Narrate ai grandi perché le ripetano ai bambini, come recita il sottotitolo, le "Storie del buon Dio" furono scritte tra il 10 e il 21 novembre 1899 e pubblicate l'anno successivo in occasione del Natale. Opera singolare nella produzione del grande poeta praghese, ma anche opera 'centrale' nella sua evoluzione, le Storie furono la prima delle sue opere in prosa che Rilke non volle disconoscere. "Il Dio delle Storie" scrive Sabrina Mori Carmignani nella prefazione" è un dio cercato, atteso, smarrito, persino dimenticato e mai posseduto", un dio che "vede, scruta, osserva, prova immensa nostalgia, ma tra lui e l'uomo tornano a frapporsi immagini di una lontananza, o di un dissidio, che lo costringe a ritrarsi sempre più nei suoi cicli". Ma non è mai vera 'assenza', tutt'altro; questo buon Dio resta insieme protagonista e 'sfondo' delle Storie: un protagonista molto discreto ma insostituibile, che sembra non comparire se non come motivazione ultima del narrare; e invece 'sfondo' onnipresente, perché la purezza di ascolto dei bambini sente quella presenza, come uno sguardo innocente e nuovo che sa ancora cogliere la freschezza del mondo e della vita.
Autobiografia che va dal 1913 al 1940, il libro ripercorre la vita familiare e sociale di una famiglia dell'alta borghesia che con la Grande Guerra e la caduta dell'impero Ottomano perde i privilegi economici e sociali della propria posizione sino a ridursi in uno stato di estrema povertà, e sino alla sua faticosa risalita verso un accettabile tenore di vita. Protagonisti di questo racconto, oltre alla famiglia dello scrittore, sono la stessa Istanbul e tutta la variegata società di notabili, piccoli borghesi e popolani che la abitano, così che il libro presenta vari piani di lettura che vanno dalla vicenda privata del protagonista alla cultura e ai costumi di un paese che è sempre stato un ponte tra Oriente e Occidente in un periodo cruciale della sua storia: dalla caduta del Sultano e dell'impero Ottomano alla rivoluzione di Kemal Ataturk.
La vita di Garibaldi nel resoconto dei protagonisti. Una biografia a più voci raccolte dallo storico inglese Denis Mack Smith.
Per molto tempo ci si chiese chi fosse nella realtà la fortunata destinataria di alcuni dei versi d'amore più celebri di Neruda, e in particolare di quelle Venti poesie d'amore e una canzone disperata che restano fra le pietre miliari della sua produzione poetica. Il mistero si svelò soltanto nel 1975, quando Albertina Rosa Azócar Soto, da Neruda conosciuta ai tempi dei comuni studi giovanili nel Pedagógico di Santiago, decise di pubblicare le lettere ricevute dal poeta, scomparso soltanto due anni prima. Queste lettere dunque ricostruiscono il burrascoso legame fra i due giovani innamorati, e, come scrive Giuseppe Bellini nella prefazione, ci mostrano "il forte sentimento del poeta, privo di smagliature, certo non soddisfatto per la mancanza di adeguata corrispondenza epistolare, di fronte all'urgenza delle sue missive". Le lettere coprono un arco cronologico di oltre un decennio; l'ultima, del luglio 1932, è successiva ormai di due anni al matrimonio del poeta con la giavanese, di origine olandese, Maria Antonieta Agenaar Vogelzanz. Quattro anni più tardi, Albertina sposerà a sua volta il poeta Angel Cruchaga Santa Maria, peraltro amico intimo di Neruda. Le strade dei due si dividono per sempre; restano, a testimonianza e documento di quel grande amore giovanile, queste lettere, e soprattutto, alcune delle più belle poesie d'amore del Novecento.
Se è vero, come scrive Gaetano Chiappini nella prefazione a questo volume, che "tutta la poesia di Federico Garda Lorca è poesia d'amore, dentro l'amore, sull'amore, per l'amore", è anche vero che è possibile, nell'ambito della sua ricca produzione poetica, scegliere e riunire quelle liriche nelle quali il tema amoroso appare in tutta la sua evidenza e, insieme, viene esemplificato in ogni suo risvolto umano e poetico. Il risultato è quello di un vero e proprio canzoniere amoroso, uno dei grandi canzonieri amorosi del Novecento, e, insieme, una nuova chiave di lettura che ci permette di penetrare in profondità nel mondo poetico del grande poeta spagnolo; un mondo complesso e affascinante, dove l'amore è la verità, la speranza, il bene, ma anche il male della vita. Poesia dell'amore, dunque, ma anche del disamore, che qui si offre ai lettori nella scelta e traduzione di Valerio Nardoni.
