Questo volume, pubblicato originariamente in inglese nel 2013 in occasione del cinquecentenario del Principe, si è imposto come la biografia per eccellenza di Machiavelli in area anglofona e ha subito suscitato ovunque una grossa eco grazie alle importanti novità che presenta soprattutto relativamente alla famiglia di Machiavelli, alla sua giovinezza (sino a oggi poco conosciuta), e ai suoi anni al servizio della cancelleria fiorentina. Black, ripercorrendo la vita e le opere del più sorprendente e influente interprete politico della storia, ne modifica sostanzialmente l'immagine complessiva. Questa biografia, aggiornata con la bibliografia più recente e arricchita di ben 150 pagine in questa prima versione in italiano, si afferma come opera di riferimento per chiunque voglia avvicinarsi alla vita e all'opera di Machiavelli.
L'appello alla religione per legittimare la violenza e i conflitti ha attraversato e attraversa ancora il mondo contemporaneo e le società secolarizzate. Per le confessioni tradizionali e per le cosiddette religioni politiche moderne ciò ha significato fare ricorso ad alcuni dispositivi retorici che già in passato sono stati associati alla sacralizzazione della violenza: la guerra santa, il martirio, il sacrificio. Sulla base di alcuni casi di studio che ruotano attorno a queste "figure del sacro" in diversi contesti religiosi e culturali, dall'Europa all'Estremo Oriente, il volume offre un contributo alla comprensione delle articolazioni assunte dal nesso tra religione e violenza negli ultimi due secoli.
La violenza religiosa segnò il mondo del Cinquecento. La rottura dell'unità cristiana determinata dalla Riforma protestante e la conquista del Nuovo Mondo furono all'origine di conflitti, persecuzioni, guerre, violenze che ridisegnarono il quadro europeo ed extraeuropeo. La lotta confessionale fu combattuta con armi belliche o controversistiche, con la persecuzione o le conversioni "dolci" e forzate, ma anche con nuove idee e pratiche di tolleranza che alla lunga incisero sulle identità individuali e sugli equilibri comunitari. Il libro indaga le diverse manifestazioni della violenza sacra - istituzionali, iconografiche, retoriche, dottrinali, delle pratiche quotidiane ecc. -, i suoi esiti, le molteplici dinamiche di cui fu motore e tramite in Europa e in America. Con uno sguardo rivolto al rapporto, ancora attuale, tra difesa della fede e uso della forza.
Nel 1566, Pio V autorizzò i Conservatori di Roma a concedere libertà e cittadinanza a tutti gli schiavi battezzati che si fossero presentati in Campidoglio. Questo libro ricostruisce per la prima volta la storia eccezionale di queste emancipazioni inquadrandole all'interno dei processi, più ampi e complessi, con cui la società cattolica arrivò a definirsi nel corso dell'età moderna. La gestione romana della schiavitù viene letta in prospettiva globale e in parallelo con l'elaborazione di idee e pratiche intorno alle minoranze religiose e alla loro presenza necessaria (ma sgradita) nella società cristiana. Per Roma, in cerca di soluzioni alla questione delicata e irrisolvibile della diversità, queste emancipazioni furono parte di un progetto di salvezza universale, programmaticamente intollerante e non replicabile altrove.
La Concordia del Nuovo e dell'Antico Testamento è l'opera forse più ambiziosa e innovativa di Gioacchino da Fiore, che vi sviluppa in dettaglio la propria teologia della storia. Gioacchino vi lavorò per oltre quindici anni, rivedendola continuamente. Impresa totale perseguita ai limiti dell'ossessività, l'opera si presenta come una mappa dell'intera storia della salvezza riletta in prospettiva trinitaria, dalla Creazione sino agli eventi finali attesi come imminenti. Desumendo le proprie notizie sia dalla Bibbia sia dai racconti e dalle cronache di cui dispone, Gioacchino crea un affresco grandioso: un arsenale di schemi e figure apocalittici, di attese sabatiche, di convinzioni messianiche e istanze riformatrici della Chiesa e del monachesimo cistercense destinati a improntare le attese religiose, filosofiche e politiche dell'Occidente europeo fino ai nostri giorni.
«Noi studiamo il mutamento perché siamo mutevoli», scriveva il grande storico dell'età classica Arnaldo Momigliano. «A causa del mutamento la nostra conoscenza non sarà mai definitiva: la misura dell'inatteso è infinita». Questo libro affronta il rapporto mutevole fra ebrei e cultura italiana in un arco cronologico inconsueto: dalla Restaurazione al cinquantenario delle leggi razziali, quando si chiude una stagione e se ne apre un'altra, quella dell'uso pubblico della storia nella quale siamo tuttora immersi. I capitoli ruotano intorno a quei personaggi che sono stati capaci di oltrepassare la siepe nei rari momenti in cui il salto fu loro consentito: il primo sionismo, il modernismo, l'antifascismo e i conti con il fascismo, la battaglia per la libertà religiosa dopo il Concordato e l'art. 7 della Costituzione.
