Antefatto
Un giorno, negli anni Sessanta, uno studioso della Bibbia tenne una lezione presso una piccola comunità di fede in una zona di forte impoverimento, situata in un’area rurale del Brasile. Disse che la legge biblica proibiva di mangiare carne di maiale (Lv 11,7 e Dt 14,8) e spiegò che questa norma era nata nel deserto: per il forte calore e l’impossibilità di usare sale, la carne di maiale marciva facilmente, e chi l’avesse mangiata in quella situazione sarebbe potuto morire. Ascoltando ciò, una persona presente disse: “Allora oggi, attraverso questa stessa Parola, Dio ci comanda di mangiare carne di maiale!” Davanti al disagio causato da questa affermazione, l’agricoltore, con le mani callose e il volto bruciato dai molti anni di lotta per la sopravvivenza, spiegò: “Oggi l’unica carne che abbiamo per noi e per i nostri figli è quella dei porcellini che noi stessi alleviamo. Se quella legge era stata pensata per tutelare la vita della comunità, allora oggi per proteggere la vita dei nostri bambini e della nostra comunità, Dio ci comanda di mangiare carne di maiale!” Fu così che si aprì agli occhi di quel biblista, un nuovo modo di leggere la Bibbia. Egli era arrivato alle sue conclusioni studiando archeologia, storia, filologia e metodi scientifici per interpretare le Scritture. Ma quell’uomo semplice, con i piedi ben radicati nella dura realtà in cui viveva e nella lotta in difesa della vita della sua gente, aveva fatto un’interpretazione del testo molto più profonda. Aveva scoperto lo Spirito di Dio dietro a quelle parole antiche, e allo stesso tempo, aveva riportato questo Spirito alla sua funzione primaria: la tutela della vita, nel momento presente e nella sua situazione concreta. Da questa esperienza nacque un nuovo metodo di lettura della Bibbia: una lettura fondata sulla realtà e sulla custodia della vita, conosciuta come “lettura popolare della Bibbia”. Quel biblista si chiamava Carlos Mesters e poco tempo dopo avrebbe fondato il Centro Ecumenico di Studi Biblici (CEBI). Il CEBI è nato nel 1979 in Brasile, con lo scopo di divulgare la lettura popolare della Bibbia e di formare persone all’uso di questo metodo. Il CEBI è un’associazione ecumenica senza fini di lucro, formata da donne e da uomini di diverse confessioni cristiane, riuniti nel proposito di dare forza e spessore a questo modo di leggere la Bibbia, affinché insieme a Gesù possiamo pregare: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.” (Mt 11,25). Il CEBI raggiunge oggi migliaia di comunità e di gruppi, aiutando popoli e genti diverse a riappropriarsi della Bibbia, e a trovare in essa luce e coraggio per resistere alle difficoltà, lottare per una vita dignitosa e recuperare la speranza. Il CEBI è particolarmente strutturato in Brasile, là dove è nato, ma porta avanti alcuni programmi di formazione anche a livello internazionale, in diversi paesi di America Latina e Caraibi, Africa e Europa.
Rimettersi in gioco con la bellezza. In cammino con sant’Agostino al tempo del covid-19
introduzione: padre Andrea Dall’Asta s.j
presentazione: Dalla fine di febbraio 2020, con la diffusione del “corona virus”, l’occidente è entrato in un vortice di sofferenza e paura che, in poche settimane, ha fatto crollare le granitiche certezze antropologiche e gnoseologiche. I segni, che questa pandemia ha lasciato, resteranno scolpiti per molto tempo nella memoria delle persone. Fronteggiare la crisi antropologica causata dal covid-19 non sarà semplice, ma occorre iniziare a rimettersi in gioco. La ripartenza potrebbe venire da una riscoperta dell’essenziale. Questo significa andare incontro alla realtà, scorgendo nuovamente la bellezza del dono della vita e della creazione. Lo stop forzato alle nostre vite di questi mesi ci ha fermato dalle nostre corse frenetiche. Questa può essere l’occasione per frenare e imparare a guardare per contemplare, attraverso il pensiero, quella bellezza autentica che, nel colmare di senso l’esistenza, non smette di stupire e meravigliare il cuore di ogni uomo. Sant’Agostino, un gigante del pensiero occidentale, può fornire alla contemporaneità un itinerario integralmente umano, per ritrovare nella bellezza la chiave per rileggere la nostra vita interiore ed il nostro rapporto con il cosmo.