"Troverò ben io il modo di farvi attoniti, o stolti; dovrete ripetere in perpetuo il mio nome. Se per oneste imprese mi ricusaste la fama, vi sforzerò darmela per sempre con una trista". Così Alessandro Verri faceva parlare il povero Erostrato, che nel 356 avanti Cristo appiccò le fiamme al tempio di Artemide a Efeso, nel tentativo di immortalare - con la distruzione di una delle sette meraviglie del mondo - il proprio oscuro nome. E con il nome di Erostrato per titolo, appunto, Fernando Pessoa compone un saggio per cercare di definire ciò che non gli riuscì mai in vita: la celebrità. Lui - e i suoi innumerevoli eteronimi - scrittore e poeta assolutamente 'postumo', destinato alla notorietà solo molti anni dopo la sua morte, creatore di miti, lui, che sognava il Premio Nobel e il Quinto Impero, cercherà con questo testo squisitamente letterario - in compagnia di Carlyle e Browne, di Milton e Shakespeare - di sistematizzare e di dare una logica a quell'impalpabile e bizzarro fenomeno che si chiama Fama.
Autunno 1943: dopo la disfatta di Stalingrado, Hitler sa che la guerra è oramai perduta, e sa anche che l'imminente Conferenza di Teheran tra gli Alleati si occuperà di stabilire le condizioni della inevitabile resa del Reich nazista. Rendendosi conto che la resa incondizionata chiesta da Roosevelt sarebbe una rovina per la Germania, Hitler ha lanciato dei segnali di pace, cosa che a sua insaputa ha fatto anche Himmler, pronto a tentare persino un colpo di stato che sostituisca Hitler pur di raggiungere un accordo. Roosevelt e Stalin sono pronti a negoziare. Solo Churchill si rifiuta. In breve, a Teheran la tensione raggiunge il massimo grado, e la città, tra il tentativo di un colpo di mano tedesco e i contrasti tra gli Alleati, diviene il palcoscenico di una rappresentazione pericolosa i cui termini sono di un'importanza cruciale per il futuro del mondo. Al centro di questo gioco di specchi sta il protagonista Willard Mayer, filosofo di Harvard, aggregato al Controspionaggio americano come esperto della Germania, che Roosevelt sceglie come suo collaboratore. Intellettuale fascinoso e vitale, ma con un passato da nascondere, Mayer è il personaggio perfetto per quel mondo di menzogne, tradimenti e delitti che si dispiega davanti ai suoi occhi. Con questo libro Kerr torna alla fonte di ispirazione che sta alla base della sua 'Trilogia berlinese': gli anni della Seconda Guerra Mondiale e il thriller storico nel quale convivono personaggi reali e di invenzione.
Dopo le poesie scritte negli anni dal 1921 al 1933, raccolte in volume in questa stessa collana, con questo secondo volume si completa l'Antologia personale di Nina Berberova (San Pietroburgo 1901 - Philadelphia 1993), famosa in tutto il mondo come narratrice e saggista, ma la cui produzione poetica è stata per lungo tempo ignorata. La sua poesia è invece di alta qualità, e forse è rimasta così a lungo sconosciuta anche perché è stato solo dopo il grande e forse ormai insperato successo ottenuto negli ultimi anni di vita che la scrittrice russa ha deciso di raccogliere ciò che considerava il meglio della sua produzione poetica, in vista di una pubblicazione, in lingua russa, apparsa negli Stati Uniti nel 1984.
Il mito di Orfeo è da epoche lontane il mito stesso della poesia, ed evoca, come afferma nella prefazione Sabrina Mori Carmignani, "la soglia che separa vita e morte, prossimità e lontananza, luce e ombra, perdita e possesso, ma soprattutto significato e suono". È questo il senso che emerge dal ciclo dei cinquantacinque sonetti scritti da Rainer Maria Rilke tra il 2 e il 23 febbraio 1922, negli stessi giorni in cui, dopo lunghi anni di attesa, anche l'opera "maggiore" - le Elegie Duinesi - trovava il suo definitivo compimento.
Questa raccolta di brevi prose del grande narratore russo Aleksandr Solzenicyn si compone di due periodi molto distanti fra loro, gli anni 1958-60 - quando parecchie di esse furono scritte durante un giro in bicicletta dello scrittore attraverso la Russia centrale - e gli anni 1996-99, quando Solzenicyn, appena tornato in patria, si sente pronto per riprendere a scrivere. E il fascino di queste riflessioni lirico-filosofiche sta proprio nella loro immediatezza, nel tocco leggero della scrittura di Solzenicyn, che inquadra e ritrae luoghi, cose, persone del suo tanto amato paese.