La Storia ha assegnato ad alcuni personaggi il compito, affascinante, crudele e immane, di liquidare o di scuotere dalle fondamenta costruzioni storiche secolari, possenti ideologie, imperi e regni che avevano quasi assorbito il mondo. Un compito tragico nel senso classico del termine: perché la maggioranza tra gli Ultimi si è caricata sulla schiena questo peso essendone pienamente consapevole. Tutti erano in qualche modo certi che, comunque avessero assolto l'impegno, sarebbero rimasti nella Storia con il marchio degli infami, dei vinti, di notai miserabili di una eredità dilapidata, di traditori di fedi che dovevano essere incrollabili. Non c'è riconoscenza per gli Ultimi che sono sempre dei vinti agli occhi dei posteri. Eppure il Mondo Nuovo, che sorge sulle ceneri del Vecchio, spesso è opera loro. Tanti i casi e le storie esemplari: da Dario, il fragile, umanissimo, disperato rivale di Alessandro, a Gorbaciov, tormentato e malaccorto affossatore dell'Impero rosso di Lenin e di Stalin; da Atahualpa, ultimo inca paralizzato dai presagi della fine a Pu Yi, che nacque imperatore nella città proibita e finì guardia rossa; da Romolo Augustolo, l'imperatore per conto di un padre che non voleva la porpora pur avendo il potere, a Benedetto XVI che scoprì all'improvviso che non si può guarire neppure la chiesa dall'ingiustizia e dalla stupida ferocia degli uomini.
Beit Safafa è il quartiere più ricco di Gerusalemme est. Prediletto dagli arabi israeliani provenienti dal nord, il quartiere ha prezzi di case, carne e altri generi di prima necessità così alti che nelle panetterie vi sono due tariffari, uno per i locali e un altro per gli immigrati. A Beit Safafa vive l'avvocato protagonista di queste pagine, un giovane procuratore con una promettente carriera da principe del foro gerosolimitano davanti a sé. Vive in una villetta, due piani con salotto spazioso, cucina ultramoderna e due ampie stanze da letto. E ogni giorno raggiunge il centro a bordo della sua elegante Mercedes nera. Insomma, l'avvocato è, come si usa dire, un uomo che ne ha fatta di strada, un bravo ragazzo che ha di certo realizzato il sogno di sua madre, comune a tutte le madri arabe in Israele: avere un figlio medico o avvocato di successo. Tuttavia, ha anche un cruccio che l'affligge non poco. Si vergogna delle sue lacune in fatto di musica, letteratura, teatro e cinema. Lacune rilevanti, visto che suoi colleghi israeliani parlano disinvoltamente di tali argomenti. Perciò, di tanto in tanto fa una capatina in una vecchia libreria a dare una sbirciata ai titoli di narrativa raccomandati da Ha'aretz, il giornale cui è opportunamente abbonato. Un giorno, nel settore dei libri usati della libreria, scopre, e decide di comprare all'istante, una copia gualcita di "Sonata a Kreutzer", celebre racconto di Tolstoj, che sua moglie gli ha una volta stranamente menzionato...
È il 1850 quando Honor e Grace Bright si imbarcano sull'Adventurer, un grande veliero in partenza dal porto inglese di Bristol per l'America. L'aria smarrita di chi non è avvezza ai viaggi, il bel volto offuscato dal mal di mare, Honor Bright sa che non rivedrà mai più Bridport, il paese in cui è nata, nell'istante in cui la nave si allontana dalle verdi colline del Dorset. Troppo grande è il mare e troppo lontano è Faithwell, il villaggio dell'Ohio in cui Adam Cox, un uomo anziano e piuttosto noioso, attende sua sorella per prenderla in sposa. L'irrequieta Grace ha allacciato una corrispondenza epistolare con lui, culminata poi con la proposta di matrimonio, con l'intento di lasciarsi alle spalle l'angusta vita della piccola comunità di quaccheri in cui è cresciuta e abbracciare così nuove avventure. Honor Bright non condivide lo spirito temerario di Grace, ma Samuel, il suo promesso sposo, ha rotto il fidanzamento e la prospettiva di vivere in mezzo all'altrui compassione l'ha spinta a seguire la sorella al di là del mare. Una volta giunte in Ohio, tuttavia, a un passo da Faithwell, Grace si ammala di febbre gialla e, tra le misere mura di un albergo, muore. Honor Bright si ritrova così sola in una nazione enorme ed estranea, divisa da un immenso oceano dall'amato Dorset. Non le resta perciò che Adam Cox come unica ancora di salvezza. A Faithwell, tuttavia, viene accolta con freddezza dall'uomo e dalla cognata vedova.
