Con esse, celebra di volta in volta la vittoria degli atleti nelle gare di Olimpia. Ma i suoi epinici sono famosi per la luce che li pervade, la velocità fulminea dei passaggi tematici (i celebri "voli pindarici") intercalati a brevi sentenze di saggezza, l'esaltazione degli ideali di eroismo e gloria, la descrizione incisiva dei fenomeni naturali. Commento a cura di Carmine Catenacci, Pietro Giannini e Liana Lomiento.
Petacco ricostruisce la storia dell'"emigrazione politica" dei comunisti italiani riparati in Unione Sovietica dopo l'avvento del fascismo: attraverso grandi e piccole vicende umane, tratteggia l'atmosfera irrespirabile del Club degli emigrati di Mosca, una sorta di dopolavoro dove le riunioni si erano trasformate in processi inquisitori. Rivela come le schede compilate e inviate dal PCI, in cui venivano elencati gli "errori" politici commessi e poi corretti, si fossero rivelate delle denunce che ponevano gli sventurati alla mercé degli inquisitori di Stalin. Descrive il clima ambiguo e inquietante del Lux, l'albergo dove alloggiavano i compagni "dirigenti" e dove l'acqua scorreva nei lavandini anche la notte per confondere le "cimici" nel caso qualcuno parlasse nel sonno. E, non ultimo, la misera sorte di tanti bambini i "figli del partito" -rimasti senza genitori e spediti negli istituti organizzati dal Comintern per forgiare gli "uomini nuovi". La vita di tanti italiani si concluse drammaticamente con la fucilazione o la deportazione nel gulag. Gli emigrati che chiesero l'"onore" della cittadinanza sovietica furono i più sfortunati, perché persero ogni diritto, mentre a coloro che rimasero italiani andò un po' meglio: qualcuno tornò a casa, sia pure a prezzo del silenzio.
Navigare è da sempre sinonimo di vivere e conoscere. Un'immagine che l'era informatica ha reso ancora più familiare e ricca di significati. Più che mai incerta, tuttavia, si è fatta la rotta per un'umanità spaesata che "naviga nel mare di Internet come un Ulisse che non ha, però, alle spalle nessuna Itaca e, quindi, non sa dove volgere la prua della nave per puntare a una meta". Ha ancora senso, allora, inseguire un approdo o bisogna rassegnarsi a procedere a vista? Gianfranco Ravasi ci propone un percorso di ricerca in cui una sapienza antica si confronta criticamente con i dubbi dell'uomo contemporaneo. Il tragitto si snoda, in un crescendo emotivo e spirituale, lungo la direttrice che collega tre grandi porti: la "città secolare", la moderna metropoli, vorticosa e disincantata, che ha relegato il sacro fuori dai suoi confini e nella quale anche Dio, se dovesse presentarsi sulla sua piazza principale, "al massimo verrebbe fermato come un estraneo a cui chiedere di esibire i documenti d'identità"; la "città dell'uomo", "affascinante e scintillante di luci" ma spesso "devastata dalle sue scelte storiche", un luogo dal forte valore simbolico, che può diventare segno e anticipazione dell'incontro col divino o inaridirsi nell'illusione di bastare a se stessa; e infine "la città di Dio", il traguardo ultimo della nostra peregrinazione, che si può abbracciare solo con lo sguardo della fede.
A Lullina piace moltissimo passeggiare con il nonno e ascoltarlo mentre racconta storie incredibili inventate apposta per lei. Ma un giorno il nonno si accorge che la sua picciliddra è distratta e pensierosa e quando le chiede cosa non va lei confessa: tutto dipende da un sogno, il più bizzarro e stravagante che abbia mai fatto. Un omino minuscolo, tutto vestito di giallo, le ha rivelato la formula magica per far scomparire le persone, e Lullina muore dalla voglia di fare una prova! Fi ri ri ri, borerò, parupazio, stonibò, qua non sto: appena le sette parole misteriose escono dalla sua bocca la bambina scompare. Prima incredulo e poi disperato, il nonno si mette a cercarla dappertutto, invano. Possibile che quelle sette parole mammalucchigne abbiano sprigionato una magia tanto potente? Provare per credere! In questa favola sorprendente, con tre possibili finali, il Maestro Andrea Camilleri celebra la fantasia e la curiosità dei bambini. Nelle smaglianti illustrazioni di Giulia Orecchia risplendono i colori di una Sicilia piena di fascino e magia. Età di lettura: da 7 anni.
Samuele Finzi e la sua famiglia vivono a Firenze, dove conducono una vita serena seguendo i precetti della tradizione ebraica. Nel giardino della loro casa c'è un vecchio olivo, nella cui cavità Sami ripone i suoi "tesori". Ma con l'entrata in vigore delle leggi antiebraiche la vita dei Finzi cambia per sempre: i genitori devono abbandonare il lavoro, Sami la scuola e gli amici, gli zii emigrano. Le persecuzioni si fanno più intense e scoppia la guerra Dopo l'8 settembre 1943 i Finzi entrano in clandestinità. Il figlio viene nascosto in collina presso i nonni dell'amica Francesca. I genitori vengono arrestati. I tesori di Sami rimangono nell'olivo... Seguendo le vicissitudini di Sami e della sua famiglia, basate su eventi storici realmente accaduti tra il 1938 e la fine della Seconda guerra mondiale, i bambini possono conoscere che cosa accadde agli ebrei in Italia in quel periodo. L'appendice storico-documentaria aiuta a comprendere il significato della Shoah. Età di lettura: da 6 anni.
La nuova edizione del Guinness World Records, completamente aggiornata e con più di 1000 nuove foto, contiene la possibilità di "far prendere vita" ai record con una app gratuita e immagini in 3D. Per il resto non c'è che da stupirsi incontrando le creature più velenose della terra, il più grande robot che cammina o avvicinandosi al più terrificante dinosauro carnivoro di tutti i tempi. Inoltre pagine in 3D con l'app gratuita.
Come è possibile dedicarsi seriamente alla ricerca spirituale continuando a vivere una vita attiva? Come si può conciliare il silenzio dell'interiorità con il frastuono dell'azione? Dove è l'equilibrio tra l'anelito alla semplificazione e l'imperiosa richiesta di creare del reddito? Qual è la strada per rinunciare all'ego, senza per questo rinunciare all'Essere? Decidere di assumere la direzione di un'azienda è una scelta compatibile con la pratica della meditazione? Niccolò Branca sostiene che queste domande hanno una risposta concreta e a portata di mano: la soluzione è paradossale, fondere gli opposti dell'equazione mediante lo sviluppo della coscienza e dell'autoconsapevolezza. In "Per fare un manager ci vuole un fiore", Niccolò Branca ha il coraggio di sfidare il dogma occidentale del profitto infinito, senza sostituirlo con altri obiettivi utopici di tipo spirituale. In una società complessa come la nostra la sfida sta proprio nel riuscire ad applicare la consapevolezza, sviluppata grazie alla meditazione, per creare sì profitto ma un profitto che abbia come suo fondamento e corollario la felicità e il miglioramento delle condizioni di vita di tutte le persone coinvolte nel processo produttivo. Un libro che ha il coraggio di essere dissonante e al tempo stesso convincente. Un libro pieno di passione e di conoscenza, capace di far credere che un mondo migliore sia possibile a partire dalle nostre scelte quotidiane.