Protagonista emblematica della storia d'Israele, ricordata da alcuni con affetto e da altri con biasimo, amata o detestata, ma sempre e comunque considerata iconica e quasi leggendaria, Golda Meir è stata la prima premier donna, e finora l'unica, alla guida dello Stato d'Israele, segnandone per sempre, con la sua forte personalità e le sue scelte politiche, l'identità e il destino. Nata a Kiev in epoca zarista, seguì prima la famiglia negli Stati Uniti per poi trasferirsi da adulta in Palestina, territorio all'epoca sotto il protettorato britannico. Animata da spirito pionieristico e dal sogno socialista sionista, Golda ha scalato pian piano tutti i gradini del Mapai, il partito laburista, prima come membro di un kibbutz, poi come segretaria e impiegata del sindacato dei lavoratori, fino ad arrivarealla carica di ministro del Welfare, degli Esteri e infine ad assumere il ruolo di primo ministro dal 1969 al 1974.
È veramente esistito, come raccontato da numerosi storici e testimoni, un momento di coesistenza armoniosa tra ebrei, musulmani e cristiani in terra araba? Rifiutando la leggenda di un’epoca d’oro, Georges Bensoussan mostra come il mondo arabo fu per le minoranze, in particolare per gli ebrei, una terra in cui erano sì protetti (dhimmi), ma anche umiliati, e a volte vittime di veri e propri pogrom. Lo dimostra basandosi su materiali di archivio tratti da fonti militari, diplomatiche e amministrative. Questo saggio indaga anche i motivi storici e psicologici della riscrittura della storia ebraica nel mondo arabo dagli inizi del XX secolo fino a oggi, affrontando inoltre il tema del rapporto del mondo musulmano nei confronti della modernità occidentale.
Il nonno polacco di Eduardo Halfon arrivò in Guatemala nel 1946 dopo essere sopravvissuto alla Shoah e non tornò mai in Polonia. Aveva sempre proibito alla sua famiglia di andarci. I polacchi, diceva, ci hanno tradito. Ma poco prima della sua morte Eduardo disse ancora una volta al nonno che voleva visitare Lodz, la sua città natale. Ma lui ancora una volta si arrabbiò e sbatté la porta. Però, poco dopo, tornò con un foglietto dove c'era scritto l'indirizzo della sua casa a Lodz e lo dette al nipote come un ordine o un'eredità. Questo racconto è la storia di dove quel foglietto ha finalmente portato Eduardo: in Polonia, nelle vecchie strade di Lodz.
Gennaio 1933: Adolf Hitler viene nominato cancelliere e adotta una serie di provvedimenti volti a instaurare un regime totalitario e spiccatamente antisemita. Lion Feuchtwanger e Arnold Zweig, celebri scrittori ebreo-tedeschi, si trovano all'estero e decidono di non tornare in Germania. Continueranno però a riflettere su temi come la storia, la cultura e l'identità ebraiche. I due saggi contenuti ne "Il compito degli ebrei" che, pubblicati a Parigi in quello stesso fatidico 1933, vengono proposti ora al lettore italiano si inseriscono perfettamente nella medesima tradizione di pensiero rivelandosi nel contempo assai stimolanti e stilisticamente pregevoli. Ciò vale per il contributo di Feuchtwanger, secondo il quale il nazionalismo ebraico, in quanto fenomeno cosmopolita ed esclusivamente culturale, sarà in grado di arricchire in misura determinante un mondo ormai senza frontiere, come per il breve saggio di Zweig, il quale prende in esame l'insopprimibile volontà di esprimersi che aveva contraddistinto l'attività di tanti artisti provenienti dalle comunità ebraiche dell'Europa orientale e i risultati prodotti nei diversi ambiti artistici.
