La vicenda inizia un pomeriggio di settembre del 1285 nei pressi di Fròsini, a una ventina di miglia da Siena: due agostiniani soccorrono il giovane Berretta, un giullare che si guadagna da vivere andando di castello in castello a intrattenere con canti e storie di paladini le corti signorili di Maremma, malmenato e derubato dai mercanti di strada. I frati lo portano con loro a Prata dove, durante una cena nella sala del palazzo, alla luce delle torce, Berretta conosce la splendida consorte del signore del luogo, la giovanissima Pia di Ranuccio Malavolti. Per conquistarla il bel giullare abbraccerà il mestiere delle armi, in un turbine di intrighi e avventure che hanno come sfondo la turbolenta storia toscana del Duecento. La storia è emersa da un misterioso fascicolo, ritrovato dallo stesso Mario Sica all'interno di un codice riferito all'ambito cistercense di San Galgano e custodito nella Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena. Costituito da una ventina di pagine scritte recto e verso, il fascicolo è redatto in volgare in una minuta e confusa scrittura trecentesca e reca il titolo Ricordanze di Placido Abbate Sancti Galgani da me Messer Ranieri ricolte ad utile consiglio de' giovani. Una storia vera dunque, che l'autore dichiara di aver solo tradotto nell'italiano odierno e romanzato. Una storia che permetterà finalmente di penetrare il mistero della Pia de' Tolomei: figura evanescente nel poema dantesco, qui personaggio storico a tutti gli effetti.
Sessantadue "figurini" di monaci, conservati nel Museo Diocesano di Santo Stefano al Ponte di Firenze, ci conducono nell'affascinante e misterioso mondo degli ordini religiosi. Le normative dei vari Istituti avvertivano (ricordiamo l'antichissimo detto) che l'abito non fa il monaco, ma gli attribuivano anche l'importante compito di specificare chi si era e quale ruolo si ricopriva. In alcuni periodi l'abito assunse un valore che superava la funzione pratica: alcuni ordini lo imponevano anche di notte, altri non permettevano di toglierlo nemmeno durante gravi malattie. Scrive nel 1705 Clemente Pistelli a proposito del fondatore dei chierici regolari minori: "non mirò giamai (oltre le mani) parte alcuna del suo corpo ignuda; che perciò dormiva sempre vestito, e bisognandogli talvolta rappezzar le calzette, non le levava dalle gambe, per non lasciarle scoperte, ma sopra di esse le raggiustava al meglio". L'epoca della realizzazione dei sessantadue quadretti è da collocarsi intorno alla prima metà del Settecento.
L'icona nella tradizione della Chiesa è come una finestra aperta sul mondo dell'invisibile e del trascendente. È un mezzo di elevazione dell'anima a Dio ed una delle vie che accompagnano il nostro pellegrinaggio terreno verso valori e prospettive di eternità. Questa tematica e questo sforzo di ricerca suscita, oggi, molto interesse. La conoscenza delle fonti storiche, il significato profondo dell'icona nella prospettiva della cultura contemporanea e della fede, rendono questo studio prezioso, non solo per una maggiore conoscenza ed un arricchimento intellettuale, ma anche per capire di più il radicamento dell'icona stessa nel tessuto antropologico e cristologico.
La prima delle due parti, in cui si struttura l'opera, riunisce riflessioni su temi, per così dire, classici dell'impegno milaniano e che quindi riguardano più o meno direttamente questioni relative alla scuola, alla pace, al mondo del lavoro, alla Chiesa. Insomma temi inerenti il suo essere al tempo stesso sacerdote, maestro, uomo attento alle problematiche fondamentali di una società in trasformazione quale fu quella italiana tra la metà degli anni Cinquanta e quella degli anni Sessanta. La seconda parte è costituita da una serie di testimonianze di persone (per lo più ex-allievi, ma anche collaboratori, sacerdoti, amici) che hanno conosciuto da vicino don Milani, con un'appendice che raccoglie alcuni documenti inediti.