Nel percorso esistenziale di Sergio Quinzio, la riflessione ha sempre accompagnato il vissuto, lo ha assunto e dispiegato senza attenuazioni, spingendosi a indagare l'abisso scandaloso della sofferenza. In questa lunga intervista, realizzata nel 1991 dall'amico e "allievo" Leo Lestingi, il teologo ripercorre per la prima e ultima volta le tappe fondamentali della propria vita, rievoca le vicende, gli affetti, gli incontri che più l'hanno segnata. E lo fa con la precisione, il pudore e la profondità che gli sono propri. Il dialogo prende così la forma di un testamento spirituale, che testimonia l'ampiezza della sua ricerca, la continua messa alla prova del pensiero e la disperazione di fronte alla Storia coesistente alla speranza inestinguibile nella Salvezza. Una salvezza "povera", che darebbe finalmente senso a tutto il male del mondo, attesa nella fede in un Dio sensibile alla sofferenza e alla morte. Non onnipotente, ma tenero.
Guardare a Dio come al personaggio di un'opera letteraria, accogliere soltanto quello che ci raccontano le Scritture e confrontarci con la figura che, evolvendosi nel corso dell'Antico Testamento, ne emerge. Ecco la sfida di questo libro: una vera biografia e insieme una ricerca che investe la teologia, l'etica, la critica letteraria, la storia delle idee e, infine, la natura e le radici del nostro modo di essere nel mondo. Jack Miles, teologo e studioso di filologia biblica, ripercorre con uno stile limpido e ricco di sfumature la vicenda esistenziale di Dio e le sue relazioni con gli esseri umani, dalla creazione a Mosè, da Salomone a Giobbe. Non si tratta di ridurre il Dio del Tanakh, la Bibbia ebraica, al livello di un personaggio romanzesco, ma al contrario di moltiplicarne le possibilità di lettura attraverso le tante storie di cui è protagonista. Che questa lettura sia necessaria, per i credenti come per gli atei, lo dimostra l'impatto culturale e psicologico che il monoteismo ha avuto sulla nostra civiltà e su tutti noi come individui, indipendentemente dalla fede. «Non vi è un unico modo necessario e corretto di leggere l'Antico Testamento », e anche allo straordinario libro di Miles ci si può avvicinare in diversi modi: come a un'avvincente rilettura di un classico universale o come a una serrata analisi storico-letteraria, oppure cogliendo l'occasione per riflettere sulla nostra concezione di Dio secondo un'angolazione radicalmente nuova.
L'individuo deve ricrearsi la fede con un atto di decisione; perché la fuga, non più la fede, esiste oggi come mondo oggettivo. La fuga davanti a Dio è un pamphlet scritto nel 1934, in piena epoca nazista. In un clima storico in cui si assiste all'affermarsi dell'industrialismo e del dominio tecnologico della macchina, del culto futuristico della velocità, al disfarsi dei legami sociali, alle mattanze dei totalitarismi e delle guerre mondiali, Picard descrive la fuga dell'umanità dalla divinità, dal fondamento dell'essere, dal paradigma stesso dell'esistenza. La sua diagnosi è netta: «Nel mondo della fuga l'uomo non esiste come singolo essere delimitato, ma come coacervo di sensazioni, volontà e azioni continuamente mutevoli». La critica di Picard risuona oggi lungimirante e visionaria. La sua analisi della mobilità inesausta, dell'accelerazione della vita e del continuo cambiamento dei rapporti tra gli esseri umani individua problematiche sollevate da filosofi come Morin, Baudrillard, Virilio, Debord. La sua descrizione del dissolvimento dell'oggettività e dell'avvento di una realtà virtuale e fantasmagorica costituita da grumi di materiali informativi fluttuanti in un continuum di immagini, ci ricorda la società liquida di Bauman e il dominio planetario della rete. La lezione di Picard oggi assume un valore particolare in riferimento al cuore stesso delle sue riflessioni: ricentrare l'essere umano intorno ad alcuni nuclei essenziali e imprescindibili, per riconoscere il mondo come donazione, ma anche per riaffermare le ragioni neglette di un principio di umanità da opporre alle forze omologanti che oggi sembrano imporsi su scala planetaria. Come scrive Hermann Hesse nel testo che lo accompagna: «Molte sono le ragioni che rendono importante questo libro... È un'opera spaventosa e confortante allo stesso tempo, ma lasciamo che il libro parli da sé.