È l'affermarsi dell'antisemitismo in Italia nel 1938 a spingere il sionista e antifascista fiorentino Gualtiero Cividalli, insieme alla moglie Maria D'Ancona, a prendere nel giro di pochi mesi la decisione di emigrare in Eretz Israel, a Tel Aviv, per dare un futuro migliore ai cinque figli. Gualtiero comprende fin da subito la gravità delle Leggi razziali, come annota nel suo diario e nelle lettere a Maria durante i periodi di separazione. Con l'amore per il dettaglio descrive l'inserimento in quel "nuovo mondo", il focolare ebraico in Palestina, allora sotto mandato britannico. Con acute osservazioni e profonda umanità commenta gli sviluppi militari e politici della seconda guerra mondiale. Posa lo sguardo e il pensiero sul Vicino Oriente e sull'Africa - col terrore che i nazisti si avvicinino alla Palestina - senza mai dimenticarsi dell'Italia, dove vivono i familiari e gli amici. I legami sentimentali e le preoccupazioni per coloro che sono rimasti nella "vecchia patria" sono ancora più forti nel momento dell'occupazione nazista, soprattutto quando incominciano ad arrivare - attraverso la Svizzera - notizie su deportazioni e uccisioni di persone care.
"Tra il 1939 e il 1945, la Germania nazista, assecondata da molteplici complicità, ha sterminato circa 6 milioni di ebrei europei nel silenzio pressoché totale del mondo. Le è mancato solo il tempo per distruggere l'intero popolo ebraico come aveva deciso. Questa è la realtà cruda del genocidio ebraico, Shoah nella lingua ebraica. La decisione di "far scomparire" il popolo ebraico dalla terra, la determinazione di decidere chi deve e chi non deve abitare il pianeta, spinta alle sue ultime conseguenze, segna la specificità di un'impresa, unica a tutt'oggi, tesa a modificare la configurazione stessa dell'umanità."
K. è la storia di un padre alla ricerca della figlia, desaparecida nel 1974 durante la dittatura militare in Brasile; la storia di una ricerca in cui ogni indizio si dissolve prima di prendere forma concreta e durante la quale i ricordi dell’Europa riaffiorano foschi: il vecchio rivoluzionario polacco fuggito in tempo dalla Shoah non può fare infatti a meno di paragonare il vuoto lasciato dallo sterminio nazista al vuoto lasciato dalla scomparsa della figlia. La cronaca della ricerca di K. assume il ritmo di un thriller e, mentre il senso di colpa di essersi dedicato più al culto della letteratura yiddish che a sua figlia lo tormenta, K. affronta indomito e senza timore qualsiasi strada pur di avvicinarsi alla verità. Nel suo percorso K. arriverà inevitabilmente alle domande fondamentali che si pongono di fronte a ogni ingiustizia, ma inesorabilmente rimarrà all’oscuro del destino della figlia.
Mitia è un uomo anziano, modesto, gentile, non batte mai il pugno. Ha sempre lasciato a Bussia, la moglie, il ruolo di condottiero. Si è sempre considerato un uomo qualunque, che ha vissuto una vita qualunque, simile a tante altre. Fino a che un giorno il telefono squilla e il lontano passato si ripresenta. Un amico di gioventù vuole incontrarlo, narrargli la verità sulla scomparsa della sua amata sorella caricata su un camion dalle SS. Per tutti quelli anni, Mitia, ostinatamente, ha sperato con tutto se stesso che lei fosse rimasta in vita, lontana, dispersa. L'ansia che lo attanaglia nei giorni prima dell'appuntamento lo spinge a scrivere, a ripercorrere la sua lunga vita. Per se stesso. Per trovare un po' di sollievo. Per mettere ordine. Per capire. Al termine del suo scritto si renderà conto che il suo cammino, più di altri, è stato indirizzato, spinto dagli sconvolgimenti del secolo terribile che hanno travolto uomini e nazioni e in cui, quasi sempre, è stato il caso a decidere della vita e della morte. Si rende conto che la sua supposta "normalità" è stata una maniera per impedire che le bufere della storia e la tragedia della Shoah lo travolgessero. Nel profondo di sé scopre che la sua non è stata una vita qualunque e che, nonostante tutto, la sua è stata una grande storia d'amore. E, del resto, esiste una vita qualunque?
