Descrizione dell'opera
Negli anni della persecuzione dell’imperatore Decio, il presbitero di Roma Novaziano scrive una lettera pastorale in cui ripercorre le motivazioni del rifiuto cristiano degli spettacoli pagani. Il tema, già affrontato da Tertulliano e qui riproposto all’attenzione della comunità cristiana con nuove sfaccettature, offre oggi all’analisi storico-religiosa alcuni punti fermi: il rischio della contaminazione con l’idolatria; il rifiuto degli usi e dei costumi pagani in forza di una nuova morale e di una propria concezione del mondo; la necessità di un riconoscimento e di una forte autoaffermazione della comunità dei cristiani sulla base della lettura e dell’interpretazione del testo sacro.
Il testo è offerto in traduzione italiana.
Sommario
Introduzione. Gli spettacoli.
Note sull'autore
Novaziano. La sua data di nascita, non tramandata da alcuna fonte, viene di norma collocata intorno all’anno 200, in considerazione del ruolo già rilevante nella comunità romana attestato nel 250. Dopo l’elezione di Cornelio a vescovo di Roma (251), Novaziano si fece consacrare vescovo e difese posizioni intransigenti finendo per essere scomunicato nel Sinodo di Roma. Sarebbe morto martire nel 257 sotto Valeriano.
Le pratiche superstiziose di origine pagana penetrate nel costume dei cristiani della «campagna» sono il bersaglio della requisitoria di Martino di Braga, scritta intorno al 573.
L’invettiva segue liberamente il De catechizandis rudibus di Agostino – proposto nella stessa collana con il titolo Catechesi per principianti – ed è affiancata e sostenuta da un’essenziale catechesi circa le fondamentali verità della fede cristiana, presentata con linguaggio semplice e popolare (rustico sermone). L’opuscolo ebbe fortuna, anche per il persistere di quelle pratiche superstiziose di cui ancor oggi si segnalano tracce evidenti, e fu ampiamente utilizzato per almeno due secoli. Il testo è di notevole interesse non solo per il suo contenuto dottrinale, ma anche per le implicazioni che riguardano l’evoluzione della lingua latina, la storia della liturgia battesimale e della religiosità «popolare».
Ambrogio Autperto (†784), fecondo esegeta e abate di San Vincenzo al Volturno, redasse due sermoni in occasione della Purificazione (l’antica Presentazione del Signore al Tempio) e dell’Assunzione di Maria, primi scritti in ambito latino dedicati alle due festività mariane.
Pensati nella classica forma omiletica di un commento spirituale alla pericope di Lc 2,22-40 e al Magnificat, i due sermoni spaziano dalla speculazione dottrinale (anche controversa, come nel caso della questione di una «assunzione con il corpo» o meno) a una policroma lettura simbolica del testo sacro e liturgico. Dei due testi, pregevoli per sapienza esegetica e armonia retorica, si offrono l’edizione critica e la traduzione, assieme a un puntuale commento di taglio filologico, storico e liturgico. I sermoni mariani di Autperto rappresentano la cifra di una mariologia che si nutre abbondantemente dell’antica lezione dei Padri e dei Concili (Efeso e Calcedonia) e al tempo stesso intraprende sentieri teologici originali, dischiudendo quell’orizzonte, trapuntato di culto, affetto e devozione alla Vergine che costituisce una delle note più caratteristiche della spiritualità e della cultura del Medioevo occidentale.
Il volume raccoglie i diciannove sermoni del ciclo natalizio con cui Leone Magno celebra le solennità del Natale e dell'Epifania facendo emergere l'intimo nesso fra teologia e liturgia. Di fronte alle rovinose tendenze che inquinavano e stravolgevano il mistero e la realtà dell'incarnazione l'eresia ariana, il nestorianesimo, il monofisismo eutichiano, l'apollinarismo e il sabellianismo - il grande pontefice spiega all'assemblea dei fedeli, con solenne ed elegante chiarezza, gli aspetti essenziali di quel mistero: la reale compresenza delle due nature - umana e divina - nell'unica persona del Verbo. Altro tema caro al pensiero dei padri e suggestivo nell'insegnamento di Leone è l'inscindibile connessione fra cristologia e antropologia. L'incarnazione del Verbo congiunge, tenendole mirabilmente distinte, la natura divina e quella umana coinvolgendo, in questo modo, l'intera umanità.
