Mario Pomilio (1921-1990), letterato e critico originale, approdò negli anni Cinquanta al cattolicesimo, che visse come continua e appassionata ricerca. Cattolicesimo che non mancò d'esercitare un'influenza anche sulla sua produzione letteraria. La letteratura, infatti, fu per Pomilio via ausiliatrice verso una maggiore e più consapevole adesione alla sua identità di uomo e, poi, di cristiano. Esemplare in questo senso "Scritti cristiani", silloge d'interventi che dalla letteratura si aprono alla filosofia, alla metodologica critica nell'indagine storica, sino alle riflessioni sul costume e sulle dinamiche sociali di un periodo complesso quale quello degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Gli Scritti cristiani sono ora esplorati in questo volume con particolare attenzione critica ed esegetica, permettendo così al lettore di conoscere meglio questo autorevole scrittore e, per suo tramite, di accostarsi a temi e figure rilevanti del panorama culturale italiano ed europeo.
"Quale dev'essere in questo periodo successivo al Concilio il pensiero dominante per quanti, pastori e fedeli, hanno a cuore la reviviscenza autentica ed operante del messaggio di salvezza, portato nel mondo da Cristo, per la rinnovazione spirituale della sua Chiesa, per la ricomposizione di tutti i cristiani nella sua effettiva unità e per l'efficacia risanatrice e ispiratrice nel mondo? Alcuni parlano di un adattamento dottrinale dell'insegnamento cattolico secondo certe pretese della mentalità moderna; altri parlano invece di cambiamenti delle strutture ecclesiastiche. Gli uni e gli altri mettono nelle mutazioni della dottrina, o della costituzione della Chiesa la loro fiducia, non riflettendo forse se questi cambiamenti siano legittimi in una religione, come la nostra, essenzialmente obbligata alla fedeltà, né abbastanza pensano se simili innovazioni non si risolvano in stati di dubbio, di arbitrio, di particolarismo, di debolezza nella Chiesa di Dio, e non di vitalità e di rinnovamento. Per questo noi crediamo che il dovere dell'ora sia piuttosto quello di scendere alla radice della nostra vita religiosa, al suo principio interiore e originario, alla fede cioè, per cercare di rinvigorirla nella conoscenza dei suoi elementi costitutivi, nella valutazione della sua origine divina, nella coscienza delle sue operazioni interiori, nella coerenza della sua professione esteriore, nel gaudio del suo possesso personale e della sua testimonianza sociale" (Paolo VI).
"Scrivere un commento alla Lumen gentium a cinquant'anni dall'apertura del concilio non è la stessa cosa che scriverlo a evento appena concluso. Tante vicende si sono intrecciate in questi anni, segnando la storia dell'umanità e, dentro questo processo sempre più veloce e impetuoso, la storia della Chiesa. La percezione che questa ha di sé è profondamente mutata, sia per quanto il concilio ha determinato, sia per il processo di recezione - o di non-recezione - che si è sviluppato da allora ad oggi. Ma la situazione è talmente mutata che è lecito porsi la domanda se e quanto il Vaticano II costituisca ancora un tema di interesse per le nuove generazioni, che quell'evento non hanno vissuto e di cui hanno sentito parlare in modo tanto contraddittorio." (D. Vitali )
Il segno che più di tutti nei secoli ha diviso il mondo in infuocate battaglie ideologiche torna in questo volume a recuperare il suo valore positivo di amore e di conciliazione: varie università, diversi saperi, difformi sensibilità, applicati non sistematicamente nel lungo arco della storia cristiana, sono qui riuniti per gettare nuovi sprazzi di luce sul più importante mistero della fede. Legati assieme come un mazzo di fiori di più specie, questi contributi mentre prendono nuove sfumature dal loro essere così variamente accostati, sono del pari testimonianza della possibilità di un sereno dialogo della comunità scientifica per restituire a quello che è identificato nella visione laica come un segno di tortura e di morte il suo significato di salvezza e di risurrezione: l'offerta così composta ripropone, dunque, quel messaggio di speranza che i nostri "maggiori", anche del più recente passato, vi avevano subito letto.