Luca Raspi, docente di IRC in un liceo Scientifico e di Legislazione Scolastica presso l’ISSR ligure, nasce a Genova nel 1980. È laureato in Filosofia e Psicologia e ha ottenuto il Magistero in Scienze Religiose. Collabora con l’Ufficio Diocesano Educazione e Scuola di Genova ed è “formatore dei formatori”. Autore di diversi saggi, in ambito filosofico (Rileggersi e narrarsi. L’esperienza nelle Confessioni di Sant’Agostino, Erga, Genova 2017), in ambito psicologico (Che Dio mi aiuti. Superare lo stress nell’insegnamento della religione, Elledici, Torino 2019) e di legislazione scolastica (Legislazione scolastica e Insegnamento della Religione, Glossa, Milano 2020). Ha pubblicato in equipe con altri due autori due Manuali di IRC per la Secondaria di Secondo Grado, (Impronte, La Spiga 2017 e Provocazioni, San Paolo – La Spiga 2020).
ANDREA DALL'ASTA, gesuita, dopo aver terminato gli studi di architettura a Firenze, entra nella Compagnia di Gesù nel 1988. Si laurea in filosofia a Padova, in teologia a Parigi e, sempre a Parigi, consegue il dottorato in filosofia estetica, dopo un anno di preparazione alla Columbia University di New York. È direttore della Galleria San Fedele di Milano dal 2002 e della Raccolta Lercaro di Bologna dal 2008 al 2019. Ha fondato a Milano nel 2014 il Museo San Fedele. Itinerari di arte e fede.
La sua attenzione è rivolta sia al rapporto tra arte, liturgia e architettura. È stato docente alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e insegna attualmente alla Sant’Anselmo di Roma. Scrive su Civiltà Cattolica e su alcuni quotidiani come Avvenire. Ha partecipato a importanti progetti come l’adeguamento liturgico della cattedrale di Reggio Emilia, la basilica di Santa Maria Assunta di Gallarate e la realizzazione dell’Evangeliario Ambrosiano. Ha fatto parte del comitato scientifico del Padiglione del Vaticano per la Biennale di Venezia (2013) ed è stato co-curatore della sezione Disegnare il sacro, alla Biennale di Architettura di Venezia (2014).
Tra i suoi ultimi testi ricordiamo:
- La mano dell’angelo. La Vergine delle Rocce di Leonardo. Il segreto svelato, Ancora, Milano 2019;
- Dio chiama con arte. Itinerari vocazionali, Ancora, Milano 2018;
- La luce, splendore del Vero, Percorsi tra arte, architettura e teologia dall’età paleocristiana al barocco, Ancora, Milano 2018
Dall'introduzione
Che cosa è la bellezza? Che cosa intendiamo per bello? Di certo, il «bello» è un concetto che oggi rimanda alla sfera della soggettività, per cui sembra difficilmente universalizzabile. Quante volte abbiamo sperimentato la difficoltà di condividere con gli altri il nostro giudizio su un oggetto, per noi bello, ritenuto invece dagli altri insignificante, se non brutto? O viceversa? Non solo, il suo significato è variato nel corso del tempo, accogliendo una sedimentazione di stratificazioni, d’influssi, provenienti da diverse culture, da differenti orientamenti filosofici.
Di fatto, dal punto di vista dell’estetica, la cultura occidentale è profondamente segnata dalla filosofia greca. Il bello, che sorge come da un caos abissale, si presenta come armonia, ordine, proporzione, simmetria.
