I Salmi biblici mettono a confronto con un mondo intriso di ostilità e violenza. Gli uomini e le donne che pregano gridano la loro angoscia di fronte a nemici dai molti volti e soprattutto di fronte al loro Dio. Accusano Dio come nemico che li sgomenta e li tormenta, e con i Salmi lottano contro la propria angoscia e contro gli stereotipi del nemico che ne conseguono, mostrando in tal modo che i Salmi sono anche un mezzo con il quale privare gli stereotipi del nemico della loro distruttività per trasformarli in forza costruttiva.
Questa è la tesi del quarto volume con cui il commento di Erich Zenger al libro biblico dei Salmi giunge a conclusione. I salmi del nemico affrontano la violenza subita e temuta, parlano di un Dio che è «Dio di vendetta» e a questo Dio rivolgono lamenti, richieste e desideri. Se per molti cristiani sono un enigma e un oltraggio, in realtà sono un aiuto a non disperare e a non crollare nel mondo di violenza in cui si vive.
I testi raccolti, tradotti e commentati da Marco Settembrini danno un’idea della vita dei Giudei in Egitto fra il III e il II sec. a.C. Vi si parla di cittadini ricchi e poveri, indebitati e creditori, mercanti di schiavi e prigionieri, sottoposti ai tributi dello stato e impegnati nella bonifica di terre, in qualche modo fedeli ai precetti della torah e al tempo stesso assimilati alla cultura dell’Egitto, il paese in cui sono nati. Formati al ginnasio e alla scuola di Mosè, i loro scribi si mostrano attenti alle richieste della corte di Alessandria e fedeli al Signore dei padri. Traducendo in greco gli oracoli di Isaia, questi scribi osservano come rimproveri e promesse risalenti a tempi e luoghi remoti parlino della loro epoca, dove si prevarica e ci si vincola a contratti capestro, e al tempo stesso si è pressati dalla necessità di liberare chi è indebitato, di riaccogliere chi è fuggito, di risanare terre abbandonate a causa di insurrezioni e devastazioni.
La chiesa di Palestina e di Gerusalemme – il luogo, poi chiamato «terra santa», in cui Cristo patì, morì e risorse –, come pure la chiesa di Antiochia – dove per la prima volta si parlò di «cristiani» –, sono le regioni originarie della fede ecclesiale in Gesù il Cristo. Dalla comunità gerosolimitana la predicazione cristiana si propagò nella «mezzaluna fertile» e per vie disparate raggiunse le regioni della Mesopotamia, della Persia e del Caucaso.
Nel periodo che separa il concilio di Calcedonia e la fine del VI secolo, prima dell’esplosione islamica, in quelle regioni si formarono chiese con gerarchie autonome, ed è questo il tempo in cui fattori di natura gerarchica iniziano a entrare nel panorama delle chiese locali, creando quell’immagine nebulosa che ancor oggi caratterizza il cristianesimo nel Medio Oriente.
Questo nuovo tomo della grande cristologia del card. Alois Grillmeier – dovuto alle cure di Theresia Hainthaler – mira a inquadrare gli sviluppi della dottrina cristologica in un’area variegata e complessa che si distinse per i grandi centri di studio e le figure di pensatori eminenti. Come nei tomi già pubblicati, ricchissimi indici – lessicali, onomastici e analitici – facilitano un uso altamente proficuo di un’opera senza precedenti.
Il commento di Adela Yarbro Collins al vangelo di Marco - in fin originale edito nel prestigioso commentario critico e storico «Hermeneia» - si distingue per la ricca documentazione sia giudaica sia ellenistica addotta a illustrazione del testo neotestamentario, riportata sia nella lingua originale sia in traduzione. Frutto di anni di studi e di ricerche dedicate al testo, alla lingua, al contesto e al pubblico del Vangelo di Marco, l'opera si articola in pericopi commentate anzitutto sotto l'aspetto della trasmissione del testo, a giustificazione delle varianti adottate o respinte, indi in un'ottica precipuamente letteraria e morfologica e infine sotto il profilo esegetico. Il lettore viene in tal modo a trovarsi costantemente in grado di valutare e seguire autonomamente l'argomentazione e l'esegesi sviluppate dall'autrice, e così di addentrarsi in tutta la profondità del testo che ha inaugurato il genere letterario del vangelo. Il primo terzo del primo volume è dedicato alla bibliografia generale e alle questioni introduttorie usuali, con particolare attenzione per l'interpretazione che nel Vangelo di Marco si tornisce della figura di Gesù. In questo volume il commento giunge fino al cap. 8,2.6 ed è utilmente integrato da quattro excursus. Il secondo e ultimo volume conterrà anche gli indici parziali dell'opera intera.