"Memoria", "unicità", "mai più": moniti che dopo la Shoah vengono messi in discussione dal Ruanda del 1994, un genocidio dei nostri tempi, il primo della società globale. Il massacro di oltre 800.000 tutsi e hutu moderati non è mai stato un "conflitto tribale", come all'epoca qualcuno provò a definirlo, ma un genocidio che ripercorre molte delle modalità dello sterminio nazista degli ebrei, di cui è un "figlio maggiore". Dal cuore dell'Europa al cuore dell'Africa, la meccanica dei due genocidi si può confrontare in un percorso in venti "stazioni", con somiglianze stridenti e alcune differenze, comprese le responsabilità di una parte dell'Occidente che in Ruanda, cinquant'anni dopo la Shoah, si ritrova meno sicuro dei suoi antidoti politici e culturali che considerava acquisiti. Le due lezioni parallele sono un percorso a specchio ricco di riscontri inaspettati e inquietanti, che rende ancora più attuale la terribile lezione della Shoah e svela menzognee ipocrisie del nostro tempo.
Quattro testimonianze sul genocidio armeno che ne ricostruiscono la storia, ne chiariscono le peculiarità e ne descrivono gli orrori denunciando le responsabilità con il coraggio di chi non rimane in silenzio davanti all'umanità calpestata e l'indignazione di chi vede il mondo restare inerme se non indifferente davanti al crimine.
In Spagna l'ondata persecutoria antiebraica del 1391, con le sue successive propaggini, provocò un susseguirsi di conversioni, quasi sempre insincere. La cacciata degli ebrei del 1492 provocò da una parte una grande fuga dal paese e dall'altra una nuova messe di conversioni da parte di coloro che non si sentivano attrezzati per una partenza verso l'ignoto. In Portogallo, nel 1497, la scelta fra esilio e conversione fu resa impossibile e il battesimo fu impartito a forza a tutti gli ebrei. Nacque così in tutta l'Iberia l'avventura marrana, variamente vissuta a seconda dei casi e dei luoghi, comunque foriera di nuovi atteggiamenti religiosi segreti, spesso vere e proprie invenzioni. Questo vale per i conversos rimasti nelle rispettive patrie iberiche, che le stesse istituzioni distinguevano ufficialmente, anche dopo varie generazioni, come nuovi-cristiani, considerati inferiori rispetto ai vetero-cristiani e bollati in quanto ritenuti portatori di un sangue impuro. Ma in modi diversi, e non uniformi, il fenomeno marranico si manifestava ancora tra coloro che, dopo varie generazioni di conversione forzata, fuggivano nelle Terre di Libertà, dove era possibile la pratica dell'ebraismo. Questo libro è una somma di vari saggi recentemente pubblicati in alcune riviste, opportunamente riordinati ed aggiornati, in modo di dare, anche a un grande pubblico, un assaggio di quel grande fenomeno culturale che è il marranesimo.
Modena, settembre 1943. Una rete di soccorso opera a favore dei soldati alleati fuggiti dal campo di concentramento istituito alle porte della città, da quello di Fossoli e da altri del territorio. A Nonantola sono presenti settanta ragazzi ebrei con i loro accompagnatori: sono i "Ragazzi di Villa Emma", che la rete contribuisce a mettere in salvo prima ancora che il nazifascismo perseguiti tutti gli ebrei italiani. In questa organizzazione sono attivi uomini del Partito Comunista Italiano, del Partito d'Azione, socialisti, democratici cristiani, ebrei, sacerdoti. Fra questi spicca don Elio Monari. I suoi contatti con i parroci della zona, con i direttori di case di cura o con semplici cittadini gli permettono di tessere o collegare le fittissime maglie di una solidarietà clandestina che si estende dalla montagna alla bassa pianura. Tra i suoi collaboratori ci sono Arturo Anderlini e Alfonso Paltrinieri (fucilati nel febbraio 1944), Odoardo Focherini (deportato e morto ad Hersbruck), don Dante Sala, don Benedetto Richeldi, don Arrigo Beccari, il dottor Giuseppe Moreali (tutti Giusti fra le Nazioni), Goffredo Pacifici e Fortunato Uzzielli (ebrei), e tantissimi uomini e donne di tutte le condizioni sociali. Il volume racconta le loro storie e soprattutto quella di don Monari, capace di svolgere una mole impressionante di azioni rischiose col sorriso sulle labbra. Il sorriso di un ribelle. Fucilato come tale a Firenze nel luglio 1944.