Per Pitagora, attraverso un sistema di numeri, la bellezza si rivela nella perfetta articolazione delle parti, secondo un modello che imita l’ordine cosmologico dei cieli. È un bello oggettivo che si fonda sulla triade dei trascendentali del bello, vero, buono. Il bello si manifesta come luminosità, folgorazione, è splendido a vedersi, fa uscire da se stessi ed è guidato dall’eros, da un desiderio che ci guida dalla bellezza sensibile al mondo intellegibile, fino a condurci alla visione della bellezza assoluta, momento definitivo e conclusivo dell’on autentico, accadimento improvviso, rivelazione gratuita, contemplazione dell’unità del reale, visione immediata del pensiero.
Il legame bello-vero-buono diventerà la fonte ispiratrice della cultura occidentale. L’ordine cosmico sarà alla base della rivelazione della bellezza in Occidente, praticamente sino al XX secolo. Dalle forme greche a quelle romane, da quelle rinascimentali a quelle neo-classiche, tranne forse la parentesi barocca alla ricerca di nuove e inedite forme armoniche, il punto di riferimento è stata la Grecia, interpretata da ogni epoca nel desiderio di rivivere nel presente quella mitica età dell’oro che il mondo classico aveva incarnato in tutto il suo fulgore.
In ogni caso, la bellezza è sempre stata concepita in relazione alla trascendenza. Che si tratti di un ordine cosmologico o teologico, il bello rinvia infatti a un assoluto originario, a un mondo trascendente, interpretato da Plotino come casa del Padre o da Agostino come patria celeste, ultima destinazione, meta finale dell’uomo. Di fatto, a partire dalla teologia agostiniana, il cristianesimo porrà come sorgente di questa armonia Dio stesso, fonte da cui scaturisce ogni bellezza. La bellezza è una porta che si apre al senso dell’esistenza e invita a superare quella soglia perché contempliamo l’Infinito.
In questo contesto, in cui il tema della bellezza tesse un filo rosso tra i diversi momenti della storia dell’Occidente, si inserisce il bel libro di Luca Raspi, soffermandosi su un momento centrale di questa avvincente storia della bellezza: le riflessioni di Agostino d’Ippona. In un lungo percorso, in una continua e stretta relazione tra cammino esistenziale dell’Ipponate e speculazioni filosofiche e teologiche, Luca Raspi indaga il concetto di pulchritudo, partendo da un interrogativo centrale: in che modo è possibile «fare emergere la riflessione metafisica sulla bellezza nella struttura del creato, dalle realtà sensibili a quelle intellegibili, da quelle temporali a quelle eterne?».
L’autore è ben consapevole che ogni ascesa estetica non può fare a meno di un viaggio dell’uomo verso se stesso, verso Cristo, e infine, verso la Trinità. Con grande passione e competenza, Luca Raspi intraprende questo difficile percorso, dalle cose create al creatore, dagli esseri del mondo all’Essere che li fonda, citando Agostino stesso: «La terra è di una bellezza straordinaria; ma ha il suo artefice. Meravigliosi prodigi sono quelli dei semi e delle piante che nascono, ma sono cose che hanno il loro creatore. Contemplo la grandezza del mare che mi sta intorno, mi stupisco, ammiro; cerco l’autore. Levo gli occhi al cielo e alla bellezza delle stelle; ammiro lo splendore del sole capace di illuminare il giorno, e la luna che dirada le tenebre notturne. Sono meravigliose queste cose, degne di lode, anzi di stupore […]».
Giustamente, in questa lettura della filosofia agostiniana, tiene fermo un punto centrale necessario per comprendere il significato più profondo della bellezza. Se infatti il pensiero moderno, per definire il concetto di estetica, si riferisce a quella disciplina che studia il bello determinandone i caratteri nella natura e nell’arte, per il mondo classico la bellezza è considerata come elemento costitutivo dell’essere, insieme al vero e al buono, facendo parte della metafisica.