Dopo un primo volume dello stesso autore, pubblicato sempre presso le Edizioni Studium, sulla "Storia della politica internazionale (1917-1957). Dalla Rivoluzione d'ottobre ai Trattati di Roma" (2009), si prende qui in esame, in maniera documentata, la lotta dei popoli colonizzati per ottenere l'indipendenza, che pone al centro i movimenti, i partiti e i leaders che l'hanno determinata, fra i quali emergono, tra gli altri, figure come Bolívar, Gandhi, Nasser, Ho Chi Min e Castro. Il volume evidenzia le diverse fasi di questo fenomeno, dalla nascita degli Stati Uniti d'America alla decomposizione dell'Unione Sovietica, con una particolare attenzione agli avvenimenti della seconda metà del Novecento e dei primi anni Duemila. Sono esaminati in modo specifico i problemi del Medio Oriente, della Palestina, dell'India, della penisola indocinese, dell'America Latina e di Cuba; in questo contesto emerge la fine degli imperi coloniali d'oltremare e di quelli contigui alla potenza colonizzatrice. Sono discusse inoltre le questioni relative alle calotte polari e allo spazio extraterrestre. Si tratta di nuove forme di "colonizzazione" in parte regolate da trattati multilaterali e in parte oggetto, a tutt'oggi, di controversie fra diversi Stati.
«Sembra ormai ovvio, per ognuno, che appartiene all'età moderna, più che a qualsiasi altra epoca della storia, di aver portato il concetto di libertà sul vertice dello spirito: nella scienza, nell'economia, nella politica, nella sfera del sacro ch'è la religione..., essa ha chiamato l'uomo alla conquista delle dimensioni principali della libertà. Nuove istituzioni e nuove costituzioni hanno dato o stanno dando l'avvio, nei vari continenti, all'uomo nuovo impegnato alla formazione di se stesso e del proprio vivere civile. Non v'è dubbio che con l'avvento del pensiero moderno si è prodotta una scossa decisiva nell'atteggiamento dell'uomo verso la verità che ha portato alla crisi - non ancora risolta e forse mai solubile perché costitutiva della stessa essenza della libertà - della tensione di libertà-autorità. [...] Di qui la corsa irresistibile e affascinante per la ricerca delle strutture della materia e dell'origine della vita, per l'esplorazione del mistero dell'inconscio e delle pulsioni psichiche, individuali e collettive, sulle quali molto probabilmente poggerà la società del futuro. Eppure mai come oggi l'uomo - dominatore di tanta parte della natura - sente la propria insicurezza interiore, la fragilità della sua struttura, il salire inarrestabile dell'angoscia e della solitudine in un cosmo che si popola sempre più di macchine cariche di minaccia e di terrore» (Cornelio Fabro).
Il volume non si presenta come una delle tante interpretazioni per spiegare un autore come Jürgen Habermas, ma tende a far emergere il concetto di sfera pubblica che, attraverso le riflessioni di Habermas, cerca faticosamente di stabilire contatti con la realtà dei fatti in modo da non determinare ingannevoli interpretazioni di comodo. Il testo prova a render giustizia di un fatto che, all'interno di una società politica che consideriamo erroneamente come trasparente, appare quanto mai evidente: esiste una sfera pubblica neutrale, informata, desiderosa di partecipare allo scambio delle opinioni per decidere sulle più convenienti soluzioni riguardo la propria esistenza? Si cerca poi di prendere in esame - sociologicamente e non solo patologicamente - quella sorta di autismo sociale a cui le società politiche sembrano spesso asservite, capace, purtroppo, di rimettere in discussione l'ordine e il fondamento stesso dell'organizzazione delle società umane. Questo autismo sociale imperante, come prodotto sottoculturale egemonizzato, è il vero nemico odierno delle sfere pubbliche, il più pericoloso veleno da cui è necessario vaccinarsi perché ne va della stessa organizzazione sociale, della stessa solidarietà come orizzonte autenticamente intersoggettivo (per dirla con Habermas) delle società democratiche. Ma la "questione sfera pubblica" pone radicalmente in discussione una seconda grande questione, che è in grado di rendere la prima più o meno efficiente a seconda della posizione in cui la collochiamo. Essa riguarda la "questione della formazione", e dunque dell'istruzione del cittadino. Non c'è sfera pubblica se non c'è una istruzione rivolta a solidificare, nell'individuo, quei presupposti culturali e "fondativi" di cui la società ha bisogno, perché la sfera pubblica non può e non deve deteriorarsi a mera ideologia, ma deve diventare oggetto di responsabilità per la contemporaneità e le generazioni future.