Nell'incontrare l'altro, il fratello, l'uomo diviene essere autentico. E proprio lì si incammina verso Dio. Perché lì, nella positività realizzata, porta ad espressione l'essere divino. Questo il pensiero dominante che da filo conduttore all'intero libro. E qual è l'essenza dell'umano, cercata con i propri sforzi e accolta come riuscita immeritata? È la virtù. Ecco allora che Boros, quando scrive sulle virtù più criticamente ragguardevoli, ha qualcosa di veramente nuovo da dirci. Qualcosa di estremamente profondo. Attraverso le sue meditazioni, egli perviene al mistero dell'incarnazione: il Dio che si fa totalmente, realmente uomo, il Dio che prende su di sé ciò che è terribilmente normale, abituale, che si lega a ciò che dà nell'occhio. E proprio lì si produce, allora l'originarietà dell'essenza umana. Scritte in uno stile penetrante e lucido, queste riflessioni giungono dirette al cuore. Si possono leggere separatamente meditandole pezzo per pezzo. Proprio in questo modo esse sprigionano la loro intera chiarezza.
Paolo ha fatto la sconvolgente esperienza di essere accolto e amato senza riserve da quel Gesù che perseguitava: nei suoi scritti egli ci conduce a superare tutte le ?immagini? di Dio acquisite, per accedere alla dirompente novità del vangelo. L?autore guida alla scoperta della testimonianza paolina e mostra quanto Paolo, sconvolto dall?incontro con Gesù e dal Dio che Gesù ha narrato, sia stato coraggioso e creativo.
L'idea di Dio sembra essere scomparsa dall'orizzonte di noi occidentali, sempre più ossessionati da miti effimeri e ormai disposti a vendere al miglior offerente persino la nostra libertà. La sua assenza ci ha lasciati orfani di una guida in grado di orientare l'esistenza verso il bene e la giustizia, e per questo diventa necessario riflettere oggi sulla questione del divino. Ma quale Dio? Come possiamo ancora immaginarlo? E quale destino gli è riservato? Nelle pagine ambiziose di questo libro, Vito Mancuso conduce il lettore in un viaggio tra le problematiche raffigurazioni della divinità che nei secoli hanno accompagnato la nostra storia. E con coraggio ci sfida a liberarci dall'immagine tradizionale del Padre onnipotente assiso nell'alto dei cieli che ci viene ancora offerta da una Chiesa cattolica che sembra aver modificato il suo linguaggio ma non la sua rigida dottrina. Si riscopre così il valore di una divinità completamente partecipe nel processo umano, capace di comprendere i principi dell'impersonale e del femminile. Come ha scritto Agostino: "Sebbene non possa esistere alcunché senza Dio, nulla coincide con lui". Soltanto in questa consapevolezza risiede la possibilità di salvare dall'estinzione la spiritualità e la fede, e di far risorgere quella speranza e quella fiducia nella vita senza le quali non può esserci futuro per nessuna civiltà.
Prendendo le mosse dalla Prima lettera ai Corinzi, letta attraverso il decostruzionismo di Derrida, il saggio offre una prospettiva di riconcettualizzazione radicale: rifiutare l'idea metafisica di Dio come Ente supremo, onnisciente e onnipotente, per riconoscerne la natura di "evento" che si concretizza nei termini elusivi e folli di una "chiamata". Caputo rigetta il teismo metafisico classico e avanza il programma di una "teologia debole". Quest'ultima scalza la dicotomia fra secolarismo e religione o fra ateismo e teismo, per innervarsi in ogni aspetto della vita umana; e adotta come proprio linguaggio caratteristico una "teopoetica". Riscrivendo i paradigmi teologici, Caputo riscrive anche il senso e la possibilità stessa della fede. Di qui l'idea di un regno di Dio «non ha bisogno di Dio» e che si traduce in una ricerca appassionata dell'agápe e della giustizia nel mondo. Un progetto provocante e visionario, "radicale" perché intende "scavare alle radici", destinato a rivoluzionare il modo abituale di pensare Dio. «Tanto irriverente quanto serio, tanto irragionevole quanto avveduto, tanto teologico quanto a-teologico, La follia di Dio domanda fino a che punto siamo disposti a inoltrarci nella teologia della croce e cosa siamo disposti a lasciar cadere» The Christian Century.