In questo continuo soffermarsi sulla necessità di pensare alla bellezza non semplicemente come a un prodotto dell’arte, ma a un aspetto costitutivo dell’essere, il testo di Luca Raspi lancia a ciascuno di noi un invito, perché ci lasciamo mettere in gioco dal «bello», affinché guardiamo le cose con uno sguardo diverso, non in termini di «consumo», come oggi siamo soliti fare, ma perché facciamo emergere quel desiderio di Dio inscritto nel più profondo della nostra vita. Occorre quindi riscoprire quella «bellezza tanto antica e tanto nuova», come proposta coraggiosa per vivere nella bontà e nella verità. La bellezza di un’esistenza… vera.
Andrea Dall’Asta S.J.
È noto che la fede non può essere ridotta ad una serie di certezze e non è una bacchetta magica al cui tocco tutto si risolve, ma è sempre esposta o percorsa da incertezze, interpellata o posta in discussione. La fede può essere messa alla prova e questo “esercizio spirituale” può coinvolgere lo stesso credente. Per tanti la fede è un dono non cercato, anzi ricevuto passivamente; è un dato familiare tradizionale, che in seguito va riscoperto perché diventi fondamento della propria vita cristiana. È questo il momento in cui il dono ricevuto diventa pregnante, vitale, decisivo per la maturazione di una fede più consapevole ed ecclesiale. Il cristiano aderisce così ad un annuncio che in qualche modo lo ha raggiunto; poi, in certe situazioni della vita, scopre la verità di quanto ha accolto e ne avverte la grandezza.
1. IL DONO COME PROVA
- Abramo e Sara
prof. ANTONIO NEPI, Professore di Antico Testamento presso “Istituto
Teologico Marchigiano” - Fermo / Ancona;
2. LA PROVA: PROVOCAZIONE, DONO E RIVELAZIONE
prof.ssa BENEDETTA ROSSI, Professoressa di Antico Testamento presso
la “Pontificia Università Urbaniana” - Roma;
3. IL MAESTRO MESSO ALLA PROVA:
GESÙ ARRIVA NEL TEMPIO DI GERUSALEMME
prof. ERMENEGILDO MANICARDI, Professore di Nuovo Testamento
presso la “Pontificia Università Gregoriana” - Roma;
"Provare per credere” è un aforisma popolare che invita a compiere certe azioni per convincersi del loro esito; è un titolo dato tentando di incuriosire gli affezionati o possibili frequentatori dei nostri incontri. Ma al di là di questo, ciò su cui invitavamo a riflettere è stato ed è il tema della “prova”.
È noto che la fede non può essere ridotta ad una serie di certezze e non è una bacchetta magica al cui tocco tutto si risolve, ma è sempre esposta o percorsa da incertezze, interpellata o posta in discussione. La fede può essere messa alla prova e questo “esercizio spirituale” può coinvolgere lo stesso credente. Per tanti la fede è un dono non cercato, anzi ricevuto passivamente; è un dato familiare tradizionale, che in seguito va riscoperto perché diventi fondamento della propria vita cristiana. È questo il momento in cui il dono ricevuto diventa pregnante, vitale, decisivo per la maturazione di una fede più consapevole ed ecclesiale. Il cristiano aderisce così ad un annuncio che in qualche modo lo ha raggiunto; poi, in certe situazioni della vita, scopre la verità di quanto ha accolto e ne avverte la grandezza.