Il tema dei poteri signorili nell'Italia tardomedievale è tornato di recente al centro del dibattito storiografico, alimentato da ricerche che hanno messo in luce aspetti a lungo trascurati, come la natura dei diritti esercitati, le forme di amministrazione, le pratiche del prelievo o il grado di "pervasività" dei signori. Con particolare riferimento al Mezzogiorno aragonese, il prevalente interesse per la dimensione politica ha lasciato in ombra il ruolo e l'impatto economico della signoria. Qual era la struttura del reddito feudale? Quanto incidevano le varie componenti del prelievo sull'ammontare complessivo della rendita? E in che misura mutava la composizione del bilancio tra aree geografiche o tra differenti tipologie di signori? Questi gli interrogativi da cui ha preso avvio la ricerca, focalizzata sui poteri feudali e sulla rendita signorile nel secondo Quattrocento. In questa chiave, il libro, oltre a ricostruire l'estensione di alcune signorie meridionali, oggetto di confisca da parte della Corona a seguito della grande congiura baronale del 1485, approfondisce il carattere economico del dominio feudale.
Tra la Conferenza di Helsinki nel 1975 e il crollo dell'Urss nel 1991, due attori transnazionali dotati di missioni universaliste, quali il comunismo e la Chiesa cattolica, si sono confrontati con la questione dei diritti umani. L'avvento di Gorba?ëv segna un passaggio fondamentale, liberando il tema dalle logiche della guerra fredda. Il suo rapporto con Sacharov appare emblematico, così come è significativo il suo dialogo con Giovanni Paolo II. Il volume mostra come i diritti umani non abbiano semplicemente sostituito le ideologie universaliste ma siano stati un terreno di conflitto e contaminazione per tutte le culture politiche e religiose in Europa, nel mondo comunista e cattolico, ma anche nella socialdemocrazia e nel cristianesimo riformato.
Questo volume costituisce il primo tentativo di scrivere una storia comparata della presenza dei cattolici nelle Resistenze dei vari paesi europei. Basata su un'ampia storiografia in più lingue e sulla rilettura della stampa clandestina, oltre che di svariate testimonianze, la ricostruzione delle vicende di paesi come Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Austria, Cecoslovacchia e Polonia consente di presentare ai lettori italiani figure di uomini e donne talvolta sconosciuti persino agli storici specialisti. L'analisi segue il filo del rapporto tra cattolici, fede religiosa e ricorso alla violenza. In questa prospettiva intende contrastare la tentazione ricorrente di applicare ai cattolici di allora le categorie dell'oggi, come il pacifismo o l'obiezione di coscienza, insieme all'accusa di essere stati imbelli e "attendisti". L'educazione cattolica di allora non disdegnava infatti di formare anche al dovere militare. Il problema, semmai, era quello della legittima autorità cui obbedire. Queste pagine contribuiscono così a bilanciare la tendenza storiografica che, nel corso degli ultimi decenni, ha posto in primo piano la Resistenza civile, senza armi, a scapito di quella - che pure ci fu - combattente.
La storia e le memorie della nostra Repubblica necessitano di narrazioni e linguaggi capaci di coinvolgere cittadini di diverse generazioni nella riappropriazione di un percorso comune. Aldo Moro (1916-1978) fu tra i protagonisti più autorevoli e discussi, un leader e uno statista che faceva politica attraverso la cultura, nello sviluppo di una consapevole pedagogia civile. All'iniziale concentrazione sul "caso Moro" e sulla sua morte violenta al culmine della stagione terroristica, sta seguendo una riconsiderazione della sua figura complessiva, che permette di evidenziare le connessioni molteplici tra la biografia politica e morale dello statista pugliese e le vicende dell'Italia repubblicana. I contributi compresi nel volume contemplano piani diversi: la conoscenza dei risultati più accreditati degli studi storici con l'attenzione ad alcuni degli snodi più problematici ed attuali di questa "storia", nonché ai linguaggi tramite cui la figura di Moro - uomo e intellettuale, leader politico e statista - è entrata nell'immaginario repubblicano (tramite la televisione e il cinema, le inchieste parlamentari e le indagini processuali, la toponomastica urbana e le rappresentazioni simbolico-rituali).