Il 6 marzo 1664 Elsje Christiaens, giovane e bella diciottenne, dolce di carattere e del tutto ignara del corso del mondo, lascia le fredde terre danesi dello Jutland e si imbarca sulla Dorothe, un veliero diretto ad Amsterdam. Il 3 maggio 1664 la ragazza viene giustiziata in piazza Dam mediante strangolamento, e il suo corpo messo in mostra sulla forca di Volewijck per essere divorato dal vento e dagli uccelli nel corso delle stagioni. Come sovente accade, la sua triste sorte avviene per un mero capriccio del destino. Una volta ad Amsterdam, la ragazza trova rifugio in un'ambigua locanda dove alle ragazze ospiti è chiesto spesso di pagare in natura intrattenendosi con i clienti. Dopo il suo ostinato rifiuto a cedere alle avances di un cliente, la locandiera le intima un giorno di saldare il conto - un misero tallero, non di più - senza proroghe, e la colpisce con una scopa. Elsje Christiaens sente divampare dentro di sé un'improvvisa, inarrestabile violenza e poi la perfetta calma con cui si annuncia sempre qualcosa di terribile. Sventura vuole che scorga un'accetta su una sedia e che con quella colpisca, ripetutamente, la locandiera. Il caso di Elsje Christiaens, assassina per un tallero, sarebbe consegnato irrimediabilmente all'oblio del tempo, se un grande pittore non avesse deciso di recarsi a Volewijck, e non avesse immortalato su una pergamena la sfortunata ragazza danese...
Questo libro presenta la ricostruzione - resa possibile dai manoscritti benjaminiani ritrovati da Giorgio Agamben nel 1981 nella Biblioteca nazionale di Parigi - del libro su Baudelaire cui Benjamin aveva lavorato negli ultimi due anni della sua vita, quando, interrompendo la stesura dei "Passages di Parigi", decide di trasformare in un'opera autonoma quello che all'inizio si presentava come un capitolo del libro. Attraverso un paziente lavoro di edizione e di montaggio, che alterna testi inediti ad altri già noti (che trovano solo ora la loro collocazione e il loro senso nell'opera complessiva), il libro permette di seguire la genesi e lo sviluppo, nelle varie fasi della sua stesura, del work in progress che costituisce la summa della tarda produzione benjaminiana. Mentre del libro su Parigi noi abbiamo poco più che lo schedario, "Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell'età del capitalismo avanzato" offre un'immagine articolata e coerente, anche se frammentaria, del laboratorio benjaminiano e del suo metodo compositivo. Sfatando la leggenda di un autore esoterico, il libro ci presenta, nel suo stesso farsi, il modello di una scrittura materialista, in cui non soltanto la teoria illumina i processi materiali della creazione, ma anche questi ultimi gettano una nuova luce sulla teoria.