Nell’antichità, quando il cristianesimo era ancora un fenomeno minoritario all’interno di un contesto culturale pagano, l’atto di diventare cristiani poteva essere visto come un rischio; un rischio che valeva la pena di correre, ma pur sempre un rischio. Rischio di emarginazione sociale, di persecuzione e persino di martirio. In quel contesto la fede era una “prova” di per sé. Ma quando avvenne il mutamento di statuto del cristianesimo all’interno dell’impero romano per essere promosso al rango di religio licita, la prova non venne meno. Cambiò la sua forma: il cristiano non doveva più attendersi prigioni, interrogatori, torture. Pur non essendo più cruento, non per questo era meno pericoloso, come testimonia Ilario di Poitiers (c. 310-367 d.C.): «Combattiamo un persecutore insidioso, un nemico che lusinga... Non ferisce la schiena con la frusta, ma carezza il ventre; non confisca i beni dandoci così la vita, ma arricchisce, e così ci dà la morte; non ci spinge verso la vera libertà imprigionandoci, ma verso la schiavitù onorandoci con il potere nel suo palazzo; non colpisce i fianchi, ma prende il possesso del cuore; non taglia la testa con la spada, ma uccide l’anima con l’oro e il denaro» (Liber contra Constantinum 5). La “prova” della fede diventa così la «lotta della fede» (1Tim 6,12), lotta che nasce dalla fede, che avviene nella fede e che tende alla fede, alla sua salvaguardia e al suo irrobustimento (cf. 2Tim 4,7). Lotta interiore contro le dominanti che seducono il cuore dell’uomo inducendolo all’idolatria, lotta costitutiva di tutta la vita cristiana e connessa col battesimo, come scriveva P. F. Beatrice nel 1992: «Il rivestirsi di Cristo nel battesimo comporta, per l’Apostolo, l’impegno di rivestirsi di un abito di vita rigenerata per entrare nella gloria di Dio e, poiché ciò non è realizzabile senza una continua tensione morale che si può paragonare a una lotta o a un continuo combattimento, con il battesimo il cristiano si impegna a rimanere sempre in tenuta militare, a indossare cioè quelle forze carismatiche che Paolo chiama “armi di giustizia” (Rm 6,13-14) e “armi di luce” (Rm 13,12); in definitiva, come suggerisce quest’ultimo testo, per combattere contro le forze del Male bisogna rivestirsi del Signore Gesù Cristo (Rm 13,14: “Rivestite il Signore Gesù Cristo”)» (L’eredità delle origini, Saggi sul cristianesimo primitivo, Genova, 150).
Questa lotta appare necessaria. Non si rivolge contro uomini, né si svolge con armi mondane. Le armi fondamentali sono la fede, la speranza e la carità (cf. 1Tess 5,8; Ef 6,16; 1Tm 4,10). Anzi, la fede è condizione e fine di tale lotta. Occorre lottare con fede fiduciosi in colui che ha vinto la morte e il diavolo «che della morte ha il potere» (Eb 2,14), ma occorre anche lottare per conservare la fede (2Tim 4,7). Questa lotta la si combatte in Cristo e con armi spirituali (Ef 6,10; 2Cor 10,3-5); necessita di vigilanza e perseveranza (Ef 6,18; Eb 12,1), di sobrietà (1Tess 5,6.8), di temperanza (1Cor 9,25), di rinuncia e di capacità di dominio del corpo e di tutta la persona (1Cor 9,27), della capacità di soffrire per il Signore (Fil 1,29-30; Eb 10,32-33), della pazienza per esercitarsi alla pietà (1Tim 4,8), della preghiera (Ef 6,18-20). Combattere questa lotta rende il credente temprato, provato, saldo nella fede.
dall'introduzione di Alberto Bigarelli
La fuga di Elia nel deserto è presa come modello di una duplice fuga. La prima, è la fuga esistenziale dalle proprie scelte definitive. È il tipo di fuga che la cultura postmoderna sta agevolando. È il sogno della possibilità di ripartire da zero, di ricominciare di nuovo, di scartare il passato, con tutto quello che c'è dentro. L'altro tipo di fuga è, invece, il percorso interiore che una persona decide di realizzare per capire se stessa. Fuga da un modo ripetitivo di vivere le proprie scelte per rimotivarle. Fuga. non tanto per prendere le distanze dalle scelte fatte, ma per viverle meglio. Se sino a qualche decennio fa il contesto religioso e morale nel quale si viveva, impediva o fungeva da forte deterrente ad ogni tentativo di fuga, soprattutto rispetto alle scelte così dette definitive, oggi non è più così. La crisi dei valori tradizionali, venutasi a creare all'interno della cultura occidentale, rende sempre più possibile la fuga dalla propria situazione esistenziale percepita come negativa. Oggi esistono sempre meno punti d'appoggio esterni, per prendere forza nei momenti di difficoltà o di messa in discussione del proprio vissuto. Nelle pagine del libro vengono condivise alcune riflessioni che prendono la fuga di Elia come punto di riferimento, ad un duplice livello. Nel primo, la riflessione si concentra su alcune tematiche religiose ed esistenziali nella ricerca di significati nuovi per il nuovo contesto culturale. Sono, dunque, riflessioni critiche, che hanno l'obiettivo di sondare cammini nuovi, mettendo in discussione le modalità tradizionali di pensare e vivere la fede. Nel secondo, vengono descritte le riflessioni che Elia produce durante la sua crisi esistenziale, che lo spingono nel deserto. Il testo si presenta come un'opportunità per riflettere sui principali temi esistenziali e religiosi del nostro tempo.