Con il XVI secolo l'ebraismo viene a far parte integrante della costruzione della cultura europea, concorrendo a far valere nel discorso pubblico tutto un filone di idee e di saperi fino ad allora lasciato ai margini. Ciò fu reso possibile non soltanto dalla rifioritura degli studi filologici nell'ambito della ricerca biblica e alla loro importanza nei movimenti di riforma del cristianesimo, ma anche dalle profonde trasformazioni culturali avvenute nell'Italia del XV secolo con la riscoperta dei Padri greci, di Platone, del Corpus Hermeticum. In questo scenario Marsilio Ficino ebbe a svolgere un ruolo di primo piano nella diffusione dell'interesse per la tradizione ebraica, legandola strettamente alla sua idea di rinnovamento religioso. Lo studio di Guido Bartolucci ricostruisce i diversi passaggi attraverso i quali il filosofo fiorentino scoprì l'ebraismo e mostra come grazie all'incontro con intellettuali ebrei che condividevano le stesse aspirazioni filosofiche e religiose egli poté avere accesso a conoscenze precluse ai contemporanei. L'opera e la riflessione di Marsilio Ficino esercitarono un'influenza determinante su più di un protagonista della riscoperta della tradizione ebraica nell'Europa cristiana - ad esempio Giovanni Pico della Mirandola, Johannes Reuchlin, Francesco Zorzi - e contribuiscono a comprendere meglio la funzione che questo patrimonio culturale ebbe in un periodo di profonda crisi delle istituzioni politiche e religiose.
I nove libri pervenuti del "Commento a Giovanni" di Origene commentano il prologo, il battesimo di Gesù al Giordano, la cacciata dei mercanti dal tempio, la controversia con i giudei e la profezia di Caifa, la lavanda dei piedi, la preghiera di Gesù al Padre. Inizialmente sollecitato dalla polemica con Eracleone gnostico, Origene si confronta direttamente con il testo di Giovanni fino a lasciarsi prendere esclusivamente da questo. Il piano speculativo proprio del Commento lascia intravvedere il contesto scolastico dell'elaborazione, del procedimento ipotetico, della genesi del pensiero. D'altra parte la differenza dei luoghi, dei tempi, degli interlocutori all'origine dello scritto esalta la continuità di una tensione di ricerca che mai si allenta. Lo studio segue lo svolgimento dell'esegesi origeniana e su questa via per così dire sistematica rinviene la profondità del disegno dell'opera, che ha il suo centro nell'intersezione di pensiero cristologico e pensiero trinitario.
L'opera di John Barton è uno studio del pensiero etico nell'Israele antico fra l'VIII e il II secolo a.C. La documentazione alla base della ricerca è costituita primariamente dalla Bibbia ebraica e dalla letteratura giudaica di età ellenistica sia rabbinica sia di lingua greca come anche dagli scritti di Qumran. Se nei lavori dedicati alla storia dell'etica la Bibbia di solito non compare, Barton mostra al contrario come nella letteratura espressa da Israele si possano incontrare stili diversi di pensiero etico e come il pensiero razionale sia molto più frequente di quanto perlopiù si pensi. Non è azzardato affermare che il divario fra il pensiero israelitico antico e la filosofia antica non è tanto profondo come solitamente si suppone. Dallo studio di Barton emerge come le fonti rivelino un pensiero profondo e articolato riguardo a questioni di etica, uno stile di pensiero che ancor oggi è stimolante e che regge il confronto con le concezioni dell'antichità classica e dei tempi moderni.
Il commentario di uno dei massimi esperti giovannei Un commentario esegetico e pastorale Commento sequenza per sequenza, traduzione e analisi
L'apporto di James Dunn alla ricerca biblica difficilmente potrebbe essere sovrastimato, in particolare per il contributo da lui fornito alla liberazione della chiesa e delle chiese da una concezione del vangelo predicato da Paolo inteso in chiave eminentemente antigiudaica. Questa nuova opera, rivolta a un pubblico più generale, tratta dell'autorità della Scrittura come parola viva, la parola di Dio come veniva ascoltata nel cristianesimo delle origini e la parola di cui si nutre oggi il credente mosso dalla fede. Dunn mostra come «fede» partecipi del linguaggio della relazione e come sue compagne siano la fiducia, il convincimento, la rassicurazione - pur nell'incertezza. In un contesto simile l'autorità della Scrittura non è da intendersi nel senso che «ciò che la Bibbia dice, lo dice Dio», come vorrebbe un'idea di inerranza che poco ha a che vedere con la Scrittura stessa, ma che per essere compresi in modo adeguato gli scritti biblici richiedono d'essere di volta in volta riferiti alla situazione storica originaria così come a quella di chi oggi li legge.