Il mondo dell'esperienza è tutto ciò che esiste oppure al di là di esso c'è un'altra realtà? In termini più puntuali: il mondo dell'esperienza ha in sé la propria ragion d'essere oppure no? Ecco un problema - al tempo stesso semplicissimo nella sua enunciazione e di sommo rilievo sotto il profilo esistenziale - di fronte al quale la scienza sperimentale è per sua natura impotente e che quindi potrà essere affrontato ed eventualmente risolto soltanto dalla filosofia: la quale, sia che propenda per il primo o per il secondo corno del dilemma, si configura in ogni caso come un trascendimento razionale dell'esperienza nel suo insieme e quindi come una metafisica. La domanda metafisica è insomma quella che concerne l'Assoluto: ci si chiede se esso coincida o no con la totalità dell'esperienza. Il coincidere delle due dimensioni corrisponde al significato assunto nel lessico filosofico della modernità dal termine immanenza; il divaricarsi delle medesime si identifica con quella che, sempre modernamente, è stata chiamata trascendenza. Naturalmente per la sua pars construens l'autore non muove un solo passo senza giovarsi di un dialogo continuo con i massimi interpreti, classici e contemporanei, della trascendenza metafisica da lui difesa.
Duecentouno lettere che sono – al contempo – la testimonianza di un’amicizia discreta tra due ecclesiastici, la conferma di una fede granitica e di un forte amore per la Chiesa, lo specchio di un servizio ecclesiale dove le ragioni pastorali e religiose prevalgono dentro ogni impegno, anche diplomatico, politico, culturale. Un carteggio che, nello spessore di molti scambi di informazioni, nelle convergenze di pensieri, offre interessanti tasselli per la storia della prima metà del Novecento in alcuni suoi snodi cruciali, aggiungendo nuovi e significativi dettagli sui percorsi biografici dei due corrispondenti e delle tante persone citate. Una fonte a disposizione degli studiosi […], che, per la sua cifra di comunione spirituale sempre più evidente, costituisce quasi un unicum nella letteratura epistolare. Non solo per il destino che accomuna i due corrispondenti, ma per la graduale sintonia che si rafforza – e ben si percepisce nel registro stilistico sempre meno protocollare –, orientata verso orizzonti che trascendono la quotidianità, i rispettivi ruoli, le differenti sensibilità. Missive ufficiali o private, dai toni prudenti o confidenziali, costellate di massime e citazioni dalla Sacra Scrittura e dai Padri, e sempre segnate da una fiducia fondata sulla condivisione di esperienze; talora, invece, caratterizzate da tratti allusivi fra un mittente e un destinatario «vicini in Domino» che non hanno bisogno di esplicitare tutto, ben conoscendo a vicenda. Una corrispondenza che – affrontando temi disparati, ordinari o importanti, questioni minori o delicatissime […], indicando fatti accaduti o propositi per il futuro – si svela spesso dettata, nonostante lacune facilmente registrabili, dall’intelligenza del cuore, e, progressivamente, dalla stessa sollecitudine per un progetto che non riguarda mai le proprie persone, ma la Chiesa e l’umanità.
Il tema dei rapporti tra Santa Sede e Società delle Nazioni è qui presentato per la prima volta in tutta la sua complessità, sulla base dei materiali dell'Archivio Segreto Vaticano e di una folta letteratura secondaria. Istituzione laica per eccellenza, la Società è stata concepita ed ha mosso i suoi primi passi su un piano di indifferenza, se non di ostilità, nei confronti delle tematiche religiose. Solo nel corso degli anni Venti, per l'apporto di molti attivisti e pacifisti cattolici e laici, si intensificò il confronto sui numerosi terreni di interesse comune: l'azione di contenimento e di preservazione da futuri conflitti, gli interventi umanitari, la tutela degli Stati più deboli. Dalla documentazione, certamente lacunosa, emerge una pluralità di attori - nunzi, organizzazioni internazionaliste, in certi casi anche singoli laici -: essi determinarono i presupposti per cui Benedetto XV e Pio XI presero in seria considerazione l'eventualità di un rapporto stabile e regolato con la Società delle Nazioni. Il brusco mutamento del contesto internazionale alla fine degli anni Venti segnò il rapido deterioramento di queste prospettive; ma il "nuovo internazionalismo cattolico", se per il ventennio in esame appare minoritario e destinato a soccombere nel crescente clima di aggressività ed autoritarismo, costituì un fermento vitale e gravido di conseguenze per il futuro.