Composto tra la fine del 428 e l'inizio dell'anno successivo, il "De laude" eremi di Eucherio è un documento di grande rilievo nella storia del cenobio fondato da Onorato agli inizi del V secolo su un'isola dell'arcipelago di Lérins, nella Francia meridionale. L'operetta, redatta in forma di epistola, trae lo spunto da un preciso episodio. Chiamato alla cattedra episcopale di Arles, Onorato si era fatto accompagnare dal suo discepolo e parente Ilario, il quale aveva presto ceduto al richiamo della vita solitaria e aveva fatto ritorno al monastero. Tuttavia, qualche mese dopo aveva nuovamente raggiunto Arles e alla morte di Onorato gli era succeduto dando inizio a un ventennale episcopato, denso di memorabili eventi. Nel temporaneo ritorno di Ilario all'isola, Eucherio trova l'occasione per predicare l'abbandono del secolo ed esaltare la solitudine dell'eremo, che si apre ad accogliere coloro che cercano un rifugio dai travagli e dalle tentazioni del mondo come il porto si apre al naufrago scampato al mare tempestoso. Il filo conduttore dello scritto è dato dalla lettura della Bibbia, della quale l'autore seleziona in fitta successione pagine ed episodi. Muovendo dalla Genesi e dalla migrazione di Abramo, il testo ripercorre i libri dell'Antico Testamento - in particolare l'Esodo, il Deuteronomio e i Salmi - i Vangeli, in particolare Matteo e Giovanni, e le Lettere di Paolo.
Enigmatico e affascinante, il Discorso a Diogneto è un breve testo anonimo del tutto ignorato dagli autori antichi. Redatto tra l'inizio del II secolo e la fine del III, è giunto sino a noi in un solo codice ritrovato a Costantinopoli nella prima metà del XV secolo e costituisce un'opera stimolante, colta e teologicamente ricca. La concisa critica del paganesimo e del giudaismo e la presentazione agile ed efficace del cristianesimo presentano scorci grandiosi e coinvolgenti, ad esempio la prospettiva con cui sono accostati peccato e perdono. I cristiani vengono definiti "anima del mondo", espressione che il Vaticano II ha accolto nella Lumen gentium; essi "né per paese, né per lingua, né per veste si distinguono dagli altri uomini. Né in qualche parte abitano città loro esclusive, né parlano una lingua diversa da quella degli altri, né conducono una vita che sia fuori della norma". Tuttavia, essi "abitano ciascuno la propria patria, ma come stranieri; partecipano a tutto come cittadini e si adattano a tutto come stranieri. Ogni terra straniera è, per loro, patria; ogni patria è, per loro, terra straniera".
Africa del Nord, Cartagine, verso l'anno 400 d.C: i pagani che desiderano far parte della Chiesa cattolica chiedono al vescovo o a un suo collaboratore di essere ammessi al catecumenato e di potersi preparare al battesimo. Prima dell'ammissione viene rivolto loro un discorso sugli elementi essenziali della fede cristiana e sul modo di viverla. Per impartire questo primo insegnamento, a Cartagine è particolarmente ricercato un diacono di nome Deogratias, il quale però si sente inadeguato al compito e chiede aiuto ad Agostino, vescovo di Ippona, di cui apprezza sapienza pastorale e lucidità teologica. La risposta è questa breve opera intitolata "De catechizandis rudibus", dedicata alla prima catechesi rivolta ai pagani che si accostano alla Chiesa per essere accolti e avviati al catecumenato.
Il "Contra fatum" di Gregorio Nisseno rappresenta il contributo più denso e significativo di un Padre della Chiesa al dibattito antiastrologico, prosecuzione della riflessione sul fato e il libero arbitrio avviata nelle scuole filosofiche di età ellenistica. In un fitto succedersi di argomentazioni, in parte attinte alla tradizione filosofica, in parte non attestate altrove, Gregorio difende la libertà dell'uomo: "sorte e destino è la volontà di ciascuno". Non sono le stelle che assegnano all'uomo la sua sorte: egli è libero e, se vuole avere parte di vero bene, deve rivolgere lo sguardo a Dio, che ne è l'unica fonte.