"Questo libro parla soprattutto dell'esperienza umana": avverte Max Hastings nell'introduzione a questa imponente storia della Seconda guerra mondiale. L'esperienza, innanzi tutto, di milioni di individui, soldati in prima linea o civili che fossero, schiacciati dalla necessità di sopravvivere nel mondo devastato dalla violenza e dall'orrore. Attraverso una miriade di microstorie estrapolate dai più diversi scenari del mondo in guerra, e costellate di aneddoti e testimonianze pregnanti, Hastings ricostruisce il teatro di un "inferno" globale che non risparmiò alcun angolo del pianeta. Nel ripercorrere la Storia che va dall'invasione della Polonia alle atomiche su Hiroshima e Nagasaki, il libro elabora un quadro diverso, completo sul piano geografico considera per esempio i teatri di guerra di India e Cina, troppo spesso trascurati - e, per molti versi, sorprendente su quello statistico, con numeri che fanno pensare, come i circa trecentomila soldati russi uccisi dai propri comandanti - più del totale dei soldati inglesi uccisi per mano nemica durante l'intera guerra - o i quindici milioni di morti in Cina. Infine l'analisi storica propone interrogativi di non poco conto dal punto di vista storico. Quali strategie, quali fronti, quali divisioni, quali resistenze di massa hanno determinato l'esito storico del conflitto? Quale reale incisività hanno avuto gli USA e la Gran Bretagna? A chi, dati alla mano, è più giusto attribuire il merito di aver sconfitto Hitler e il nazismo?
In un freddo mattino autunnale senza nuvole, la settimana prima del Ringraziamento, davanti a Julia Win si spalanca un abisso oscuro. Ode una voce, chiara e inequivocabile, dentro di lei. La voce roca, profonda e severa di una donna che non allude, non pretende di essere interpretata, ma pone domande dirette - Perché sei sola? - come se sapesse che, dietro la sua brillante maschera di avvocato di successo di Simon & Koons, uno dei più prestigiosi studi legali newyorchesi, si cela l'infelicità di una donna disillusa dall'amore e dalla vita. Le mani sulle orecchie, come a scacciare un ronzio fastidioso, Julia tenta di tutto perché la quiete torni nella sua testa. Si fa visitare dal dottor Erikson per scongiurare una qualche forma di schizofrenia, si accosta alla meditazione in compagnia di Amy, l'amica del cuore buddista, ma invano. La voce non sparisce; continua, anzi, imperterrita a porre domande imbarazzanti: Perché nascondi ancora una volta la verità? Nello stesso freddo giorno autunnale, Julia riceve una lettera di U Ba, il fratellastro che vive a Kalaw, in Birmania, e che dieci anni prima, in una malandata e meravigliosa casa da tè, gli ha svelato l'incredibile storia di Tin Win, il loro padre che, da giovane, aveva scoperto che ogni cuore risuona in modo diverso e che si innamorò di Mi Mi perché non aveva mai sentito prima un suono più bello del battito del suo cuore...
Due poeti si scambiano versi di notte sul Tevere: sono Pier Paolo Pasolini e Sandro Penna. Una donna bellissima e coraggiosa, fra molti amori e lotte per il potere, si batte per imporre l'arte astratta: è Palma Bucarelli. Uno scrittore giovane e già carismatico fa la spola fra Torino e la capitale per amore: è Italo Calvino. Un artista prestigioso e chiacchierato conquista la città con una mostra sensazionale: è Picasso. Una scrittrice cerca casa nel centro di Roma bisticciando con il marito: è Natalia Ginzburg. Un giovane americano scribacchia pettegolezzi sui giornali per pagarsi la casa in via Margutta: è Truman Capote. Pittori leggendari si arrabbiano in continuazione con le generazioni più giovani: sono Giorgio De Chirico e Renato Guttuso. Un marito e una moglie romanzieri litigano furiosamente in pubblico, ma forse si adorano: sono Elsa Morante e Alberto Moravia. Una grande poetessa austriaca e un importante autore svizzero si amano e si dicono addio in un Caffè di via del Babuino: sono Ingeborg Bachmann e Max Frisch. Un'icona della musica pop e un artista maledetto hanno un affair travolgente, ma lei lo lascia per tornare dal suo infedele innamorato: sono Marianne Faithfull, Mario Schifano e Mick Jagger. Un regista di fama internazionale e il suo più celebre sceneggiatore, che è anche uno scrittore meraviglioso, intrecciano, rompono, ricompongono una turbinosa collaborazione: sono Federico Fellini e Ennio Flaiano.