Questo libro è nato dal desiderio di parlare della donna e di leggerla in un’ottica di umanità e di bellezza creata da Dio.
Lo scopo è quello di portare le donne a riflettere su quanto di bello rappresentano e quanto bello è il loro cuore, è provare a capire come siamo fatte per imparare a volerci bene, a non incolparci di cose che non esistono e che spesso sono frutto di una mancanza di conoscenza del nostro intimo.
Cercheremo di recuperare tutti quegli aspetti del nostro essere donna che possono renderci più armoniche, più amabili e quindi più amate.
Un detto rabbinico dice che Dio dopo aver creato tutto ed aver visto la Creazione ha detto: «Ho bisogno di una madre che mi aiuti” e ha creato la donna!
Il primo che ha colto la necessità di una presenza femminile è stato dunque il Signore!
Il volume è tratto da quattro meditazioni della madre dal titolo:
- Essere donna nel cuore, nel corpo, nella testa
- La gioia
- Tenerezza e castità, abusi e nudità
- La maternità: bellezza di una donna
l’autore: Madre Abbadessa Maria Emmanuel, medico, è entrata nell’Abbazia benedettina sull’Isola San Giulio guidata dalla Madre Anna Maria Cànopi. Nel 2012 è stata inviata quale Abbadessa del monastero San Raimondo in Piacenza. Qui ha iniziato la Lectio quotidiana durante le Lodi, aperta ai fedeli. Svolge Lectio e meditazioni aperte ai fedeli, accoglie gruppi per ritiri spirituali e riceve singoli o coppie per colloqui spirituali.
Due donne leggono i vangeli domenicali dell'anno A e li commentano, una è suora, l'altra una laica, tutte e due animate dall'amore a Gesù Cristo e alla Sacra Scrittura, con animo femminile, con attenzione al testo, sensibilità di mente e di cuore, profonda intuizione, immediatezza di percezione, semplicità nell'esprimere i messaggi, attenzione nel cogliere i valori principali, riflessioni brevi, incisive, puntuali. Può essere uno strumento utile da usare per prepararsi alla Messa domenicale a livello personale o familiare.
Una appassionata biblista popolare ci accompagna, attraverso le profondità del racconto delle Sacre Scritture, la lettura della Tradizione, delle traduzioni del magistero di Francesco, a percorrere gli orizzonti di "questo mondo possibile"che é profumo di Regno di Dio.
In occasione del 400° anniversario della traslazione dell’immagine miracolosa della B. V. della Ghiara nella nuova basilica di Reggio Emilia, l’autrice ha sentito il bisogno di scrivere alcune riflessioni che scaturissero dall’esperienza con la sua profonda devozione mariana. Il volume propone una sezione relativa alla storia dell’immagine miracolosa e della nuova basilica costruita dopo la grande risonanza del miracolo del sordomuto Marchino, ma è soprattutto incentrato sulle riflessioni personali e sulle emozioni e pensieri che Rita prova davanti ai vari dipinti e alle opere d’arte del santuario, che ha iniziato a frequentare fin dalla prima infanzia. In questo libro troviamo anche una breve descrizione delle opere artistiche della basilica, per contestualizzare le riflessioni, che iniziano con l’analogia tra l’esperienza fortissima dell’autrice a Lourdes e quella vissuta in nella basilica reggiana, essendo Maria il filo conduttore della sua vita spirituale.