Fin dall'antichità risuona il dilemma:perché Dio ci fa o ci lascia soffrire? Se il non credente attribuisce le ragioni della sua sofferenza all'essenza della condizione umana, alla responsabilità delle persone, all'incompiutezza del mondo; per colui che crede l'interrogativo diviene un quesito di difficile risoluzione. Il libro, partendo dalla tradizione cristiana, elabora una riflessione critica che esclude le più comuni risposte: Dio non ci punisce dalle colpe, non educa tramite la sofferenza, non rende partecipi della salvezza del mondo. Di fronte al male sono possibili atteggiamenti diversi: dalla negazione dell'esistenza di Dio, alla rivolta nei suoi confronti; la protesta e la resa; fino a quello più sapiente, l'accettazione del limite e l'affidamento al Mistero, che è la vera cifra della realtà di Dio.
Giacomo Canobbio è docente di Teologia sistematica presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale. Tra le sue pubblicazioni per Morcelliana: Dio può soffrire? (2006); Chiesa, religioni, salvezza. Il Vaticano II e la sua ricezione (2007); Il destino dell'anima. Elementi per una teologia (2009); Laici o Cristiani? Elementi storico-sistematici per una descrizione del cristiano laico (2017); Fine dell'eccezione umana? La sfida delle scienze all'antropologia (2018); Quale riforma per la Chiesa? (2019).
Uno dei testimoni più significativi della teologia ortodossa del XX secolo propone nel libro la posizione orientale sui temi fondamentali del Cristianesimo: la formulazione della verità e l'apofatismo, la Tradizione, la conciliarità e la cattolicità della Chiesa, la presenza dello Spirito Santo nell'ecclesiologia e nella spiritualità. Alcuni capitoli descrivono con particolare efficacia il percorso parallelo delle due teologie, quella orientale e quella latina, in particolare sulla processione dello Spirito Santo, la critica alla dottrina del Filioque, la proposta della redenzione come deificazione in opposizione al modello anselmiano della redenzione. Tra i temi anche il superamento delle opposizioni tra essenza ed esistenza e tra sacramento e profezia, la nozione teologica della persona umana e le implicazioni antropologiche del dogma della Chiesa.
Cambiare le strutture sociali o cambiare l'uomo? È un'alternativa che non finisce di appassionare, e talvolta di dividere, gli uomini e i cristiani. La spiritualità che Pàvel Nikolàjevic Evdokìmov propone, ampiamente nutrita di meditazione biblica e patristica, soprattutto orientale, tende a operare una sintesi tra l'esperienza di Dio e la sua espressione storica nel lavoro, nella cultura, nell'arte, nella morte. L'esperienza di Dio coglie l'uomo in ciò che ha di originario trasformandolo in "uomo nuovo". Ma Dio è colui che ama gli uomini di un "amore folle", come suole dire Evdokìmov prendendo l'espressione dal teologo laico Nicola Cabasilas; cioè di un amore che può tutto fuorché togliere la libertà all'uomo. Trasformandosi a immagine di Dio, l'uomo non può non amare l'umanità intera fino in fondo, condividendone il destino. Perciò è necessario che i cristiani superino sia le sterili tentazioni dell'integrismo sia la perdita di identità e sviluppino la loro fantasia creatrice, esprimendo forme storiche che valorizzino i frammenti di verità e di bellezza sparsi nella società contemporanea, facendoli diventare segni in cui ogni uomo possa sentire la presenza vivente in Dio.
Oggi, in Italia, l'annuncio del Vangelo deve fare i conti con un mondo multietnico e multireligioso, variamente disincantato, costituito da agnostici e atei, fedeli di altre religioni e cristiani di ogni genere: credenti animati da fede profonda e grande carità, ma anche integralisti, praticanti tiepidi o per apparenza.Quale ruolo assume, nell'accoglienza o nel rifiuto della fede, l'immagine che i cristiani hanno di Dio? L'importanza della domanda è data dal fatto che nessuna raffigurazione è innocua: ci rappresentiamo un Dio invidioso, rivale dell'uomo, indifferente ai suoi drammi, esoso nel pareggiare i conti? Oppure lo pensiamo e lo accogliamo come Padre che ama la dignità e la libertà dei propri figli? Il libro prende in considerazione tre immagini fondamentali, comuni sia all'Antico che al NuovoTestamento: il mistero, il nascondimento, il silenzio di Dio; riflette sul rischio dell'idolatria, individua in Mosè, Elia e Pietro le figure di riferimento per una comprensione corretta delle rappresentazioni divine. Una particolare considerazione è dedicata ai problemi affrontati quotidianamente da insegnanti, catechisti, genitori e sacerdoti impegnati nella pastorale giovanile.