Tra fatti della vita e clamorose dispute letterarie e artistiche, nascita e morte di vivaci testate giornalistiche, l'irripetibile stagione che vide i protagonisti della scena culturale romana al centro di un interesse mondiale, dalla povertà estrema dei primi anni '50, al furore della Neovanguardia, ai ribaltamenti del Sessantotto fino alla decadenza dei primi '70, rivive in un colorato affresco per celebrare un recente eppure lontanissimo passato. Dalla ritrosia di Burri alle nevrosi di Carlo Emilio Gadda, dai sadici scherzi di Goffredo Parise alle scazzottate di Consagra, dalle perfidie di Anna Magnani al nuovo gusto camp di Alberto Arbasino, la città della Dolce Vita incontra la sua leggenda in un racconto fastoso e pervaso di ironia. A condurre per mano il lettore, fra via Veneto e piazza del Popolo, da una galleria d'arte a un set cinematografico a una libreria è una ragazza trasteverina, che si chiama Ninetta - come il Ninetto Davoli che ha svolazzato leggero in tanti film e versi di Pasolini - e che traghetterà il suo desiderio di diventare scrittrice da quell'epoca di grandi alla "nuova preistoria" contemporanea.
È il 1935 quando Lev incontra Svetlana per la prima volta nel cortile dell'università di Mosca. Snella, con folti capelli castani, gli zigomi sporgenti e occhi azzurri dallo sguardo intelligente e malinconico, Svetlana è una delle poche donne che nel settembre del 1935 si è guadagnata assieme a Lev e a trenta altri uomini l'ammissione alla facoltà, la migliore per la fisica di tutta l'Unione Sovietica. Durante i primi anni di università, Lev la chiama Sveta, va a sedersi accanto a lei alle lezioni, a mangiare con lei in mensa, a incontrarla al club studentesco, ad aspettarla alla fine delle lezioni. Poi la riaccompagna a casa, dove legge con lei la Achmatova e Blok, i suoi poeti preferiti. Impossibile per Sveta non innamorarsi di quel ragazzo dal volto cortese e gentile, con dolci occhi azzurri e la bocca carnosa, come quella di una ragazza. Impossibile anche non essere orgogliosa di lui, quando nel 1940 Lev diventa assistente del prestigioso Istituto di Fisica Lebedev. La Storia, tuttavia, con i suoi tragici eventi è in agguato. Nel 1941 l'esercito tedesco attacca la Russia, cogliendo completamente di sorpresa le forze sovietiche. Arruolatosi volontario, Lev va incontro a un'odissea in cui tutta la sua vita sembra tragicamente naufragare. Opera basata su una storia vera ricostruita attraverso le lettere rinvenute da Figes negli archivi del KGB, "Qualcosa di più dell'amore" è il racconto di un amore vero, che ha saputo resistere al tempo, all'ingiustizia e alla crudeltà della Storia.
Costantinopoli, 1531. Elie, un bambino ebreo di undici anni, si aggira per il bazar al seguito di Arsinée, la donna che l'ha fatto uscire dal ventre di sua madre, e di suo padre Sami. Al bazar, tutti lo conoscono come un monello capace di ritrarre chiunque in pochi secondi. Quando può, Elie fugge via dal bazar. Verso la bottega di Djelal, il danzatore sufi che crea gli inchiostri più belli di tutta Costantinopoli. Ad affascinare Elie sono, tuttavia, i suoi inchiostri - azzurri, cremisi, verdi - che gli permettono di esprimere il talento in cui sembra meravigliosamente eccellere: il disegno. L'infanzia di Elie in terra turca finisce il giorno in cui la morte si porta via Sami. In cambio di un ritratto fatto al capitano del Tizzone, una maestosa nave ancorata al porto, Elie si imbarca per Venezia, non prima di ribattezzarsi Ilias Troyanos, greco di Costantinopoli. A Venezia uno strabiliante destino lo attende. Ilias Troyanos diventa il Turchetto, il più grande di tutti i pittori della città. Uno strabiliante destino che si capovolge, tuttavia, nel suo opposto, in una sorte maligna, il giorno in cui la modella prediletta del Turchetto, Rachel, una bellissima ragazza ebrea dagli occhi incredibilmente verdi e dalla bocca perfetta, viene orribilmente assassinata e gettata in un canale da tre malviventi mascherati come a Carnevale e reduci da una notte di bagordi.