"Non ho tentato di definire la natura intrinseca dell'ortodossia, né di determinare l'incidenza dell'ellenismo sul Vangelo originario, ma mi sono contentato di esporre le dottrine in se stesse con tutta la comprensione e l'imparzialità possibile": un intento conseguito alla perfezione dall'autore, secondo l'opinione unanime degli studiosi di patristica. Nel volume l'intera materia è solcata da due grandi coordinate che ne determinano una distribuzione logica ed efficace, storicamente valida: la coordinata cronologica, che divide il pensiero preniceno da quello postniceno, e la coordinata geografica, che distingue il pensiero latino da quello greco. Il lavoro di Kelly mette bene in luce anche la continuità del pensiero teologico antico: una continuità orizzontale (lo sviluppo dei dogmi attraverso le epoche) e una continuità verticale (lo sviluppo dei dogmi al loro interno). Interessante è il metodo usato per la documentazione: per ogni autore vengono scelti i testi più significativi dei Padri, riassunti fedelmente riportando talora nella lingua originale i termini e le formule di maggior rilievo. il risultato è che si ha veramente l'impressione che siano i Padri a spiegare essi stessi con parole proprie il loro pensiero.
Pur essendo nato da una vivace polemica antipagana, il "De viris illustribus" di Gerolamo, composto a Betlemme nella primavera del 393, rappresenta il primo tentativo di una biografia letteraria degli scrittori cristiani antichi. Modellata sull'analoga opera di Svetonio, essa comprende centotrentacinque brevi vite di "uomini illustri", greci e latini, che si distinsero in modo particolare negli studi biblici e letterari. Ancor più di Origene, di cui era appassionato estimatore, Gerolamo è uno dei pochi scrittori cristiani ai quali la conoscenza della lingua latina, greca ed ebraica ha permesso di cogliere ed esprimere in modo efficace i vari e complessi aspetti della nuova cultura. Nonostante i limiti e le disuguaglianze delle biografie letterarie, spesso condizionate dalla forte personalità dell'autore, il "De viris illustribus" ha avuto una straordinaria diffusione nel corso dei secoli attraverso un'ampia tradizione manoscritta e un considerevole numero di imitatori. Premessa di Umberto Rapallo.
Non vi è nulla di più difficile del trattare la spiritualità protestante: è curioso infatti notare che sono soltanto i protestanti più o meno cattolicizzanti ad ammettere l'esistenza di una spiritualità protestante. Gli altri, tra i quali Barth, Ebeling, Nygren, Brunner, affermano che la mistica è la realtà più lontana dal vero protestantesimo. Il motivo addotto è una forma di religiosità essenzialmente pagana, estranea alla Bibbia e inconciliabile col Vangelo. L'autore mostra che tale tesi si basa su degli a priori giustificati solo da una serie di confusioni e controsensi. Partendo dai principi spirituali dei riformatori, si sofferma in modo particolare su figure del pietismo protestante e del movimento religioso romantico. Mette in evidenza come lo sviluppo della spiritualità anglicana sia strettamente legato a quello della spiritualità protestante, pur non coincidendo, come taluni cattolici sono portati a pensare. L'opera contribuisce a dissipare dubbi, chiarire equivoci, attenuare criteri di giudizio troppo rigidi, e quindi, ad approfondire il dialogo tra fratelli separati.
L'eccessiva cura con cui le donne si adornano può divenire una pericolosa arma di seduzione che trascina nel peccato anche il prossimo, pregiudicandone la salvezza nella vita eterna. È questo il tema del breve opuscolo in cui Tertulliano si rivolge alla donna cristiana con una tensione emotiva varia e imprevedibile: ora aggressiva e ironica, ora paterna e moralistica, ora umile e suadente. Ma, già nella parte iniziale, l'invettiva emerge come tonalità unificatrice della vasta gamma di sfumature stilistiche della composizione: la donna è strumento del demonio che ha impresso la prima colpa sul genere umano e che persevera nella sua opera di rovina seduttiva. Modificando con gli artifici della toeletta la sua immagine naturale, la donna pecca contro l'opera creatrice di Dio, tanto più che le materie stesse degli ornamenti dalle pietre preziose ai belletti, alle stoffe lussuose - sono opera demoniaca. Pur in quest'ottica religiosa primitiva e superstiziosa, l'interesse del primo libro è soprattutto nell'esposizione antiquaria e scientifica dell'origine degli artifici dell'eleganza e della loro evoluzione. Il secondo libro ci accosta invece al Tertulliano moralista, cupo e intransigente, che vuole ricondurre la donna alla castitas e alla pudicitia con argomenti talora sferzanti e ironici.